Varie, 7 marzo 2002
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Williams Frank
• South Shields (Gran Bretagna) 16 aprile 1942. Proprietario dell’omonima scuderia di Formula 1. Prima è stato pilota di monoposto di F.3, con scarso successo. stato commerciante di F.2 e F.3 negli anni Sessanta. L’8 marzo del 1986 ha avuto un incidente nel sud della Francia che l’ha reso tetraplegico. Nel 1978 nasce la prima Williams, la FW 06, dopo aver utilizzato Brabham, De Tomaso, March, Politoys, Iso. La FW 06 corre con Jones e Regazzoni. La prima vittoria Williams è del 1979 con Clay Regazzoni a Silverstone. Il primo Mondiale è del 1979 con Alan Jones • «[...] viveva a Londra in un maxi-appartamento con vari rampolli-bene londinesi amanti delle belle macchine, delle donne e delle corse. Era l’unico ”povero”, ma era dotato di buona volontà e di una certa cultura: a scuola, fatto raro per un inglese del Nord (è di Newcastle, della cui squadra di calcio è ora socio minoritario), ha studiato pure il latino. E le lingue gli sono state utili per girare il mondo e trovare molti amici: infatti, parla italiano, francese, tedesco, spagnolo e portoghese. Con gli amici di casa, si è messo a correre con una F.3 sempre perfetta. Ritrovatosi malconcio dopo vari incidenti, ha deciso di smettere e di dedicarsi alla fornitura di vetture e di ricambi. Si era negli anni Sessanta ed era agli esordi la tecnologia inglese, con auto a motore posteriore e con telai in tubi. A quell’epoca il mercato italiano offriva buone possibilità: facilitato dalla lingua, è riuscito a inserirsi assicurando un servizio porta a porta; ovvero, procurava e consegnava i pezzi di cui un team aveva bisogno. Uno dei suoi coinquilini, Piers Courage, figlio di un famoso birraio inglese, fa carriera ottenendo buoni risultati. Lui si offre come manager e lo porta fino alla F.1 con una Brabham che nel 1969 ottiene due secondi posti, a Montecarlo e a Watkins Glen. In quella stagione, nemmeno la Ferrari va così bene. Sulla scia del successo, incontra in Italia Alejandro De Tomaso e il giovane ingegnere Giampaolo Dallara. Li convince a costruire una F.1 per il 1970, con Courage pilota. Ma a Zandvoort, Courage muore. Per lui è un colpo tremendo, sul piano umano e su quello del lavoro. De Tomaso gli invia un telegramma: ”Finite corse – Alejandro”. Non si arrende. Riparte dal basso, ottiene una serie di sponsorizzazioni italiane (Poly Toys e Personal) e una casa per correre: è la Iso Rivolta, con sede a Varedo. Sono tempi eroici, nei quali il milione di lire è ancora apprezzato. Tutto diverso da oggi e dalle follie della F.1, che fronteggia armato di buona volontà e con lo stile di sempre. Per girare il mondo, usa sempre una ventiquattrore e una sola camicia di ricambio. E agli sponsor che gli chiedono le condizioni di pagamento che può offrire, dà la solita risposta: ”Now, ora: se c’è il denaro, posso fare macchine vincenti”» (Giancarlo Falletti, ”Corriere della Sera” 4/7/2002) • «Quando era alla canna del gas, per far correre le sue auto in pista ”doveva andare a frugare nella spazzatura per trovare le gomme logorate da Lauda e Regazzoni”, come scrive Maurice Hamilton nel suo libro. […] Oggi è baronetto e ha un palmarés di rilievo: 108 Gran Premi vinti, nove titoli costruttori e sette titoli piloti conquistati. La sua storia nella F.1 comincia nel 1969, quando muove i primi passi insieme al suo amico Piers Courage. L’esperienza si conclude tragicamente l’anno successivo quando Courage muore nel GP d’Olanda. […] E’ stato pilota delle serie minori, proprietario di una squadra di F.2, ma addirittura garagista e a vent’anni, per racimolare qualche soldo, spazzino delle piste dell’aeroporto di Heathrow. Nel 1977 aveva 17 dipendenti e per riuscire a fare il salto di qualità dovette ricorrere ai soldi degli arabi. Adesso nella sede di Grove lavorano 300 dipendenti e al suo socio di sempre, Patrick Head, si è aggiunta la Bmw. La sua vita è davvero un romanzo. Profondamente segnata da due episodi tragici: da 16 anni è costretto a muoversi su una sedia a rotelle, per le conseguenze di un incidente stradale; nel 1994, a Imola, al volante di una sua monoposto, perse la vita uno dei più grandi campioni dell’auto, Ayrton Senna, con uno strascico di polemiche anche giudiziarie. […] Ha potuto contare su piloti iridati come Jones, Rosberg, Piquet, Mansell, Prost, Hill, Villeneuve jr., e su compagni combattivi come Regazzoni, Patrese, Laffite, Coulthard, Frentzen. […] I piloti che si comportano da superstar non gli piacciono molto e si lamenta perché oggi guadagnano troppo. Riconosce, però, che la colpa è delle scuderie. ”Se uno sa di essere conteso da due team, è capace di aprire un’asta che raggiunge quotazioni da capogiro. I piloti conoscono bene l’arte della contrattazione esasperata. Trovare le risorse per correre è la parte più difficile per chi lavora in questo campo. Io non mi sono mai lamentato e mi sono sempre arrangiato”» (Paolo Artemi, ”Corriere della Sera” 4/7/2002).