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 2002  marzo 07 Giovedì calendario

Williams Venus

• Lynwood (Stati Uniti) 17 giugno 1980. Tennista. Ha vinto cinque volte a Wimbledon (2000, 2001, 2005, 2007, 2008), due gli Us Open (2000, 2001). Sorella maggiore di Serena, che l’ha sconfitta in più finali del grande slam (nel 2002 Roland Garros, Wimbledon, Us Open, nel 2003 agli Australiano Open e a Wimbledon), finché non s’è presa una piccola rivincita nella finale di Wimbledon 2008 • «La Williams che fa spettacolo, quella che somiglia a Whitney Houston, quella elegante e atletica, quella che serve a 205 chilometri all’ora e poi si butta a rete per chiudere perentorie volée, quella che disegna abitini e poi li indossa anche in passerella come se facesse la modella da una vita. Peccato che Venere si sia eclissata: dopo cinque finali consecutive dello Slam perse contro la sorella Serena, s’è impantanata nelle sabbie mobili di Parigi, con gli addominali stirati e il cuore strappato. E molti pensano che non tornerà più in alto. […] ”Perdere fa sempremale, anche con tua sorella. Quando perdo con Serena ho sempre una strana sensazione, che non capisco. E ci metto sempre un po’ ad analizzare cos’è successo. Dev’essere che proprio non riesco ad arrabbiarmi, a vederla come avversaria […] La stessa casa, la stessa tavola e ci si ritrova a fare la stessa vita, insieme, ioe lei, per sempre sorelle, qualsiasi cosa accada”. Serena non la vedecosì. Serena ha superato Venus sia nella classifica che negli Slam che nella storia, anche se non ci riesce negli sponsor. Perché Venus è Venus. Ed è lei che ha aperto il fronte delle atlete-atlete, quella che ha messo prima paura a Hingis e compagne, quella che ha rivitalizzato il mercato afroamericano a botte di contratti da 10 milioni di dollari l’anno. Ma a un campione non basta. Un campione vuole vincere. E Venus vuole vincere abbastanza? Non chiedetelo a lei, la risposta sarà: ”E’ diventata una moda, sembra che tutti abbiano in mente la stessa cosa. Serena è sicuramente una grande protagonista, ma perché mai io, che ho dovrei sparire tanto in fretta, perché non dovrei restare in giro ancora più di lei? […] Adesso voi la vedete così, forte e determinata, ma Serena era magra e piccolina, e la racchetta sembrava troppo grande per lei, mentre io sono sempre stata più brava, più forte, più dotata, più tutto, sicuramente più campionessa annunciata di lei. Che non era davvero granché: tutto quello che ha lo deve alla sua volontà”. Magari c’entra anche papà Richard che, licenziato come marito da mamma Oracene, è ricomparso come padre/allenatore/motivatore. Ed è tornato a suonare la grancassa: ”I bianchi sostengono che i negri sono dei ladri. E’ vero: Venus e Serena sono due ladre. Rubano i colpi più belli alle altre e li fanno propri. Sono le migliori ladre del tennis. Si rubano tutto loro”» (Vincenzo Martucci, ”La Gazzetta dello Sport” 25/6/2003). «Parlare di racchetta per lei è un po’ riduttivo: una clava andrebbe meglio. Perchè dall’alto della sua scala alta 187 centimetri, la pupa Venus Ebony Star violenta la palla, sradica le righe, accoppa le avversarie e le lascia ronzanti all’angolo come Tyson. La dimensione è atomica e sarà bene non farsi fuorviare troppo da trucco, acconciature, treccine, perline, braccialetti, unghie laccate, forme da amplesso oftalmico e vestitini da infarto. Perchè questa è una Robocop in gonnella capace di servire servizi furenti a 208 orari tali da lasciare lividi persino all’erba. McEnroe aveva polemizzato sui premi delle donne, definiti troppo alti. E lei per tutta risposta ha messo una prima nell’angolo. Valla a prendere, se ci riesci, ragazzo. E alla fine del match una stretta di mano che sembra una chiave inglese. La combinazione è deliziosa e la storia vagamente incantevole: talento tennistico e grazia androgina da new woman, dritto che si deforma in uno schiaffo e rovescio bimane sibilato, nome da Venere e soprannome panterato, bellissima, nuova, sfrontata, una dea senza colore capace di vendere scarpe e completi a tutto il mondo come ha genialmente intuito la Reebok capace di farle firmare un contrattino da 40 milioni di dollari che per cinque anni la legherà agli abitini strizzati e tatuati col nome dello sponsor. […] Ha cambiato il tennis, passato in un amen dai colpi dritti e appoggiati della barbie Cris Evert alle sue disumane randellate. Roba da gioco, partita e incontro. Il bello è che tutto era cominciato sul cementaccio del ghetto di Compton Hill, periferia di Los Angeles, vicino casa, tra drogati, spacciatori e rapinatori vari che avevano l’ufficio da quelle parti. Lei e la sorella Serena con due racchette più grandi di loro a palleggiare già spedite a soli quattro anni in quella sorta di terra di nessuno; e il papà sciamano Richard, un visionario dotato di senso pratico figlio delle piantagioni di cotone, a tenere a bada le gang. La leggenda narra che Williams senior decise di mettere in produzione altre due bimbette dopo aver visto alla Tv la premiazione di un torneuccio di tennis con un assegno di 40 mila dollari alla baby vincitrice. E così dopo Lyndrea, Isha e Yetunde, mamma Oracene sfornò Venus e Serena che col tempo avrebbero scalato il mondo. In un anno, nel 1997, Venus è passata dal numero 485 al numero 4. Smile, relax and attack, il suo credo. Il tennis una volta era la Pericoli, ora il pericolo è prendere una pallata in faccia da una delle Williams. Secondo McEnroe, e non solo secondo lui, Venus le prenderebbe di brutto da un qualunque studentello universitario della NCAA. Le differenze uomo-donna sono risapute in tutti gli sport […] Ricca, famosa, sedere alto, spalle larghe, volto da guerriero Masai, amante della cucina e degli abiti di Dolce e Gabbana, dell’architettura e della letteratura, soprattutto delle case come quella comprata per dieci milioni di dollari a Palm Beach tanto per dimenticare il vecchio ghetto» (’Il Messaggero”,8/3/2002). «Forse ora la signora Oracene si sarà convinta della bontà dell’idea di suo marito Richard, che si presentò, emergendo dal divano davanti alla tv dove aveva visto premiare una ragazzina con un assegno di migliaia di dollari per la vittoria in un torneo minore, per proporle la programmazione di due figlie campionesse di tennis a molti zeri. Dopo aver condotto le sue lunghe gambe a passeggiare sull’erba di Wimbledon, è diventata la prima afroamericana, maschi compresi, a sistemarsi al primo posto mondiale. Arthur Ashe, che conquistò il prestigioso torneo di Church Road nel 1975 (nel 1968 era stato il primo nero ad annettersi un torneo dello Slam, gli Us Open), secondo l’almanacco, non oltrepassò il secondo posto l’anno dopo. Venus è la decima numero 1 del tennis femminile, ma molto è cambiato dai tempi di Ashe, che dovette cominciare nei campi pubblici non molto attrezzati (e meno male che c’erano) di Richmond, Virginia, perché nei circoli veri non lo facevano entrare. La leggenda racconta che papà Richard, invece, portò Venus e Serena bambine a vivere e ad allenarsi a Compton Hillsm (L.A.), tra bande di spacciatori sempre in lotta tra loro, per ferrare la volontà delle pupe. […] ”Se sono arrivata fino a qui, lo devo a mio padre che mi ha comunicato la sua fiducia, ha saputo farmi lavorare, mentre io l’ho saputo ascoltare”. Adesso non segue più i corsi del Fashion Institute di Boca Raton dove imparava i segreti della moda per disegnarsi innanzitutto i vestiti per sé, ma si è dedicata con più convinzione al tennis» (Roberto Perrone, ”Corriere della Sera” 26/2/2002).