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 2002  marzo 07 Giovedì calendario

Winters Shelley

• (Shirley Schrift) St. Louis (Stati Uniti) 18 agosto 1920 (1922?), Beverly Hills (Stati Uniti) il 14 gennaio 2006. Attrice • «[...] Due volte premio Oscar, nel 1959 e nel 1965, sposata negli anni cinquanta con Vittorio Gassman [...] ha interpretato tra gli altri il Diario di Anna Frank, Lolita di Kubrick, L’avventura del Poseidon, Un borghese piccolo piccolo con Sordi. La sua ultima apparizione è nel 1999 nel film La bomba, diretto da Giulio Base e interpretato da Vittorio e Alessandro Gassman» (“la Repubblica” 21/10/2005). «[...] Aveva interpretato oltre 130 film, una decina di commedie a Broadway, aveva partecipato al cinema d’oro di Hollywood anni Cinquanta e Sessanta, conquistando due Oscar come attrice non protagonista, nel 1959 per Il diario di Anna Frank e nel 1965 per Incontro al Central Park, in entrambi i casi nel ruolo di una madre. [...] Bionda, i lineamenti irregolari, le curve sexy, il sorriso luminoso che suggeriva innocenza ma anche ambiguità - le aveva procurato ruoli molto distanti e diversi, dall’ingenua operaia di Un posto al sole alla madre mafiosa e assassina del Clan dei Barker - aveva lasciato la famiglia per il sogno del cinema dopo aver frequentato l’Actor´s Studio e tra i maestri aveva avuto Charles Laughton. Negli anni ricchi di speranze e poveri di dollari, aveva diviso la stanza con Marilyn Monroe. Le legava un profondo affetto, la Monroe raccontava che Shelley le aveva insegnato quel modo speciale di stare davanti alla macchina da presa, con il capo reclinato indietro, lo sguardo abbassato, le labbra dischiuse. Negli ultimi anni Shelley Winters era apparsa di frequente in show televisivi, in genere a parlare delle critiche e del sarcasmo che non risparmiava ai tycoon di Hollywood, sia nelle interviste che in libri biografici. Fin dagli inizi della carriera si era fatta notare per il carattere schietto e diretto, per i modi bruschi con chi non le piaceva, per le battute spregiudicate, come “Ho girato un film in Inghilterra, faceva così freddo che stavo per sposarmi”, “Il modo migliore per trovare un uomo è andare a pranzo con l´ex moglie”, “Bisogna imparare a interpretare le madri se vuoi sopravvivere a Hollywood”. Tra gli episodi memorabili ci fu la partecipazione allo show di Johnny Carson. C’era anche Oliver Reed, contro il quale la Winters si scagliò per le affermazioni antifemministe dell’attore. Lasciò addirittura lo studio, per rientrare a sorpresa con una bottiglia di champagne, si avvicinò all’attore e sorridendo gliela ruppe sulla testa. Ma anche se il carattere non l’aveva aiutata nei rapporti con il cinema, è stata una delle attrici più amate dai critici, che protestarono quando le altre candidature all’Oscar, per Un posto al sole e L’avventura del Poseidon, non le procurarono la statuetta. Il talento di Shelley Winters era quello di tramutare in pregi le irregolarità del fisico e del volto (“A Hollywood mi truccavano troppo, sembrava che sulla mia faccia fosse passata una squadra di decoratori”) e una indiscutibile capacità di rendere credibili e memorabili i suoi personaggi, protagonisti o secondari che fossero, come in Il grande coltello, Il fiume rosso, Il giardino della violenza, Detective’s story, Stop a Greenwich Village, la madre in Lolita. “A Hollywood tutti i matrimoni sono felici, il problema comincia con il vivere insieme”, diceva forte della sua esperienza di scarsa fortuna con i partner e dei tre matrimoni consumati in breve tempo: tre anni il primo con Paul Meyer, due quello con Gassman e dal ’57 al ’60 l’ultimo, burrascoso, con Anthony Franciosa. Di quest´ultimo raccontò che, tornata a casa con l’Oscar, “Tony gli lanciò solo un’occhiata distratta. Capii che il matrimonio era finito”. Le delusioni nel lavoro e nella vita privata non ne avevano comunque domato il carattere. Era sempre pronta a gesti di sfida, come quando alla cerimonia degli Oscar scandalizzò gli americani che sapevano del suo flirt con Farley Granger, presentandosi al braccio di un giovane, bello e atletico Vittorio Gassman. Negli ultimi anni, quando i problemi di cuore non la frenavano, ha partecipato ad ogni battaglia civile, ha scritto libri, ha approfittato di ogni occasione per denunciare le ingiustizie di Hollywood e le ipocrisie della società americana» (Maria Pia Fusco, “Repubblica” 15/1/2006). «Quando nel ’52 Gassman presentò agli amici la sua fresca sposa americana, la bionda Shelley Winters, subito circolò la voce che Vittorio si era trovato “un’altra Nora Ricci”. Ovvero un personaggio per molti aspetti simile alla sua prima moglie: intelligente, dialettica, spiritosa; e molti previdero che il nuovo matrimonio non avrebbe retto (durò infatti solo due anni) perché fra le mura domestiche il Mattatore, pur cercando la competizione, non sopportava di essere messo sotto. Shelley [...] lo aveva attratto, e nello stesso tempo lo intimoriva, con il bagaglio di un’eclettica e decennale esperienza di palcoscenico. La ragazza era passata dalle luci e dai lustrini del varietà a quel teatro vero che in USA chiamano “legitimate” e al cinema, dove aveva appena strappato una “nomination” per Un posto al sole [...] Il matrimonio era fondato sull’ipotesi di una stabile affermazione di Gassman a Hollywood, ma dopo un paio di film deludenti lui era già maturo per scappare in Italia a farsi finalmente il suo Amleto. E proprio per quel ruolo fatale l’aveva preparato Shirley, portandolo spesso a conferire con il suo maestro, il grande Charles Laughton. In contrasto con l’apparenza pimpante e un po’ frivola, la Winters era già una delle più assidue frequentatrici dell’Actors’ Studio ben decisa a penetrare fino in fondo i segreti della professione. La bellezza di 130 film, quanti gliene attribuiscono le filmografie, non costituivano per la diva un particolare motivo di orgoglio. A giudicare la sua carriera secondo il suo punto di vista, noi europei ne abbiamo perso il meglio: perché Shelley, come appare dai suoi libri autobiografici e dalle interviste, metteva il lavoro teatrale molto al di sopra. Diceva che “il film è un giocattolo del regista, fatto per divertire solo lui”; e tra tutti i cineasti che l’avevano diretta ne ricordava uno solo che le aveva dato una carica ispiratrice, George Stevens per Un posto al sole. Ma sul set Shelley continuò sempre a soffrire per la mancanza del pubblico, “uno strumento fantastico, il quale fa molto di più che ridere o piangere o applaudire”. E aggiungeva: “Se il testo è valido e se tu funzioni, senti montare dalla platea un silenzio che è parlante e capisci che quel tuo agitarti e parlare sulla scena può significare qualcosa”. Amava i grandi testi e li assumeva come fondamentali esperienze di vita: “Ibsen dice di più dei libri di storia della sua epoca”. Avrebbe anche voluto scrivere, ma al suo unico tentativo di commediografa fece fiasco. La vicenda artistica di quest’attrice stimatissima si divide in due tempi corrispondenti al cambiamento fisico che avvenne dopo la nascita di sua figlia Victoria Gassman. Shelley si appesantì, conservando peraltro una perfetta forma fisica come dimostrò nella incredibile nuotata sott’acqua di L’avventura del Poseidon (1972), e diventò una caratterista. Ormai matronale, sullo schermo furono sue tutte le madri in ambascia, le prostitute invecchiate, le femmine bizzarre. Ebbe anche un successo popolare nella tv Anni ’90 con la serie Roseanne [...]» (Alessandra Levantesi, “La Stampa” 15/1/2006).