varie, 7 marzo 2002
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Wolfowitz Paul
• Dundes New York (Stati Uniti) 22 dicembre 1943. Politico. Ex presidente della Banca Mondiale (nel 2007 fu accusato di aver garantito diversi aumenti di stipendio alla sua fidanzata, dipendente del Fondo, e costretto a dimettersi) • Laureato in matematica alla Cornell University con master e dottorato di ricerca in Scienze politiche all’Università di Chicago. Dal 1973 al 1977 ha lavorato nelle agenzie governative sul disarmo e sul controllo delle armi ed è stato assistente speciale del direttore per i colloqui sulle limitazioni delle armi strategiche. Dal 1977 al 1980 è stato direttore della pianificazione politica del Dipartimento di Stato di Jimmy Carter e vice assistente del Segretario alla Difesa. Ha insegnato a Yale (1970-73) e alla Johns Hopkins University (1981). Nel 1993 ha avuto la cattedra di Strategie di sicurezza nazionale al National War College. Dall’amministrazione Reagan fu nominato direttore della Pianificazione politica del Dipartimento di Stato e poi assistente del Segretario di Stato per gli Affari dell’Asia dell’Est e del Pacifico. Grazie al suo lavoro in questo campo nel 1986 divenne ambasciatore Usa in Indonesia. Da Bush padre ebbe l’incarico di Sottosegretario alla Difesa, lo stesso conferitogli poi dal figlio nel 2001 • «Figlio di un grande matematico importato da Varsavia e padre della ”dottrina della guerra preventiva” esportata in Afghanistan e Iraq, segretamente soprannominato dai colleghi il ”velociraptor” come il piccolo e micidiale dinosauro di Jurassic Park […] ”Un uomo compassionevole”, lo ha chiamato Bush, aggiungendo una qualifica inaspettata alla carriera di un personaggio che ha mostrato grandi doti di intellettuale, ma la cui compassione era […] rimasta una virtù nascosta. […] Paul Wolfowitz è figlio di quell’Europa di fede israelita che le persecuzioni, il razzismo, i pogrom hanno spinto sulla via dell´America, impoverendo il vecchio continente. […] Parte della famiglia, come la sorella, vive in Israele e molti Wolfowitz lasciarono la vita ad Auschwitz. Il padre, Jacob, emigrato quando aveva dieci anni, divenne uno dei più rispettati matematici nella nuova patria e Paul tentò di emularlo fino a quando scoprì che era la politica internazionale, e non la matematica, la propria passione. Prese un dottorato a Chicago, nell’università dove già Enrico Fermi aveva lavorato e cominciò un percorso eccellente nell’accademia e nel governo. Professore in varie e gloriose università, ultima la Johns Hopkins di Baltimora, tre volte chiamato al Pentagono, una al Dipartimento di Stato, ambasciatore in Indonesia, la più popolosa nazione islamica del Mondo, pupillo del suo massimo sponsor, […] Dick Cheney, Wolfowitz sarebbe rimasto un autorevole, ma relativamente oscuro teorico, senza quella mattina fatale dell’11 settembre 2001. Fu allora, nel panico della Casa Bianca, che il velociraptor sfoderò quei teoremi sulla ”guerra preventiva” e sul ”rifiuto del contenimento diplomatico” che da tempo aveva esposto, insieme con un gruppetto di discepoli poi etichettati un po’ confusamente come ”neocon”, una dottrina che aveva trovato il proprio manifesto nel famoso e famigerato Progetto per un nuovo secolo americano, il Pnac, che Wolfie aveva scritto nel 1997, sotto la presidenza Clinton, ed era stato licenziato come un altro dei mille e mille pezzi di carta che i think tank washingtoniani sfornano in continuazione. Ma la formula dell’attacco preventivo, dell’impiego della forza come braccio violento per esportare ”l’idealismo americano”, calzò come una mano nel guanto vuoto di un Bush impreparato in materia di politica estera. La dottrina della guerra preventiva fu, nonostante le inutili proteste del principale avversario di Wolfowitz a Washington, il generale Colin Powell che la guerra aveva fatto davvero e ne diffidava, la soluzione precotta, il ”pret-à-porter” perfetto che Bush cercava per rispondere alla domanda di azione e di reazione che l’America gli chiedeva. Molti sono chiesti come possa esistere un rapporto profondo tra un intellettuale come ”Wolfie”, e il poco intellettuale Bush, ma la spiegazione è evidente. Wolfowitz, e la sua corrente di ”neocon” che […] hanno dominato ”il pensiero del Presidente” sono il supporto teorico di ciò che Bush avverte istintivamente. […]» (Vittorio Zucconi, ”la Repubblica” 17/3/2005).«Il cardinale del Pentagono, il Richelieu della ”Guerra Preventiva” che già nel 1998, nel celebre studio del ”Pnac”, il Progetto per un secolo americano, aveva predicato l´impiego disinvolto della forza americana per garantire agli Usa il monopolio del potere globale. [...] Wolfowitz, più di Rumsfeld, più di ogni altro, è stato il teorico, il padre di quella ”dottrina Bush” alla quale Bush ha messo il volto e il sigillo della Casa Bianca. Afghanistan e Iraq sono state la traduzione sul campo delle teorie che lui elabora da 35 anni, da quando, ventenne, cominciò la propria carriera di grande commis dello Stato come stagista volontario all´Ufficio del bilancio federale. [...] Si può dissentire ferocemente da Wolfowitz, o venerarlo, come lo venerano nei think tank dei neo conservatori e a Tel Aviv, dove è considerato la spalla di Ariel Sharon a Washington, ma l´eminenza della destra bellicista non si è mai nascosto dietro paraventi diplomatici. Le controversie sono il suo pane. Fu lui ad ammettere per primo che lo show sulle armi di distruzione di massa era stato organizzato per ”scelte burocratichec”, disse a ”Vanity Fair”, per trovare un terreno di comodo sul quale mettere d´accordo le fazioni a Washington e persuadere gli alleati recalcitranti. Ed è stato ancora lui [...] a dire, in un´intervista radiofonica a Laura Ingrahm, di ”non essere affatto sicuro neppure adesso che l´Iraq avesse qualcosa che fare con l´11 settembre”, dopo mesi di allusioni e disinformazione sui rapporti operativi fra Saddam e Al Qaeda. Sempre un insider, un uomo ben dentro il potere, sottosegretario di Cheney quando era al Pentagono con Bush il Vecchio, ambasciatore in Indonesia, la più popolosa nazionale musulmana del mondo, leader del Comitato per pianificazione della difesa, la vera ”cabala” dove si decidono guerra e pace, professore amatissimo per la sua intelligenza tagliente alla Johns Hopkins University dove era preside di scienze politiche prima di essere chiamato da Bush il Giovane alla seconda poltrona del ministero della Difesa teoricamente dietro Rumsfeld, il Cardinale del Pentagono ha sempre deciso di testa sua, anche quando c´era da esporre la testa, magari dei soldati. Una delle sue prima decisioni fu di annullare un contratto per 600 mila nuovi baschetti militari, ordinati in Cina, proprio mentre l´America esaltava il proprio patriottismo ferito dalle canaglie del Male. ”Non posso mandare ragazzi americani a rischiare la vita in guerra, con cappelli cinesi” tagliò l´ordine» (Vittorio Zucconi, ”La Repubblica” 27/10/2003). «Lo hanno sommariamente definito un falco (’The Economist” ha preferito ”velociraptor”), ideologo conservatore, unilateralista, nemesi del Dipartimento di Stato di Colin Powell e, talvolta, ”israelocentrico”. Sono epiteti che colgono qualcosa delle sue opinioni e qualcosa delle sue frequentazioni. I suoi mentori appartenevano alla linea dura, molti dei suoi amici sono devoti reaganiani e gli opuscoli che ha sottoscritto quando non era in carica erano scritti da coloro che oggi parlano soddisfatti di un nuovo imperialismo americano. […] Figlio ebreo dell’accademia che ha imparato per diletto 6 lingue e ha le storie della guerra civile sul comodino.[…] Nel corso della sua carriera è riuscito a opporsi all’opinione prevalente evitando al contempo il tipo di confronto che ti marchia come esterno alla squadra, ma a detta di chi lo conosce dall’11 settembre sembra galvanizzato, pronto a giocarsi la carriera» (Bill Keller, ”la Repubblica” 10/10/2002).