Varie, 7 marzo 2002
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Wonder Stevie
• Saginaw (Stati Uniti) 13 maggio 1950. Cantante • « Ci sono pochi personaggi che hanno avuto sulla musica del secolo passato l’influenza che ha avuto Stevie Wonder. Non solo perché le sue canzoni memorabili (impossibile elencarle tutte, talmente ampio e di successo è il suo repertorio) sono entrate a far parte della cultura popolare americana e, più in generale, dell’Occidente. Ma anche Perché il suo modo di essere artista, autore, compositore, produttore, cantante, performer, ha indicato la strada a moltissimi altri personaggi della musica, non solo afroamericana. E, se non bastasse questo, è impossibile negare che oggi la stragrande maggioranza dei cantanti, sia neri che bianchi, ha imparato a memoria la sua lezione vocale e la mette in pratica, ancora, con innegabile successo. Un ”maestro”, dunque, persino nella sua vita privata, segnata dall’impegno sociale e politico in favore del popolo africano e afroamericano (è suo il merito della giornata di festa nazionale, negli Stati Uniti, dedicata a Martin Luther King, ad esempio). ”Ma sono più un musicista che un attivista politico [...] Il mio modo di esprimere quello che penso, su questioni politiche o sociali, è quello di farlo attraverso la musica. Non voglio dire che non mi so esprimere verbalmente, ma che la musica è il veicolo che mi è stato dato per farlo”. [...] un Oscar con I just called to say i love you, colonna sonora di La signora in rosso, diverse decine di milioni di dischi venduti in una carriera iniziata nel 1961, quando Stevie, nato nel 1950, era così giovane da meritare sui dischi l’appellativo di ”Little”, piccolo, ma già scalava le classifiche con la sua modernissima soul music e la sua straordinaria voce. Una vita di successi, insomma, vissuta da Stevie Wonder con grandissima passione. ”Amo la vita, non c’è dubbio”, ha detto [...] a ”Billboard”, ”ma ai miei successi, a quello che ho realizzato nella mia vita non penserei così spesso se non pensassi che poco [...] mi è stata regalata una vita nuova”. Wonder ricorda l’incidente stradale che lo portò in coma, nel 1973, di ritorno da una seduta di registrazione di uno dei suoi dischi più belli e importanti, Innervisions. «Ricordo qualcosa di quel giorno. Mi ricordo di aver lasciato la scena dell’incidente e questo normalmente non accade. Mio fratello mi prese e mi caricò sulla sua macchina, portandomi all’ospedale. I medici dissero che se non lo avesse fatto io sarei morto, perché sarei arrivato troppo tardi al pronto soccorso. [...] Per raccontare Wonder e la sua straordinaria avventura di musicista, nato praticamente cieco, arrivato al successo a dodici anni, cresciuto alla scuola leggendaria della Motown di Detroit, la cui leggenda ha contribuito a creare, non si possono evitare di citare i suoi dischi più belli e famosi. Ognuno ha il ”suo” Stevie Wonder, chi ama i brani più soul, chi le canzoni straordinariamente melodiche, chi il funky degli anni Settanta, il ritmo del suo reggae, la forza delle sue composizioni musicali. Ma dove si nasconde il ”vero” Wonder? ”Tutti i miei album raccontano qualcosa di me stesso. Ma se proprio dovessi citarne alcuni dovrei dire Songs in the Key of Life, perché le sue 21 canzoni rappresentano un lavoro completo e unico. Journey through the secrets life of plants perché era un progetto sperimentale, soprattutto mentalmente. Poi Talking Book, per canzoni come Superstition e Maybe your Baby e Innervisions per il sentimento acustico che lo pervade. Difficile, invece, individuare delle singole canzoni, anche perché a seconda dei giorni, mi ritrovo in una o in un’altra”. Nonostante molti degli artisti di oggi indichino Wonder tra le principali fonti d’ispirazione, il musicista del Michigan non ama molto la cultura afroamericana di oggi: ”Mi piacerebbe vedere la mia cultura e la mia gente avere una maggiore stima e apprezzamento per quello che abbiano fatto e non limitare questo a un particolare tempo o spazio. Abbiamo fatto tanto e creato così tante cose eppure non facciamo altro che andare dietro la prossima moda e buttiamo via dei doni preziosi. Se non coltivi i doni che hai avuto cosa accade? Che scompaiono. Non c’è abbastanza gente che capisce quanto sia incredibile B.B.King e cosa ha fatto nella sua vita. E quanti conoscono l’importanza di Chuck Berry o di Clifford Brown? Se si ascolta la musica che arriva dall’Africa dell´Ovest, il ritmo, le voci, si può sentire da dove tutto è partito. Ma per fare questo bisogna cercare la musica, conoscere la cultura, non dimenticarla. E credo che anche il downloading sia il segno di questa concezione riduttiva del valore di una incredibile forma d´arte come la musica. Non mi piace quando uno prende una intera canzone, gli cambia la melodia e la ripropone al pubblico. E non mi piacciono le canzoni che offendono le donne. Non credo che si debba vivere in un mondo in cui i genitori devono controllare che le canzoni che ascoltano i figlio o spiegare loro cosa dicono certi testi. Credo sia una riflessione sulla nostra società, che non ha rispetto per l´arte, per le donne, per la vita stessa”» (Ernesto Assante, ”la Repubblica” 13/12/2004).