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 2002  marzo 07 Giovedì calendario

BAI XIANYONG Guilin (Cina) 11 luglio 1937. Scrittore • «[...] Il maestro della notte, il suo capolavoro [

BAI XIANYONG Guilin (Cina) 11 luglio 1937. Scrittore • «[...] Il maestro della notte, il suo capolavoro [...] quando fu pubblicato per la prima volta nel 1983 venne proibito dalla censura di Pechino perché osava mettere in scena il mondo dei gay. A vent’anni di distanza [...] Bai è regolarmente ospite dei talk show della tv di Stato di Pechino. [...] nella Cina popolare [...] è considerato uno dei più importanti narratori contemporanei, al punto che i suoi romanzi e racconti sono insegnati nei licei. [...] finì a Taiwan da bambino perché suo padre, Bai Chongxi, era uno dei più importanti generali dell’esercito nazionalista di Chiang Kai-shek e combatté fino al 1949 i comunisti di Mao. [...] sofisticato intellettuale cosmopolita, dopo aver insegnato per anni nelle università americane, all’età di 68 anni scende in campo contro l´americanizzazione culturale del suo paese e si dedica a rilanciare le più antiche tradizioni artistiche cinesi come l’Opera Kunqu. [...] Il suo romanzo più importante in cinese si chiama Niezi cioè figlio degenere, perché il protagonista viene cacciato di casa dal padre - un ufficiale del Kuomintang - quando scopre la sua omosessualità. In inglese modificarono il titolo in Ragazzi di cristallo: il personaggio della prostituta Li Yue, che frequenta i bar per soldati americani a Taipei, chiama così i ragazzi di vita omosessuali che dopo il tramonto affollano il Parco Nuovo, e si prostituiscono sotto la guida del loro mentore Yang, quel Maestro della notte che dà il nome alla eccellente traduzione italiana di Maria Rita Masci. L’epoca è quella degli anni Settanta, la colonna sonora i Beatles e Tom Jones, quando gli uomini portavano gli stivaletti e le camicie a fiori, e Taiwan era ancora un’isola in via di sviluppo, con squallidi quartieri di catapecchie di legno, vicoli sporchi e fogne a cielo aperto, lo scenario esotico per una storia di amori gay struggenti e infelici, di nostalgia, di violenza e di morte. “Quando il romanzo uscì”, dice Bai, “a Taiwan c’era ancora la legge marziale e all´inizio fu accolto con grande imbarazzo. A Pechino poi i gay finivano in carcere. Ma col passare del tempo anche i comunisti accettarono la mia storia, forse rincuorati dal fatto che è ambientata a Taiwan: hanno fatto finta di credere che descriva la decadenza di una società borghese e corrotta, diversa dalla loro. Mai mi sarei aspettato quello che è accaduto due anni fa: dal libro è stata tratta una serie televisiva a puntate, trasmessa in prima serata e coronata da vari premi. Credo di avere avuto un ruolo nell’evoluzione del costume, nella parziale accettazione dell’omosessualità, ma tuttora i gay cinesi sono sottoposti a una forte pressione sociale. L’atteggiamento ufficiale resta ostile. La loro vita è più facile ma spesso è attiva nei canali underground, comunicano su Internet, si incontrano in alcuni bar notturni di Pechino e Shanghai [...] l’intolleranza ci viene dall’Occidente. La Cina antica era più aperta di quanto crediate. Il confucianesimo esalta il valore della famiglia ma non condanna l’omosessualità. Neanche il buddhismo ha sanzioni religiose o morali contro l’omosessualità. Sotto le dinastie Ming e Qing era accettata apertamente, i nobili e i mandarini invitavano ai banchetti ufficiali dei prostituti maschi, spesso attori dell’Opera travestiti, che interpretavano ruoli femminili. Nella nostra letteratura più antica sono raccontate in modo esplicito le ‘affaires’ gay di imperatori e imperatrici. Il rigetto ha inizio con l’arrivo dei primi missionari cattolici dall’Italia, che scrivono al Papa il loro disgusto per la prostituzione maschile in voga a Pechino nel XV e XVI secolo. Poi nella Cina repubblicana del 1919 esplode il Movimento del Quattro Maggio che si batte per la modernità, l’occidentalizzazione, e respinge quel mondo di nobili e artisti omosessuali come un simbolo di decadenza. Infine arriva il comunismo, un’altra ideologia importata dall’Occidente, con il suo puritanesimo ufficiale che condanna ogni devianza sessuale. Anche un film come Addio mia Concubina ha fatto fatica a superare gli sbarramenti della censura”. La biografia dell’autore incrocia tutte le tragedie della Cina contemporanea, un materiale letterario straordinario e terribile. Nato in una delle regioni più belle - a Guilin, in mezzo alle montagne carsiche che hanno ispirato secoli di poesia e di pittura - Bai ha trascorso la sua infanzia in una fuga costante: l’evacuazione forzata da Guilin in fiamme per l´invasione giapponese; nel 1945 il rifugio nella capitale provvisoria di Chongqing sullo Yangtze, ben presto anch’essa devastata dai bombardamenti nipponici; l’arrivo nel 1946 nel caos di Shanghai, la metropoli più cosmopolita della Cina, in preda all’iperinflazione, alle convulsioni rivoluzionarie, alle fiammate di guerra civile. Poi oltre trent’anni di esilio forzato, fra Taiwan e gli Stati Uniti. Lo shock della Rivoluzione culturale, quando Bai viene raggiunto in America dalle immagini delle Guardie rosse che distruggono templi e statue di Buddha antiche di secoli (“pensai che era arrivato l’ultimo stadio di distruzione della civiltà cinese”), e inizia allora a scrivere la sua prima raccolta di racconti, Gente di Taipei. Infine il ritorno a Shanghai negli anni Ottanta, dove ritrova i vecchi quartieri coloniali, la villa francese della sua infanzia, tutto decaduto e decrepito ma ancora riconoscibile, intatto, fino a quando il grande boom edilizio trasfigura di nuovo la metropoli lasciando poche oasi del primo Novecento sotto la selva dei grattacieli. In questa storia di un’epoca tumultuosa che ha visto scontrarsi sul terreno della plurimillenaria civiltà cinese tutte le grandi ideologie europee - la liberaldemocrazia, il positivismo razionalista, il comunismo, il fascismo, il darwinismo sociale e il “pensiero unico” della globalizzazione capitalista - Bai intravede un elemento di continuità: “A partire dalla giusta reazione contro l’arretratezza scientifica e tecnologica del nostro paese all’inizio del secolo scorso, ha inizio una fase di occidentalizzazione che porta alla distruzione sistematica delle nostre tradizioni culturali e artistiche. Un esempio fra tanti: nonostante abbia una tradizione musicale antica di migliaia di anni, oggi le accademie cinesi formano più interpreti della musica occidentale che della nostra. Voi forse non potete capire fino in fondo, perché nessun paese europeo ha subìto un lavoro così prolungato e così radicale per stravolgere e cancellare le sue radici. Dopo tanti decenni in cui la Cina ha negato il suo passato, oggi il problema più grosso per i giovani è che hanno un’identità culturale confusa, turbata. Dopo la violenza distruttrice del comunismo è venuta l’invasione di una cultura commerciale di origine americana, la versione più superficiale dell’Occidente. Bisogna reagire prima che sia troppo tardi”. Il suo contributo personale a questa battaglia si chiama Il Padiglione delle Peonie, l’Opera cinese dell’èra Ming che l’Unesco ha classificato tra i 19 capolavori del “patrimonio artistico orale” dell’umanità. Bai ha dedicato quasi vent’anni del suo talento a resuscitare questa forma di arte, paragonata alla tragedia greca, impegnandosi a rianimare questa tradizione nelle città di Hangzhou e Suzhou dove l’Opera Kunqu ebbe origine. I suoi sforzi sono culminati con una produzione imponente della versione originale, nove ore di spettacolo divise in tre serate [...]» (Federico Rampini, “la Repubblica” 4/2/2005).