Maurizio Bettini su la Repubblica del 07/03/02 a pagina 44., 7 marzo 2002
«La vicenda politica che l´Italia sta attraversando, piena di contrasti e di colpi di scena, ha riportato alla memoria anche una parola che pareva dimenticata: "ostracismo"
«La vicenda politica che l´Italia sta attraversando, piena di contrasti e di colpi di scena, ha riportato alla memoria anche una parola che pareva dimenticata: "ostracismo". Se n´è parlato a proposito di Silvio Berlusconi, il quale, secondo alcuni suoi sostenitori, verrebbe "ostracizzato" da una legge che lo costringesse ad alienare i propri beni per proseguire nella sua attività politica (si veda la pronta replica di Luciano Canfora sul Corriere della Sera del 5 marzo). Ma non c´è dubbio che il termine "ostracismo" potrebbe esser evocato anche a proposito di quello che è accaduto durante alcune vivaci manifestazioni dell´Ulivo. Se infatti una vasta assemblea di persone dichiara, con una certa veemenza, che i propri leader debbono abbandonare il loro posto - e soprattutto se uno di questi leader, Massimo D´Alema, manifesta l´intenzione di andarsene all´estero, sia pure solo per qualche mese - può sembrare di essere tornati nell´Atene del V secolo. Ai tempi, cioè, in cui un´assemblea popolare, chiamata ecclesia, poteva per l´appunto deliberare che un qualche personaggio politico di spicco - Ipparco, Megacle, Aristide... - doveva lasciare non solo la sua attività politica, ma addirittura la città. Dato che le analogie (o meglio le metafore) di carattere storico continuano ad incontrare una certa fortuna nel nostro dibattito politico, non ci sarebbe dunque da stupirsi se le prossime settimane fossero caratterizzate da ulteriori "ostracismi" con relativo scambio di accuse a proposito di chi ha ostracizzato, di chi ostracizza e di chi si appresta a ostracizzare. Ma cos´era poi, questo ostracismo? Il nome viene da un oggetto umile, un pezzo di coccio, che in greco si chiamava appunto ostrakon. In tutto il mondo antico i cocci veniva usati come materiale di scrittura, ma ad Atene li si usava in particolare per scriverci sopra il nome del malcapitato che l´assemblea si apprestava ad allontanare dalla città. Di questi ostraka ateniesi gli scavi archeologici ce ne hanno restituiti un gran numero: vi si può leggere ancora il nome di Santippe, padre di Pericle, o quello di Temistocle, e la cosa in verità fa una certa impressione. Sull´ostracismo circolavano anche numerosi aneddoti e racconti, ma il più noto è senz´altro il seguente. Si trattava di votare se ostracizzare o meno Aristide, noto uomo politico ateniese soprannominato "il Giusto". Dunque quel giorno lo stesso Aristide sedeva disciplinatamente in assemblea come tutti gli altri, quando il suo vicino, che era analfabeta, gli chiese se per favore poteva scrivergli il nome "Aristide" sul suo ostrakon. Non lo aveva riconosciuto, evidentemente. Aristide si stupì, e gli chiese se questo Aristide gli avesse fatto qualcosa di male. "Non mi ha fatto niente" rispose l´altro "non lo conosco neppure. Ma sono stufo di sentire ripetere da tutto che è un uomo giusto". Aristide non replicò, scrisse il proprio nome sul coccio e lo riconsegnò al vicino. Il Giusto fu condannato, e lasciò Atene chiedendo agli dei (grandezza degli antichi!) che la città non dovesse mai trovarsi in un frangente tale da essere costretta a richiamarlo indietro. Questo aneddoto presenta l´ostracismo come una sorta di "giustizialismo" (oggi si direbbe così?), una forma sconsiderata di democrazia che affida la vita politica e la fortuna dei leader ai capricci del primo venuto. Se un analfabeta può condannare il Giusto (talmente giusto da sedere accanto a lui in assemblea senza farsi riconoscere) solo perché si è stufato di sentirne lodare la virtù, vuol dire che il mondo, o meglio la politica, è uscita dai cardini. Ma le cose, in realtà, erano più complicate di così. L´invenzione dell´ostracismo si deve a Clistene, il grande riformatore democratico della politica ateniese. Atene era appena uscita da un lungo periodo di tirannide, e la preoccupazione di Clistene era stata quella di mettere la città al riparo dallo strapotere di alcune famiglie, capaci di esprimere a un certo punto l´uomo forte. Per questo si era preoccupato di "rimescolare" in ogni modo la vita sociale e istituzionale della città, in particolare sostituendo il vecchio regime delle relazioni familiari con nuove appartenenze di carattere territoriale. In questo stesso spirito Clistene aveva dato vita anche all´istituto dell´ostracismo. Il meccanismo era il seguente. In un certo periodo dell´anno, i magistrati che si trovavano presentemente in carica (cambiavano infatti dieci volte l´anno, ed erano semplicemente una frazione del consiglio popolare) sottoponevano al popolo questa domanda: se fosse necessario o meno procedere a un ostracismo. Nel caso in cui la risposta fosse positiva, allora si convocava tutto il corpo elettorale dell´Attica, e la piazza, cioè l´Agorà, veniva chiusa da apposite barriere. Dopo di che aveva luogo una votazione a scrutinio segreto. Sugli ostraka bisognava scrivere nome, patronimico e "circoscrizione" di appartenenza della persona indicata come pericolosa per la comunità. Perché qualcuno potesse essere ostracizzato, era necessario che sul suo nome convergessero almeno seimila voti (oppure, come dicono altre fonti, che i votanti avessero raggiunto almeno il numero di seimila). Subita la condanna, l´ostracizzato veniva non esiliato - l´esilio era pena ben più grave - ma semplicemente allontanato dalla città: conservava i propri beni e restava comunque sotto la protezione della legge ateniese. Il limite di questo procedimento consisteva ovviamente nel fatto che al condannato era negato il diritto di difendersi. Clistene però aveva pensato a questa drastica misura proprio in considerazione del fatto che, per un tiranno, peggio se buon demagogo, il diritto alla difesa si sarebbe automaticamente trasformato nella possibilità di influenzare la decisione. Se è vero che il cittadino ostracizzabile non poteva difendersi, il sistema prevedeva comunque altri tipi di garanzia. Per esempio, l´iniziativa di ostracizzare o meno qualcuno non poteva essere avanzata da un gruppo, o da una singola persona, ma, come abbiamo visto, scattava automaticamente ogni anno. Inoltre, il periodo di "decantazione" fra la richiesta generica formulata dai magistrati (in città c´è bisogno di un ostracismo oppure no?) e il voto effettivo, così come l´alto numero di votanti richiesti, poteva scoraggiare la trasformazione dell´ostracismo nel semplice sfogo di umori personali, o di risentimenti momentanei. Inutile dire però che questo istituto, nato per proteggere il popolo dalla tirannia, con il trascorrere del tempo finì per trasformarsi in un micidiale strumento di lotta politica. In pratica, qualsiasi uomo eminente della città, o capo di partito politico, si sentiva costantemente sotto la minaccia dell´ostracismo, ovvero finiva per subirlo, lasciando così campo libero ai suoi nemici. Come accadde fra gli altri ad Aristide il Giusto. Tutto sommato, l´ostracismo non sembra dunque appartenere al novero di quelle istituzioni democratiche di cui uno stato moderno debba sentire nostalgia. Facile immaginare, anzi, che cosa accadrebbe se lo si facesse rivivere in una società in cui la domanda rituale (è necessario procedere all´ostracismo?) verrebbe formulata non tramite un annuale pronunciamento dei magistrati, ma attraverso fulminei sondaggi telefonici, resi subito noti dai media. Per non parlare della sostituzione dei cocci graffiti con moderne procedure di votazione telematica, sostenute dalla contemporanea creazione del consenso televisivo. Come minimo avremmo un ostracizzato al giorno» (Maurizio Bettini).