Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2002  marzo 07 Giovedì calendario

ZACCARIA Roberto

ZACCARIA Roberto Rimini 22 dicembre 1941. Politico. Eletto alla Camera nel 2004 (suppletive), 2006, 2008 (Ulivo, Pd). Ordinario di Istituzioni di diritto pubblico all’Università di Firenze. Dal 1977 al 1993 consigliere d’amministrazione Rai, dal 1998 al 2002 ne fu presidente • «Quello che Roberto Gervaso, bollandolo come “il fior fiore di quella cultura dei chierici vaganti del progressismo e del giustizialismo, bardi e alfieri dell’Italia degli onesti e dei puri, dei marpioni e dei tromboni”, chiama “Roberto dalle bande rosse”. [...] Nato a Rimini, ordinario di Istituzioni di Diritto pubblico all’Università di Firenze, membro inamovibile per 15 anni del consiglio di amministrazione della Rai per conto di quella sinistra democristiana che un tempo veniva sarcasticamente chiamata “del cilicio”, Roberto Zaccaria arrivò nel ’98 alla presidenza della Rai tra sospetti, polemiche, accuse. Prima fra tutte, quella di essere stato piazzato lì, con criteri puramente lottizzatori, da Massimo D’Alema. Ipotesi suffragata dal modo in cui il direttore generale Pierluigi Celli aveva raccontato della nomina sua: “Arrivò la telefonata di D’Alema: ‘Siamo d’accordo, io e Marini. Lei è essenziale. Sennò dobbiamo cambiare tutto il consiglio d’amministrazione’”. Salutato con allegra ferocia da Massimo Gramellini come un “penitenziale” che negli anni passati nell’azienda di viale Mazzini si era rivelato “più cattocomunista di un vescovo del Chiapas”, il Professore si sarebbe in realtà dimostrato, una volta arrivato al vertice, assai diverso da come era stato dipinto. E quanto prima era apparso riservato, schivo, concentrato sulle buone letture, tanto a quel punto tirò fuori la sua anima estrosa, godereccia, presenzialista. E te lo ritrovavi al cocktail per la collezione autunno-inverno di Battistoni e al “Girone dei ghiottoni” del Gambero Rosso, al Festival di Sanremo e al party con Nicole Kidman e Tom Cruise, e poi al palio di Siena o al derby del cuore, tra le bionde coscialunga di “Miss Italia” e i fraticelli di Assisi. Al punto che, come scrisse Filippo Ceccarelli, si diffuse tra i corridoi della Rai una strofetta inrima baciata: “Zaccaria / tutte le feste si porta via”. Accusato da Berlusconi d’avere “truffato l’opinione pubblica” teorizzando la tesi che poi sarebbe stata pari pari applicata a parti rovesciate dalla Rai polista (“Dare un terzo al governo, un terzo alla maggioranza e un terzo all’opposizione significa dare alla sinistra il doppio che a noi: mi auguro che possiamo scampare in futuro il pericolo di avere a che fare con gentaglia del genere”), eletto a bersaglio preferito da Bossi (“Il canone è stato concesso per rendere un servizio alla famiglia, ai bambini, agli handicappati e non per una Rai sporcacciona e violenta come quella guidata da lui”), additato come il Dominus di una tivù lottizzata dall’Ulivo, Roberto Zaccaria vide ulteriormente impennare la sua popolarità negativa tra i sostenitori della Casa delle Libertà nella primavera del 2001. Quando, dopo la vittoria berlusconiana, si arroccò dietro la scrivania presidenziale come il colonnello Travis a Fort Alamo. Fu allora che, sbattuto in prima pagina da Chi mentre “si scambiava effusioni con Monica Guerritore”, si vide piovere addosso perfino le rivelazioni della moglie Barbara che, nonostante non vivesse da un pezzo più con lui (“La nostra storia si è incrinata otto anni fa quando aveva preso una sbandata per un’allieva”) rilasciò un’intervista indimenticabile con frasi che non si sentivano dai tempi di Carolina Invernizio. Una su tutte: “Mi ha tradita, ma lo amo ancora”. Maurizio Gasparri, che non lo sopporta, arrivò a telefonare in diretta a Simona Ventura e Quelli che il calcio per contestare uno sketch e insinuare che “si sa che in Rai c’è chi fa lavorare anche mogli e amanti”. E a rovesciargli addosso (ricambiato dall’accusa di essere “un piccolo uomo”) battutacce non proprio signorili: “Zaccaria? Una volta che finirà il suo mandato avrà più tempo per divertirsi con la Guerritore”. Uscito di scena col saluto di un “ironico” manifesto funebre affisso sui muri vicino alla Rai, ricomparve improvvisamente qualche tempo dopo in piedi su una traballante pensilina del Palavobis, dove nella nuova veste di girotondino arringava il popolo rosso contro la lottizzazione della destra subentrata alla lottizzazione della sinistra: “A Viale Mazzini c’è stata un’occupazione militare!”. Nessuno, in quel momento, avrebbe scommesso un centesimo sulla sua rinascita [...]» (Gian Antonio Stella, “Corriere della Sera” 26/10/2004) • «Di Zaccaria si sa soprattutto che è professore universitario, che ha resistito per quattro anni alla presidenza della Rai, che ha una relazione con l’attrice Monica Guerritore, che gioca a tennis ogni volta che può e che negli ultimi anni gira l’Italia (in treno) per portare avanti diverse battaglie: contro l’allargamento dell’immunità parlamentare, contro la legge Cirami, sulla Gasparri (ci ha scritto anche un libro: Dal monopolio al monopolio). È tra i fondatori dei Comitati per l’Ulivo, dell’associazione Articolo 13, sostiene Libertà e Giustizia ed Emergency. [...] amico di Prodi: habitué di casa Moratti, Zaccaria aveva fondato in Rai un Inter club che era stato inaugurato da Giacinto Facchetti» (Elisabetta Soglio, “Corriere della Sera” 19/9/2004) • «L’ex professorino della sinistra Dc (da Dossetti a Panariello?) ha gioiosamente spremuto il proprio incarico per scorrazzare in ogni angolo dei palinsesti televisivi e in qualsiasi centimetro di carta stampata trascinato dal suo grido di battaglia (“Non mi vergogno di sorridere”), vestendo i panni più vari. Tranne, forse, quelli di un oscuro e compassato capitano d’industria (sia pure di Stato). Sarà ricordato come il Presidente Tennista: “Prima non vincevo mai, poi gli altri hanno cominciato a farmi vincere e così mi sono accorto di essere diventato importante”. Al punto da incrociare la racchetta perfino con Tony Blair e con Giuliano Amato. E insieme è stato il Presidente Tuttologo. A forza di esternazioni a reti unificate sul millennium bug o la vita dura delle ragazze che lavorano, la sartoria italiana e la prevenzione del cancro, la Tosca e le donne soldato, la lotta alla droga e qualla all’ignoranza, e via così. Collezionando migliaia di comparsate fra la Saluzzi e La vita in diretta, i tiggì e i finti convegni seguiti dalla Rai solo perchè c’è lui che magari proclama: “Forza Inter!”, Santoro, Miss Italia, Sanremo e i party con Tom Cruise e Nicole Kidman, la presentazione dei calendari di Battistoni (lui che in origine vestiva i tipici completini tristanzuoli da cattolico di sinistra) e la Scala (con Monica Guerritore, che ama, riamato, lei lo ritiene un tipo “tanto dolce” e An però ha lanciato un’interrogazione parlamentare contro questo amore di Stato). Insomma, Zac avrebbe tutto per piacere, o almeno divertire, al Cavaliere. E invece, il Chi non l’ha visto?, questo imprevedibile ma efficacissimo genio della comunicazione, ha capito anzitempo l’importanza di affermarsi come Presidente Partigiano. Ossia come colui che, per opposizione, in una sinistra che non sa fare opposizione, diventa l’anti-Berlusconi per antonomasia. Uno dei pochi che gli risponde a tono: “Io non sono il padrone della tivù di Stato, ma neanche lei”. […] Anche questo, oltre al suo fiuto, ha fatto il successo, assai poco super-partes, diciamo luttazzesco o travaglino, del mitico Zac. Un uomo diviso in due: pervicace militanza (“Andrà a finire che gli daranno un collegio al Mugello”, prevede il premier) e ubiquo presenzialismo mondano, Ulivo uber alles e Vip-Vip-Urrà! Con Gasparri, poi, ha costituito un ottimo tandem: molto più spiritosi loro dei fratelli Marx» (Mario Ajello, “Il Messaggero” 15/2/2002).