Varie, 7 marzo 2002
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Zalayeta Marcelo
• Danubio Montevideo (Uruguay) 5 dicembre 1978. Calciatore. Dal 2009/2010 al Bologna. Con la Juventus ha vinto cinque scudetti (1998, 2002, 2003,, 2005, 2006, gli ultimi due revocati causa “calciopoli”). Famoso soprattutto per due gol ai supplementari in Champions League che eliminarono nel 2003 il Barcellona (quati di finale, al Camp Nou) e nel 2005 il Real Madrid (ottavi di finale, al Delle Alpi). Ha giocato anche nel Napoli • «[…] detto il Panteròn […] nero, nerissimo, è cresciuto con mamma Azucena, tre fratelli e quattro sorelle. Il papà non l’ha mai conosciuto, a cinque anni si trasferì a Buenos Aires seguendo la madre che aveva trovato un impiego come domestica, a undici è tornato a Montevideo cominciando a giocare in una squadra che ha il nome suo (Danubio) e di suo nonno, colui che gli ha fatto da padre. Lì lo ha scovato il Penarol, dove a sua volta l’ha scovato la Juve, che lo ha preso, lo ha mollato (Empoli, Siviglia, Perugia), lo ha ripreso e lo ha rimollato. L’avevano pure dimenticato, si ricordarono di lui (autunno 2001), che era ormai disoccupato da quattro mesi, perché bisognava riempire il vuoto lasciato in panchina dall’infortunio di Salas. Quella casualità gli ha cambiato la vita: nell´aprile 2003 segnò, ai supplementari, il gol che zittì il Camp Nou e cacciò il Barcellona dai quarti della Champions League, […] si è ripetuto cacciando il Real e incendiando il Delle Alpi. Nel mucchio che festeggiava la rete, lui era il più imperturbabile, mentre Montero (per lui, uno specie di fratello-zio-padre) gli si aggrappava al collo ubriaco di felicità. “Anche in Uruguay mi criticavano perché esultavo poco. Ma io non sono mica brasiliano”. Per difendere l’orgoglio delle sue origini, a Siviglia si beccò pure 2 mila e 700 euro di multa perché, con due colleghi connazionali (l’ex vicentino Otero e Olivera) mise le mani addosso a un tizio che gli aveva urlato “uruguayo de mierda, cabròn”: uno può essere silenzioso, ma anche avere molti modi per esprimersi. […]» (Emanuele Gamba, “la Repubblica” 11/3/2005). «Sull’erbetta sembra si muova al rallentatore, ciondolando il testone, e perciò lo chiamano Bradipone. Poi all’improvviso tira fuori un guizzo, una zampata felina, e allora diventa Panterone. Gli accrescitivi usati per i sostantivi e gli aggettivi riferiti a Marcelo Zalayeta sono dovuti alla sua stazza: quasi un metro e novanta per quasi un quintale, insomma, uno che in campo si fa sentire. E si farebbe sentire molto di più se non fosse così timido e schivo. Di secondo nome fa Danubio, nome della squadra uruguaiana in cui Marcelo è cresciuto e per la quale suo padre faceva un tifo sfegatato. Capita spesso che emblemi di passioni paterne finiscano stampati sulla carta d’identità dei figli inconsapevoli e innocenti. Marcelo non se ne lamenta, è di buon carattere e in fondo a molti è andata assai peggio. E poi quel nome, Danubio, evoca scorrimenti impetuosi e rallentamenti, meditabondi attraversamenti di vallate e strettoie che danno brusche accelerate al flusso, un andamento altalenante, un po’ come quello di Marcelo nel corso di una partita. [...] Sulle sue qualità tecniche il volpone Moggi non ha mai avuto dubbi. Perciò se lo è sempre tenuto a portata, prestato ma non venduto. [...]» (Roberto Duiz, “il manifesto” 2/11/2004). «“Dinamita”, “The black jaguar”, “Ice man”. Caratteristiche tecniche: straordinaria capacità nel colpire la palla sia di testa che di piede. Debutto in serie A: 15 marzo 1998, Juve-Napoli (2-2), con un gol. Eccolo l’uruguaiano che Moggi mandò a fare esperienza prima a Empoli, poi a Siviglia perchè qui non serviva più”» (Fabio Vergnano, “La Stampa” 13/11/2001). «Il 20 gennaio 1998, a Torino, Narciso Pezzotti, vice fedelissimo dello squalificato (allora) Marcello Lippi, fa esordire un ragazzo di 19 anni che la Juve ha appena acquistato dal Penarol di Montevideo tramite i buoni uffici del procuratore Paco Casal. È un attaccante di struttura possente, dalla faccia scura e buona, timido e un tantinello spaurito. Si chiama Marcelo Zalayeta e tra il nome e il cognome ha un secondo appellativo, Danubio, che deriva, questo almeno viene detto, dalla sfrenata passione di suo padre per l’omonima squadra uruguagia. Che, tra l’altro, diventerà il primo club vero di Marcelo. Ma non sbandiamo, con la nostra storia. Quel giorno di gennaio, Zalayeta entra nel finale di gara. Si sta giocando Juve-Fiorentina, sfida di ritorno valida per i quarti di coppa Italia. L’andata, al Franchi, è terminata con un 2-2 che consente ai bianconeri di passare il turno anche con lo 0-0. Ed è questo il punteggio che Marcelo trova, quando, 36’ della ripresa, subentra a tale Inzaghi Filippo da Piacenza. Sta in campo 12 minuti esatti, recupero compreso, e si fa notare per una dote non comune per un attaccante: difende benissimo il pallone, consentendo alla squadra di “salire”. Da quella “prima volta” il destino di Marcelo è contrassegnato da una serie di discese ardite e di risalite. Passano meno di due mesi dal debutto in coppa Italia che gli tocca pure esordire in campionato. È il 14 marzo e il ragazzone va a prendere il posto di Davids in Juve-Napoli. Mancano 19 minuti alla fine ma a Marcelo ne servono soltanto 4 per segnare, di testa, il suo primo gol “italiano”. Sugli altari, naturalmente, ma per poco. Quello resterà l’unico acuto della stagione. Poi, la vita di Zalayeta diventa una specie di “struscio” in una qualsiasi cittadina italiana: su e giù. Nel suo caso, va a Empoli (98/99) e torna alla Juve l’anno dopo. Se ne parte per Siviglia e poi, ovvio, torna alla Juve. Se ne va a Perugia e dove torna? Da mamma Juve, chiaro. [...] Con l’arrivo di Capello sembra cambiar poco per Marcelo. Il quale, nel corso degli anni, si è guadagnato il soprannome di Bradipone, che è l’essenza della lentissima agilità. Fabio il Bisiàco si comporta con lui esattamente come faceva Lippi. Cioè lo porta in panchina, quando va bene. Marcelo, però, non è tipo da demoralizzarsi: sa bene, ormai, che il suo turno arriverà, basta avere pazienza e “farsi trovar pronto”, come insegnano nel manuale del perfetto giocatore [...]» (Paolo Forcolin, “La Gazzetta dello Sport” 6/10/2004).