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 2002  marzo 07 Giovedì calendario

Zeman Zdenek

• Praga (Repubblica Ceca) 12 maggio 1947. Allenatore. Dal 2010/2011 al Foggia (Prima Divisione), squadra che negli anni 90 condusse brillantemente in serie A. Ha guidato anche Licata, Parma, Lazio (secondo dietro la Juventus nel campionato 1994/95), Roma, Napoli, Fenerbahce, Salernitana (esonerato nel 2002/2003 quand’era ultimo in serie B), Avellino, Lecce, Brescia, di nuovo Lecce (esonerato nel 2006/07), Stella Rossa Belgrado (2008, esonerato dopo poche settimane) • «Quando era ancora un allenatore di grido, Glerean descrisse così quello che riteneva il modulo perfetto: ”La miglior fase difensiva l’ha fatta Sacchi, la miglior fase offensiva l’ha fatta Zeman”. Oggi Sacchi fa il dirigente del Parma, e ogni tanto pontifica. Anche Zeman pontifica, ma non si limita a quello. Continua ad allenare, [...] La sua carriera sembrava finita, malamente, con l’allontanamento da Roma. L’allenatore boemo è, probabilmente, il tecnico che vanta in Italia il maggior numero di detrattori. Il perché è semplice. Non pago di essersi presentato come ”innovatore”, qualifica che di per sé agli italiani piace poco, Zeman è andato oltre: si è messo a fare il rivoluzionario. Di moduli, di morale. Con piglio savonaroliano, ha detto molto prima degli altri che il calcio era entrato nelle farmacie, che era ostaggio della Gea, che il doping era una realtà. Molto spesso, il suo obiettivo ha coinciso con la Juventus. Attaccare la Juventus, e Moggi, e la Gea, significa giocarsi tutte le possibilità di allenare una grande squadra del Nord. E considerato che in Lazio e Roma c’era già stato, lo Zeman degli ultimi anni si è chiuso, da solo, tutte le porte in faccia. Barcamenandosi, con scarse squadre e scarsissimi risultati, in serie B. Sembrava finito, e quando il Lecce lo ha scelto come successore di Delio Rossi, che aveva fatto benissimo, in molti hanno pensato che il suo imprevisto ritorno in A fosse la maniera più plateale, e incontestabile, per mostrare a tutti il suo definitivo fallimento. [...] l’accusa che si fa a Zeman: cosa ha vinto? Niente, ma si tratta anche di vedere chi ha allenato, e quando. La sua Lazio non era quella di Eriksson, la sua Roma non era quella di Capello. Se Don Fabio ha vinto, Zeman si è fatto amare. Dal confronto con chi gli è succeduto a Trigoria, e dalle picconate ai ”poteri del Nord”, Zeman ha guadagnato il titolo di ”idealista”, che non vincerà mai nulla, ma se non altro sarà divertente. E predicherà un calcio divertente, a suo modo genuino. [...] Di Zeman si dice anche che le sue difese sono imbarazzanti. Ed è spesso vero. [...] Ma il punto è un altro: a Zeman la difesa non interessa. ideologicamente distante, radicalmente estraneo, al concetto di difesa. Sceglierlo significa assecondare, in partenza, la sua vocazione al martirio. I suoi allenamenti massacranti (Boksic ne sa qualcosa), la sua testardaggine. I suoi silenzi. La sua scomodità. Ma anche i suoi slanci pindarici. E una vocazione intatta a valorizzare i giovani. Specie se attaccanti. Totti si è (parzialmente) smussato la bullaggine grazie a lui. [...]» (Andrea Scanzi, ”il manifesto” 21/9/2004). «Del suo credo tattico, delle sue teorie che hanno colorato i plumbei anni Novanta restano testimonianze sempre più blande. La coerenza che ne aveva fatto un baluardo tattico gli si ritorce contro. Anche nelle giornate più drammatiche alla Salernitana il boemo ha mandato allo sbaraglio i suoi con l’intoccabile 4-3-3: ”Il modo più razionale per coprire gli spazi”. Un sistema che non tollera anarchia, lo sa bene Boksic che si beccò una strigliata dopo aver segnato un gol bellissimo nella Lazio. Il 4-3-3 è legge, e non importa che si abbiano a disposizione Totti, Delvecchio e Paulo Sergio, oppure Arcadio, Vignaroli e Edy Baggio. Con quella formula - da tecnico laziale - battè 4-0 la Juve e finì secondo, ma perse - da tecnico romanista - quattro derby su quattro. Anche nel punto più basso della carriera sorge il sospetto che qualcosa potesse cambiare, la sua panchina potesse essere salvata se negli anni lui non si fosse fatto così tanti nemici. Le vie del mercato, si sa, si possono aprire o chiudere a seconda dei rapporti […] Di Vialli notava ”il potenziamento”, di Capello si chiedeva ”cosa farebbe in una delle mie squadre?”. Si metteva nei panni dei genitori di Del Piero, parlando dei ”farmaci a cui non si può rinunciare”. I suoi avversari lo chiamavano ”terrorista”, o lo gelavano come fece una volta Sensi: ”Con lui si fanno battute, con Capello si parla di mercato”. […] Combatteva il Palazzo prima che lo facesse il suo ex presidente Sensi. Aziendalista tiepido, ha difeso le sue amicizie a costo di scontentare i datori di lavoro: Aliberti si è infuriato quando lesse un’intervista in cui eleggeva Casillo ”miglior presidente con cui ho lavorato”. Tra i due dirigenti scottava una denuncia per estorsione. Ed è andato avanti così, l’ex profeta, coi brasiliani consigliati da Cafu, i ”cinque acquisti promessi” e mai realizzati, i ”giocatori che non hanno i soldi per l’affitto”, altra esternazione andata di traverso ad Aliberti, che prima cacciava dirigenti e giocatori avversi a Zeman, poi si è dedicato ai suoi collaboratori, chiudendo la pratica con il tecnico. Come sono lontani i tempi in cui il pubblico romanista cantava estasiato: ”C’è la mano del boemo/c’è la mano del boemo» (Mattia Chiusano, ”la Repubblica” 28/12/2002). Nell’estate del 1998 le sue denunce (soprattutto insinuazioni sulla Juventus e Del Piero) dettero una forte spinta alla lotta al doping ma gli procurarono molti nemici . «A Salerno ha dimostrato che c’è sempre un posto dove poter essere se stessi, senza il pericolo di cambiare per piacere agli altri. Basta cercare il posto, avere la fortuna di trovarlo, non perdere l’umiltà per ricominciare dal niente o poco più» (Giancarlo Padovan, ”Corriere della Sera” 5/3/2002). « uno di quelli che non ami ma ringrazi sempre perché esistono. oscuro, malefico, disperatamente onesto. Disilluso anche. Deve aver passato la sua prima e seconda età nella convinzione di far qualcosa per aggiustare il mondo. Ora gli basta pensare che almeno il mondo non è riuscito a cambiare lui. Attacca tutti con quel suo filo di voce. […] Questo forse è il grande limite. Che la diversità è rimasta sola, non ha contagiato, non ha cambiato il mondo. Ma in fondo a lui va anche meglio così. Meglio essere martiri che eroi. Meglio essere uomini contro che uomini vincenti perché vincere significa sempre un po’ accettare e non sia mai detto che si è concesso una sosta: ”Temo che non potrei più allenare una grande squadra. Non sarei capace di far comprare a cento miliardi giocatori che valgono cento milioni. Si compra non per costruire, ma pensando già a rivendere […] Io sapevo che il calcio era una cosa inventata per divertire. stata trasformata in una cosa che deve arricchire. […] Questo è un calcio basato sulle plusvalenze e che sono le plusvalenze se non un imbroglio? Si fanno scambi tra giocatori che non hanno nessun senso sportivo […] Sarebbe triste se i giocatori fossero, come dice Zoff, la parte migliore del calcio. I giocatori sono degli sbandati che lasciano la famiglia e la scuola, non possono essere esempi”» (Mario Sconcerti, ”Guerin Sportivo” 9/10/2001). Nel dicembre 2002, ultimo nella classifica di serie B, tentò in ogni modo di evitare l’esonero: «Subito dopo la fine della partita contro la Triestina, nella sala stampa si è presentato un signore il quale ha distribuito ai giornalisti un foglietto inviato da Zeman. Qualcuno ha pensato alle dimissioni ipotizzate dal ”Corriere dello Sport” in caso di vittoria, ma visto che la partita era finita 2-2, doveva trattarsi di qualcos’altro. E difatti su quel foglietto c’erano solo numeri dai quali si evince che la Salernitana è ultima in B, ma solo in teoria. Ricorda Zeman: per possesso di palla siamo secondi solo alla Triestina, terzi nelle percentuali delle giocate utili, primi per passaggi filtranti e cross su azione, secondi dietro al Vicenza per numero di tiri. […] Secondo quando in Champions ci andava il primo e quinto quando ci andavano le prime quattro. Il campionario è ampio: ”Io alleno, non scendo in campo a giocare”, oppure: ”Non è vero che non mi piace vincere, mi piace farlo in modo regolare”, o ancora: ”Talvolta i perdenti hanno insegnato più dei vincenti. Penso di aver dato qualcosa di più e di diverso alla gente”» (Massimiliano Gasperini, ”Il Messaggero” 16/12/2002).