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 2002  marzo 07 Giovedì calendario

ZERO Renato (Fiacchini) Roma 30 settembre 1950. Cantautore • «Dopo essere stato uno dei frequentatori più assidui del Piper Club, agli inizi degli anni Settanta incomincia a farsi notare nel mondo dello spettacolo con un variopinto e chiassoso travestitismo che non manca d’attirare curiosità e critiche

ZERO Renato (Fiacchini) Roma 30 settembre 1950. Cantautore • «Dopo essere stato uno dei frequentatori più assidui del Piper Club, agli inizi degli anni Settanta incomincia a farsi notare nel mondo dello spettacolo con un variopinto e chiassoso travestitismo che non manca d’attirare curiosità e critiche. Nel 1974 esce il suo primo album (No mamma no), primo di una lunga e ben organizzata serie che, con cadenza quasi annuale, suscita l’ammirazione di vaste schiere di fans (denominati ”sorcini”). Si succedono infatti Invenzioni (1975), Trapezio (1976), fino ad arrivare a Zerofobia (1977, comprendente Mi vendo) e a Zerolandia, il suo maggior successo (1978, comprendente Triangolo e Sbattiamoci). Non è certamente possibile capire il carisma esercitato dalla sua figura se ci si limita al puro aspetto musicale, senza cioè tenere nella dovuta considerazione la sua dimensione spettacolare, che si materializza soprattutto in numerosi shows, fantasiosi quanto ingenui, ai quali i dischi sono intimamente legati. In ogni caso sono da rilevare le sue doti di interprete capace di aderire con sincerità e passione alle parole cantate. Di tanti brani che si sono succeduti dopo questa prima e prolifica fase vanno ricordati gli album Via Tagliamento 1965-70 (1982, contenente Viva la Rai e Contagio), Zero (1987), Voyer (1989), Sulle tracce dell’imperfetto (1995) e il brano Spalle al muro, presentato al Festival di Sanremo del 1991» (Augusto Pasquali, Dizionario della musica italiana. La canzone, Newton&Compton 1997) • «Per anni, pur se sostenuto dal pubblico, è stato bistrattato e deriso da gran parte della critica...”Essere avanti, vedere più in là degli altri, dovrebbe essere un bene, almeno per chi legge i tarocchi, per l’artista spesso non è così, ti ghettizza. Non me la sono mai presa per le critiche, non lo faccio oggi. Sono soddisfatto delle mie scelte, che ci sia ancora qualcuno emozionato da quel che scrivo e canto. Con questa visione del mio lavoro sono riuscito a essere artista a 360 gradi. Ho lavorato nel cinema, con Federico Fellini, in Casanova e Satyricon, ho fatto teatro serio, con lo Stabile di Genova di Squarzina e Chiesa, in un lavoro del Ruzante, L’anconitana, diretto da Gianfranco De Bosio, ho lavorato in Orfeo 9 di Tito Schipa jr. che mi volle anche nella versione italiana di Hair diretta dall’attore Victor Spinetti e le musiche del poi premio Oscar Bill Conti. Ho frequentato Cinecittà con lo scenografo Piero Gherardi, il costumista Piero Tosi, il truccatore Rino Carboni...”. E allora fare cinema, da regista, da attore, non l’ha ancora tentata? ”Vorrei tanto prendermi questo spazio, magari con l’aiuto delle apposite sovvenzioni dello Stato. Ed è proprio per quello che devo creare una storia convincente, non voglio buttar via i soldi […] Butto già idee, impressioni, appunti, spero di trarne una storia. Per trattamento e sceneggiatura vorrei rivolgermi a Tonino Guerra, Vincenzo Cerami, credo abbiano molto da insegnarmi. E’ quello che mi sforzo di dire sempre ai giovani, non si può fare a meno dell’esperienza, delle cicatrici che ti ha lasciato la vita. Nella musica ormai non succede più, si è abbracciata acriticamente la tecnologia ma la passione, l’amore, i sentimenti, i sogni, la tecnica di un musicista dove stanno più? Col computer vengono fuori solo soliloqui, vaniloqui insufficienti a catturare l’attenzione del pubblico» (Paolo Zaccagnini, ”Il Messaggero” 18/6/2002). «Di dischi, lui li chiama ancora così, ne ha fatti una trentina, più alcuni album doppi, per un totale di 350 canzoni, alle quali va aggiunto un centinaio di cose scritte e scartate, scritte e date ad altri, scritte e rimaste là» (Simonetta Robiony, ”La Stampa” 6/11/2001). «Se non c’era un fraticello a donarmi il sangue, quando sono nato con l’Rh negativo, addio Renato e addio canzoni […] Trent’anni fa, se arrivavo salvo alla fermata del tram già era tanto. Invece sono qua a cantare senza mai cambiare pelle, anche se i miei compagni cantautori che al Tenco non m’hanno mai invitato, la pelle, loro, l’hanno cambiata spesso, tra Festival dell’Unità e Feste dell’Amicizia. M’hanno accusato pure di essere qualunquista. Ma per sapere se sei carne o pesce devi passare nei torrenti della società. E io ci sono passato […] Ho smesso di frequentare molti amici perché mi preferivano la cocaina. Considero un grammo di droga alto tradimento. Eppure ho frequentato i peggiori spacciatori, coatti di ogni genere”» (’La Stampa” 6/11/2001). «Io non sono di quelli che cantano a un pubblico indistinto, io ho bisogno di guardarli negli occhi. Di riconoscere la famiglia Cerquetti e la famiglia Di Luca […] Trascorro la maggior parte del mio tempo in strada. Non sto in casa a contare i dischi d’oro, devo respirare, parlare coi romani veraci, gustare la coda alla vaccinara[…] Molti degli zerofolli hanno imparato a rispettare i miei umori, a comprendere quand’è il momento d’importunare e quando no. Lo ammetto, non è facile essere amico di un fan, a meno che il fan non abbassi la guardia e accetti una democrazia di ruoli e di rapporti che semplifica ogni cosa […] Gli zerofolli si riproducono che è una bellezza. Allora ti trovi davanti una 50enne con la sua ragazzina di 14 anni che ti dice: ti ricordi quando scappavo di casa per venire a Zerolandia? E i marmocchi lì, pronti a farsi travolgere dallo stesso entusiasmo dei genitori. A volte mi fa un po’ paura […] La Toscana. Fu lì che ebbi il mio battesimo quando, agli esordi, andavo disperatamente alla ricerca di un applauso. A Roma, per uno come me, c’era lo scantinato o il club esclusivo, il privé troppo sofisticato per lo Zero di allora. Io invece fiorii nei locali della Versiglia e nelle balerone emiliane. Vasco Rossi, che allora era un dj, mi fece da manager in un concerto nella sua Zocca. Montammo un palco nel giardino comunale, accanto alla fontana. Alla seconda canzone andò via la luce. Io cominciai a raccontare barzellette e li tenni lì inchiodati. Mi dissero: non abbiamo mai pagato un artista con tanta soddisfazione. Per me andavano bene quei locali da ballo un po’ malfamati come era allora il Picchio Rosso, o il Linus di Viareggio. Lì, come al Mulino di Figline Valdarno, ogni volta che cantavo io le strade si bloccavano […] Ero un cucciolo spaurito, dietro il look c’era la timidezza di uno che sapeva di essere un alieno. E non solo perché non ero ancora il re degli zerofolli, ma perché io non ho mai fatto pause tra il camerino e il marciapiede. Uscivo già vestito, pronto per la parte. Andavo da Fellini, che stava girando Casanova, con abiti già adatti a un figurante. Volevo imparare: da lui, da Storaro, da Zapponi, da Gino Carboni, il truccatore numero uno del cinema italiano […] Quanti pianti a Piazza Navona con Alessandro Haber. Eravamo sulla lista nera. Lui perché parlava troppo, io perché ero troppo strano. Stavamo lì ore a smaltire l’incazzatura. A quel tempo Piazza Navona era l´ufficio di collocamento degli attori squattrinati. Lì pascolavano Bolognini, Zeffirelli, Pasolini. Quando arrivavano loro, tutti gli attori sciamavano dai Tre Scalini al Domiziano. Io mi tenevo lontano dal branco, passeggiavo solo, sopportavo gli scherni e in qualche modo alleviavo l’ansia dell’attesa […] I club gay erano una salvezza per me. Lì coatti e rompiballe non potevano entrare. Ma ci voleva anche un certo coraggio a frequentarli. Non di rado arrivava la polizia e finivi al commissariato. E anche il più casto Piper non sfuggiva alla regola. Entravamo nel carrettone ancor prima che ci chiamassero. Eravamo pronti a passare la notte con i nostri cestini della merenda. Ci portavano al commissariato Campo Marzio. Proprio lì dove lavorava mio padre Domenico. Poveretto, ogni volta mi gridava: ”Un’altra volta!” […] Papà era un tenore mancato. Un pastore di Castel D’Aria che da ragazzo stava fuori con il gregge anche più di un mese. Vedeva in me il ragazzo che poteva realizzare i suoi sogni. Io per non ferirlo, mi vestivo nei portoni dei palazzi. Uscivo dalla casa della Montagnola con tutto l’armamentario e poi cercavo un angolo segreto per agghindarmi. Se no ogni volta avrebbero detto: ”Ecco, esce la sposa” […] Mi accadde una cosa tenerissima quando già ero Zero. In un bar di Viale Angelico incontrai un mio amico, uno di borgata, un ballerino, lo chiamavamo Scaletta. Mi abbracciò, mi disse: ”Renato, hai vinto per tutti noi”. Lì mi resi conto che eravamo riusciti a dimostrare al mondo di avere talento e che questo cazzo di abito non fa il monaco […] La cattiveria più grande? Averci sfrattato dall’appartamento di Via Ripetta. Per anni ho cercato di trovare per mia madre un appartamento in centro, invece poverina è morta alla Camilluccia, lontana da dove era nata. Per il resto io sono ancora uno che s’incazza come s’incazzano i romani e so essere prepotente come solo i romani sanno esserlo» (Giuseppe Videtti, ”la Repubblica” 4/6/2002). «[...] Tutto si può dire di Renato Zero tranne che manchi di coerenza. La sua forza (nel bene e nel male) è stata proprio la sincerità talvolta perfino imbarazzante con cui ha saputo mettersi in scena. ”Tradirsi, mai. il motto di tutta una vita”, racconta. ”Il mio percorso somiglia a quello di tutti gli artisti che hanno pagato un prezzo per restare fedeli a se stessi”. Quando alla fine degli anni Sessanta iniziò a cantare ricoperto di piume e lustrini nelle balere di provincia, gliene dicevano di tutti i colori. Ma è anche vero che la diversità di Zero, al contrario di quella di Bowie o di Pasolini, non ha mai spaventato nessuno. Tutti in famiglia hanno avuto almeno uno zio eccentrico e creativo o una zia monaca con i baffi, che ti perdona e ti promette tutto. Che capisce i vizi e sprona alla virtù. Sotto questo aspetto, Zero incarna un’icona stranamente familiare. Maschera della moderna Commedia dell’Arte in un’epoca in cui i generi, compresi quelli sessuali, si vanno progressivamente azzerando. Chi aveva mai visto prima un predicatore en travesti? Una drag queen-sora Lella? ”Sono rimasto trent’anni avanti, è colpa mia. Ma rifiuto l’etichetta di moralista. Ho sempre sostenuto quanto sia importante accettare i nostri difetti e conviverci armoniosamente. Altrimenti succede come in America, ogni tanto qualche psicopatico entra in una scuola con il mitra e fa fuori tutti”. Predicatore dunque, ma non bacchettone. Un nemico giurato dell’ipocrisia e dei potenti, pronto a battersi contro la droga, il consumismo, che però ha assimilato tutta la furbizia, l’opportunismo, l’umanità svaccata della cultura catto-romanesca. Ed è per questo che piace al suo pubblico. Parla la stessa lingua. Per la stessa ragione invece non è mai piaciuto troppo alla sinistra» (Alberto Dentice, ”L’espresso” 25/11/1999).