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 2002  marzo 07 Giovedì calendario

Zidane Zinedine

• Marsiglia (Francia) 23 giugno 1972. Ex calciatore. Con la Francia ha vinto il mondiale 1998 e l’europeo 2000, vicecampione del mondo nel 2006 (sconfitta in finale con l’Italia, lui fu espulso durante i supplementari per una celeberrima testata a Materazzi). Col Bordeaux raggiunse nel ”96 la finale di Coppa Uefa (persa col Bayern Monaco). Dal 1996 al 2001 ha giocato nella Juventus conquistando gli scudetti 1996/97 e 1997/98 e la coppa Intercontinentale 1996 ma perdendo negli stessi anni due finali di Champions League. Dal 2001/2002 al Real Madrid, ha subito vinto la Champions League segnando uno strordinario gol nella finale di Glasgow contro il Bayer Leverkusen. Ha vinto il Pallone d’oro nel 1998, 2° nel 2000, 3° nel ”97, 4° nel 2002, 5° nel 2003 e nel 2006, ecc.. Le celebrazioni del Giubileo Uefa (2004) lo hanno eletto miglior calciatore europeo degli ultimi 50 anni • «A furia di giocare per gli altri, ha imparato a giocare per sé. [...] era quello che per fare un Rui Costa ce ne vogliono due, o che, parola del Trap dopo una sbronza di vin santo, ”non lo cambierei con Totti nemmeno sotto tortura”. [...] persino l’Avvocato sorriderebbe del ”più divertente che utile” scappatogli a Mosca, il giorno dell’addio olimpico di Juan Antonio Samaranch. [...] La realtà è che Zizou ha sempre viaggiato per conto suo, viaggiato e lottato, sangue berbero, il Bronx marsigliese della Castellane come prima tana e primissima palestra; erano gli anni Settanta e, che ci crediate o no, in casa Zidane mancava la televisione. E allora, la passione per il calcio non poteva che nascere dal vivo e da dentro, su e giù per il Vélodrome, la reggia di Enzo Francescoli, il principe uruguagio, alto alto, secco secco, e quei piedi: le mani di un sarto. Enzo, come il primogenito di Zizou e Veronique, la moglie andalusa che a Torino sbadigliava e a Madrid balla il flamenco. [...] Il campione che a Torino, non appena sbagliava una partita, tornava improvvisamente algerino. L’uomo che veniva pesato sulla bilancia di Inzaghi (sic!) come se i numeri fossero più importanti del talento. Ventiquattro reti in 151 partite di serie A con la Juve. Venticinque gol in novanta partite in Nazionale. Con quel suo fisico da stopperone, e con quella chierica da prevosto, Zidane è cambiato e ha cambiato il mondo che lo circondava e lo teneva prigioniero. Non è uno stinco di santo, ai Mondiali del ”98 camminò sopra a un arabo, nella Juve e nel Real è stato espulso e riespulso, ha mollato testate e gomitate, la sua infanzia è stata un ring, però al pallone ha sempre fatto carezze, anche quando giocava difensore centrale nel Cannes. E il pallone, riconoscente, si è messo a baciargli le traiettorie. Dicevano di lui: bravo, ma lento. E decisivo, mai. Una pizza. Oggi non sanno più dove aggrapparsi: decisivo ma lunatico. O peggio: con gli inglesi andava sostituito. E bravi. Forse che si toglie un Maradona anche se fin lì si è chiuso in camera? Era la timidezza, il freno di Zizou. Il suo non voler allontanarsi troppo dal branco, cosa impossibile visto come giocava lui e come giocava il branco. La differenza, abissale, si nascondeva fra le righe della classe, righe che sembrano tutte uguali e che invece uguali non sono. Trequartista, esterno di sinistra, regista, rifinitore e finalmente attaccante. Palla a Zidane: il resto, mancia. Ha firmato la finale mondiale del ”98 (due gol di testa), la Champions League del 2002 (volée mancina in acrobazia, nei pub di Glasgow se ne parla ancora); è stato determinante agli Europei 2000 con la Spagna (punizione) e il Portogallo (rigore); e sempre con un gol alla Spagna ha inaugurato lo stadio di Saint-Denis, il suo stadio, il 28 gennaio 1998. Già il battesimo era stato splendidamente partigiano: a Bordeaux, il 17 agosto 1994, entra sul 2-0 per la Repubblica Ceca e colpisce due volte, all’85’ e 87’. L’evoluzione è stata naturale. Cannes e Bordeaux l’hanno avviato al mestiere. La Juventus ne ha forgiato il carattere e lucidato il repertorio tattico. Il Real ne ha impreziosito e stimolato il gusto estetico, avanzandone il raggio d’azione. La Francia, beata lei, si è giovata di una sintesi così raffinata ed efficace. Nessuna sorpresa. Al limite, erano poche le licenze che si prendeva in gioventù, bloccato dal timore d’invadere funzioni e territori non suoi» (Roberto Beccantini, ”La Stampa” 17/6/2004). «Il ragazzo partito da Marsiglia, il figlio d’immigrati algerini con il sorriso triste che starebbe benissimo nelle storie amare e sentimentali del marsigliese Jean Claude Izzo è uno che piace a tutti. Anche con la chierica. Senza i capelli, i fronzoli e i clamori del compagno di squadra David Beckham; senza gli eccessi roboanti di Ronaldo. Campione vero, Zidane è uno in grado di soddisfare la platea in campo, stimolare la fantasia di mamme e ragazzini e i desideri degli sponsor. Personaggio mediatico suo malgrado, il calciatore più caro del pianeta (76 milioni di euro versati nel 2001 dal Real Madrid alla Juve) è uno abituato a vincere e perdere tanto, ma sempre con garbo, leggerezza, senza drammi. ”Pallone d’Oro”, ”Giocatore dell’anno” della Fifa (tre volte, l’ultima nel dicembre 2003), campione del mondo (’98) e d’Europa (2000). Vittorie in Champions League, Coppa Intercontinentale e altro ancora. I due gol al Brasile nella finale mondiale del 12 luglio ”98, l’incredibile volée al Bayer Leverkusen nella finale di Champions League del 15 maggio 2002. Il pallone toccato con la suola della scarpa, la rapidità e il genio: qualità infinite [...] sempre misurato, salvo rare eccezioni, come quella gomitata in Champions League nell’ultima stagione juventina, che paradossalmente finiscono con il renderlo più umano, e forse proprio per questo tanto premiato e stimato. Ma Zidane è anche uno che ha fatto la gavetta, a Cannes, a Bordeaux, portato nel ”96 dall’Intertoto alla finale Uefa persa con il Bayern. Così come sono state perse le finali di Champions League con la Juve nel ”97 e nel ”98 contro Borussia Dortmund e Real Madrid» (Filippo Maria Ricci, ”Corriere della Sera” 23/4/2004). Ha detto Jorge Valdano: «Zizou è il culmine estetico di un secolo di di calcio. La sintesi fra l’armonia dei giocatori danubiani degli anni 50, l’inganno degli argentini, la tecnica brasiliana. [...] A Zidane bisognerebbe togliere la scatola nera e farne farne un libro di testo» (Luca Caioli, ”Corriere della Sera” 4/2/2004). « stata la cosa più bella e più diseguale in cinque anni di Juventus. Ha vinto solo due scudetti: per qualcuno è un bilancio misero, per altri quelle vittorie arrivarono perché c’era lui, altrimenti i bianconeri se le potevano sognare. Ha rincorso invano la Coppa dei Campioni, lui che pure vinse quella del Mondo segnando due gol di testa al Brasile. E non ha certo avuto una Juve eccezionale, attorno al suo genio irraggiungibile. Una squadra appena normale, invece. E lui a predicare nel deserto. Arrivò dopo i primi anni del tremendismo atletico di Lippi e Ventrone, l’epoca che ora è sotto inchiesta per doping. Comunque sia andata, in palestra e in farmacia, la Juventus di Zidane correva la metà di quella di Vialli e Ravanelli. E Zinedine correva solo quando ne aveva voglia. La discontinuità è sempre stata il suo vero limite. Impiegò molto tempo per ambientarsi, all’inizio il gioco bianconero lo scavalcava e lui restava ad osservarlo, nel mezzo, galleggiando come un turacciolo sotto la pioggia dei palloni che nessuno gli passava. Poi, con calma, forse troppa, caricò la squadra sulle sue spalle di torero rugbista e furono, talvolta, meraviglie assolute. stato l’unico genio di centrocampo robusto come un mediano e fantasioso come un trequartista. A Torino, ancor più che in Nazionale, ha segnato poco e ha usato la sua favolosa grandezza per perfezionare una speciale forma di isolamento. Non è stato mai un trascinatore, però restano di lui immagini di pura bellezza. La sua partita più grande la giocò forse a Parma, nel 1999/2000, dove la Juve dominò e venne beffata da Crespo all’ultimo secondo. Ma, per chi ha avuto la fortuna di esserci, anche l’esibizione del 2000/2001 a Bologna non sarà portata via dalla memoria. Ha fatto molti capricci, a Torino. Per la prima casa, che non gli piaceva perché senza giardino. Per la città, che non gli garbava perché senza il mare. Moggi gli trovò un giardino, e per il mare ha avuto anche lui qualche obiettiva difficoltà. stato anche egoista, Zizou: prima dei Mondiali e degli Europei ha spento la luce a fine inverno, per risparmiarsi. E dopo i Mondiali quella luce era altrove, e lui completamente scarico. Nel 2000 voleva già andarsene, l’Avvocato gli chiese il favore di restare ancora un po’» (Maurizio Crosetti, ”la Repubblica” 5/7/2001). «Per prima cosa bisogna immaginare un bambino che gioca in una strada popolare di Marsiglia, con uno sfondo di palazzi molto alti disposti a ferro di cavallo attorno ai cortili. Insieme al bambino, che si chiama Zinedine, c´è suo fratello che si chiama Djamel. Non sono nomi francesi, sono nomi algerini. Djamel gioca sempre a pallone insieme a Zinedine, che è più piccolo ma più abile. Solo un vantaggio ha Djamel rispetto a Zinedine: sa fare la veronica. Nel senso che gli riesce un giochetto che prevede di girare attorno al pallone, spostandolo appena con la suola della scarpa, il pallone quasi fermo e il giocatore che gli ruota intorno, strano satellite nell´orbita di un mondo non meno misterioso. Alla fine, Zinedine convince Djamel a renderlo partecipe del segreto: sarà, calcisticamente parlando, l´inizio di Zidane e la fine del fratello di Zidane. Ora bisogna andare un po´ avanti con gli anni, Zinedine gioca nella serie A francese contro il Cannes, e nella stessa partita s´inventa due strabilianti giravolte su se stesso, non una, due. ”Ma quel giorno pensai che non bisogna esagerare, perché se si sbaglia si diventa ridicoli”. Ora siamo a Valladolid, Spagna [...] e Zidane ci gioca con la maglia del Real Madrid. A un certo punto della partita, l´istinto gli mette tra i piedi tutto quello che abbiamo immaginato prima: la strada di Marsiglia, suo fratello, la veronica, il pallone, la suola della scarpa. Ci sono due avversari da superare, e lui fa quella cosa che gli spagnoli chiamano ”ruleta” (sarebbe la roulette) e non veronica (e tu guarda i casi della vita: la moglie di Zinedine si chiama, giustappunto, Veronique, come dire che Zizou ha sposato un dribbling). ”Ci ho messo sette anni per imparare la ruleta, sette anni di calcio in strada per sei ore al giorno” ha detto il più grande giocatore del mondo. ”Quando non ci riuscivo, Djamel mi sgridava. Ancora oggi non passa giorno al campo d´allenamento che io non dedichi qualche minuto in più per migliorare la tecnica della ruleta. Ma di solito non è una cosa che riesca dentro l´area di rigore, perché gli avversari lì non ti lasciano proprio muovere”. Nel mondo un po´ inquietante dei videogiochi c´è persino chi ha brevettato la ruleta di Zidane, permettendo di replicarla spostando bottoni e pomelli» (Maurizio Crosetti, ”la Repubblica” 4/2/2004).