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 2002  marzo 07 Giovedì calendario

ZINCONE Giuliano

ZINCONE Giuliano Roma 20 dicembre 1939. Giornalista. Ex del Corriere della Sera. Adesso in pensione, scrive su Foglio, Sole-24 Ore ecc. • «[...] ero stato assunto non per i miei (presunti) meriti ma perché figlio di un giornalista. Se ne infornavano molti, allora. Non perché fossero raccomandati (anzi!), ma perché si riteneva, come per i cavalli, che avrebbero ereditato le qualità dei padri. [...] non avevo la minima intenzione di fare il giornalista, non avevo mai letto i giornali, mi interessavano soltanto il teatro e la pittura, ignoravo del tutto il “Corriere” [...] Con questo fardello, eccomi nel buio di via Solferino, accompagnato dal babbo. [...] Entriamo in una stanzetta invasa da pezzi di carta (le agenzie!), ci sediamo sopra un divano di similpelle e, davanti a noi, un tizio (caporedattore? vicedirettore?) nemmeno si alza, nemmeno dice buongiorno. Niente, continua a guardare i suoi fogli. Il mio babbo, che oltretutto è deputato, non si offende. Io sì, moltissimo, e penso: chi cavolo credono di essere? Ed è proprio necessario prendere pesci in faccia, per lavorare? [...] Dopo la penosa seduta, ecco il corridoio del “Corriere”, dove si aggirano personaggi che si danno un mucchio di arie e che fanno finta di sapere tutto. Sono gli Inviati Speciali, e ritengono davvero di essere persone speciali. “Un giorno, forse, diventarai come loro”, mi dice il Direttore, quando l’incontro. Io, veramente, volevo diventare come Shakespeare, ma grazie lo stesso. Eccomi finalmente nel mio luogo di lavoro, la redazione letteraria. Il capo, Enrico Emanuelli, è affettuoso e gentile, mi chiede perfino consigli. Eugenio Montale è spiritoso e bonario. Dino Buzzati è timido e cortese. Però gli Inviati Speciali credono di essere più importanti di lui, e lo chiamano “Cretinetti”. È il 10 febbraio 1966 [...]» (“Sette” n. 52/2000) • «Quando fu alla guida del quotidiano di Genova “Il Lavoro”si fece licenziare per non aver voluto ammorbidire una sua posizione in contrasto con quella dell’editore: “Mi chiedeva di non pubblicare il documento delle Br che avevano rapito D’Urso. L’amministratore delegato era Bruno Tassan Din: era la Rizzoli dei tempi della P2, anche se io allora non lo sapevo. Mi accusarono di far parte delle Br. Perfino di avere brindato alla morte del mio amico Walter Tobagi. C’era un’enorme ostilità nei miei confronti. Io ero un inviato del “Corriere della Sera” distaccato al “Lavoro”. Quando mi licenziarono pretendevano che me ne andassi anche dal “Corriere della Sera”. Ebbi l’arroganza di dichiarare: “Il ‘Corriere della Sera’ è casa mia. Se ne devono andare loro’. Per 3 anni e mezzo continuai ad andare al ‘Corriere’, alla mia scrivania, senza fare niente. Poi, alla fine, se ne andarono loro […] Quando cominciai a lavorare ero talmente presuntuoso che se la persona che dovevo intervistare mi faceva aspettare più di dieci minuti me ne andavo […] Rileggo i miei articoli anche dopo anni, perché ritengo che i giornalisti dopo una certa età possono imparare soltanto da se stessi. Non riuscirò mai a essere Balzac, ma posso arrivare a essere meglio dello Zincone di dieci anni fa […] Ho fatto le medie dai gesuiti di Mondragone dove c’era addirittura la delazione. Una cassettina in cui si deponevano denunce anonime. Ebbi dei problemi quando un tale Lante mi accusò di averlo chiamato ‘lo scoreggiante’”» (Claudio Sabelli Fioretti, “Sette” 7/2/2002).