Varie, 7 marzo 2002
ZOFF
ZOFF Dino Mariano del Friuli (Gorizia) 28 febbraio 1942. Ex calciatore. Portiere e capitano della nazionale di calcio campione del mondo nel 1982, campione d’Europa nel 1968, con la Juventus vinse sei scudetti (1972/73, 1974/75, 1976/77, 1977/78, 1980/81, 1981/82), due coppe Italia (1978/79, 1982/83) e una coppa Uefa (1976/77) perdendo due finali di Coppa dei Campioni (1973 con l’Ajax, 1983 con l’Amburgo). In totale giocò 570 partite in serie A (Udinese, Mantova, Napoli, Juventus) e 112 in nazionale (battendo il record di Facchetti, poi battuto da Paolo Maldini). Secondo nella classifica del Pallone d’Oro 1973, 6° nel 1981, 8° nel 1982, 11° nel 1980, 26° nel 1976. Da allenatore guidò la nazionale Olimpica raggiungendo imbattuto la qualificazione per Seul ”88, la Juventus (coppa Uefa e coppa Italia nel 1990), la Lazio, la Fiorentina e la nazionale maggiore, con la quale conquistò il secondo posto agli Europei del 2000 (sconfitta 2-1 con la Francia al golden goal) • «Si sa, il silenzio è d’oro. Se stai zitto, qualunque cosa si stia dicendo in giro, fai sempre una certa figura: nella tua testa si potrebbero agitare pensieri degni di Einstein, non si può mai sapere. Ma se parli, se esprimi un’opinione, se ti sbilanci e apri bocca, allora decidi di rischiare, di metterti in gioco e in discussione. E può finire male. Dino Zoff è uno che tace. Attorno a lui rumore, liti, polemiche, cori e canti. Il mondo si agita e Zoff tace. La gente freme e preme, sgomita, insulta e picchia. E Zoff tace. Cucendosi la bocca, ha creato un mito. Non è più un uomo, ma un monumento, cui manca solo la parola. Un bravissimo giocatore. Essendo uomo di sostanza più che di apparenza, badava al sodo. Non volava come Albertosi. Non si gettava tra i piedi dell’attaccante come Ghezzi. Non era istintivo come Castellini. Sembrava che fosse il pallone, deferente, a finire dalle sue parti. Per non farlo sporcare: cadere e tuffarsi, in fin dei conti, gli piaceva poco e poi lo facevano tutti. Zoff stava fermo. I suoi non erano balzi, ma passi impercettibili che lo portavano comunque a incontrarsi con il pallone. Grande portiere da amatori più che da platea. E sarebbe passato senza lasciare innamorati delusi e frustrati o comunque senza trovare posto nell’Olimpo tra Apollo e Diana caccatrice, se a fine carriera non gli fosse capitato di vincere un mondiale e di prestare le sue mani per il francobollo di Guttuso. Zoff ha vinto il mondiale del silenzio stampa e non può essere un caso. Ha parlato poco anche da allenatore. E qui, tenendo a freno la lingua, si è fatto notare. Perché ai calciatori devi parlare. Ai dirigenti pure. Per non dire dei giornalisti, che sono, via via, diventati la sua croce. Non poteva limitarsi a guardarli in faccia e scuotere la testa sempre più grigia, gesto che incuteva rispetto, ma, stringi stringi, non voleva dire niente. Con microfoni e telecamere bisogna darsi da fare. La televisione offre spettacoli e anche la conferenza stampa dell’allenatore deve esserlo. I silenzi di Zoff sullo schermo diventavano buchi neri. I montatori tagliavano le pause, mettevano insieme due parole e via, il miracolo era servito. Appariva Zoff e lo share, sceso a profondità sconosciute, meditava il suicidio. Ha allenato Juve, Lazio, Nazionale eppure di lui e del suo calcio sappiamo pochissimo. [...] Tacendo, si è difeso: il nemico in fin dei conti è in ascolto. Zoff va capito e interpretato, come i classici della letteratura. Studiare: un problema per calciatori e dirigenti, che di solito lasciano cadere. Si fece sentire solo quel giorno in cui abbandonò la Nazionale perché l’aveva criticato Berlusconi. Non accetto lezioni di dignità: lo disse a bassa voce, ma sembrava un urlo e ne avvertiamo ancora l’eco» (Roberto Renga, ”Il Messaggero” 26/1/2005) • «C’è chi lo ha definito ”il monosillabo più amato dagli italiani”. Ma in oltre quarant’anni di calcio, tra campo, panchina e scrivania, s’è visto assegnare anche altri soprannomi. Mito e monumento, istituzione e SuperDino o anche ”commendatore volante”, allorché dopo la vittoria nel Mondiale ”82 un’ulteriore onorificenza s’aggiunse a quella che gli era stata attribuita per la conquista del titolo europeo nel ”68. A sessant’anni trascorre le sue giornate al circolo romano di cui è socio, alternando il tennis al golf e al biliardo. [...] ”Ho sempre desiderato essere portiere, forse perché in campo il portiere è un uomo solo e a me piacciono gli sport individuali”. […] Secondogenito di due agricoltori. A 14 anni, quando viene tesserato dalla Marianese, non arriva a 160 centimetri. Per farlo crescere, sua nonna gli fa bere otto uova al giorno. L’esito è portentoso. Nel ”61, quando lo ingaggia l’Udinese e smette di fare il meccanico, è alto 182 centimetri. A lanciarlo in serie A provvede l’allenatore Bonizzoni, ma l’esordio è scoraggiante. Dino incassa cinque gol a Firenze e in prima squadra ci torna soltanto tre volte. Nel ”63 viene ceduto al Mantova, dove resta per quattro anni, sperando invano di essere selezionato per il Mondiale del ”66. Il c.t. azzurro è Edmondo Fabbri, che proviene proprio dal Mantova e che però in Inghilterra porta Albertosi, Anzolin e Pizzaballa. ”Probabilmente mi lasciò a casa per evitare accuse di favoritismo”, si consola Dino, che nell’estate del ”67 potrebbe passare al Milan, spaventato però dalla richiesta di 185 milioni. Chi invece non si spaventa è Gioacchino Lauro, figlio del mitico comandante, che porta Zoff a Napoli in cambio di 130 milioni più il portiere Bandoni. ”In cinque anni Napoli mi ha arricchito della sua allegria”, confesserà Dino, che il 20 aprile 1968 debutta in nazionale proprio davanti al pubblico partenopeo e che due mesi più tardi a Roma diventa campione d’Europa prima di sposare Annamaria, una bella ragazza mantovana che gli darà un figlio. In maglia azzurra è ormai divampata la rivalità tra Zoff e Albertosi, che torna titolare al Mondiale del ”70. ”Ci restai molto male ma rispettai la scelta di Valcareggi, che aveva puntato sul blocco del Cagliari, fresco di scudetto”. Due anni più tardi Allodi porta Zoff alla Juve, che lo paga 330 milioni più Carmignani e Ferradini. Comincia la lunga avventura bianconera di SuperDino. Undici stagioni senza mai saltare una partita, 330 presenze consecutive, che probabilmente costano qualche crisi di frustrazione ai portieri di riserva. Miscela di serietà, bravura e scontrosità, diventa inamovibile anche in nazionale, dove non incassa gol per 1.143 minuti, un record che alla vigilia del Mondiale ”74 gli vale la copertina sul prestigioso ”Newsweek” sotto un titolo significativo: ”The world’s best”, il migliore del mondo. ”Al Mondiale del ”78 in Argentina avevamo la squadra più forte, ma io non fui sempre all’altezza dei miei compagni. Qualche gol ce l’ho sulla coscienza”. A beffare Dino sono due olandesi in semifinale e due brasiliani nella finale per il terzo posto. Si riscatta quattro anni dopo in Spagna, già quarantenne, capitano e portavoce (proprio lui che parla poco e a labbra socchiuse) della squadra in silenzio stampa che conquista il titolo iridato. Coccolato dal presidente Pertini e immortalato da Guttuso su un celebre francobollo, compie il suo capolavoro bloccando al 90’ una violenta conclusione del brasiliano Oscar. ”Non è stata la mia parata più bella, ma sicuramente la più importante”. ”Non posso parare anche l’età”, spiega commosso il 2 giugno 1983, annunciando il proprio ritiro. Alle spalle si lascia una sfilata di primati. Accetta di allenare i portieri della Juve, ma dopo due anni si dimette. ” un ruolo senza futuro che mi va stretto”, chiarisce, assumendo la guida della nazionale olimpica, che si qualifica imbattuta per i Giochi ”88 di Seul, dove però in panchina si siede Rocca perché Zoff ha scelto di tornare alla Juve, chiamato da Boniperti per sostituire Marchesi. Un quarto e un terzo posto in campionato e la conquista di Coppa Italia e Coppa Uefa, non bastano a Dino per meritarsi la considerazione di Montezemolo, che sogna una squadra-spettacolo e strappa Maifredi al Bologna. ”Non mi sono mai aspettato niente da nessuno”,commenta gelido Zoff prima di trasferirsi alla Lazio. Quattro stagioni sulla panchina biancoceleste, ingaggiato da Calleri e confermato da Cragnotti, preludono a un nuovo ruolo per Dino, quello di presidente, abbandonato per pochi mesi nel ”97 per rimpiazzare in panchina Zeman e trascinare la Lazio dal dodicesimo al quarto posto. Due anni più tardi arriva l’offerta per guidare la nazionale dopo la mancata conferma di Cesare Maldini. Potrebbe essere il coronamento di una carriera straordinaria, che festeggia conquistando la qualificazione per l’Europeo. In Olanda l’Italia si spinge sino alla finale con la Francia, arriva a un passo dal titolo ma si fa raggiungere sul pareggio al 90’ per poi regalare la vittoria ai francesi, lanciati da un golden-gol di Trezeguet. Una sconfitta onorevole e rocambolesca che non sembra compromettere le quotazioni di SuperDino, sul quale s’abbattono però poche ore dopo le sorprendenti e feroci critiche di Silvio Berlusconi, che al raduno del Milan dice tra l’altro: ”Sono veramente dispiaciuto e anche indignato. Si può lasciare uno come Zidane libero di diventare l’iniziatore di tutte le azioni francesi? Anche un dilettante l’avrebbe visto, figurarsi un professionista. Lo spettacolo è stato indegno. Evidentemente l’acutezza e l’intelligenza uno ce l’ha o non ce l’ha”. All’allora leader dell’opposizione, contro il quale si schierano sommessamente pure alcuni suoi compagni di partito, Zoff replica convocando il 4 luglio 2000 una conferenza stampa di appena sette minuti per annunciare le proprie dimissioni. ”Non prendo lezioni di dignità dal signor Berlusconi e quindi non mi sembra giusto che io continui a rappresentare l’Italia. Non concepisco che si debba denigrare l’operato degli altri, che non si rispetti l’uomo, che si offenda un lavoratore”. La decisione è irrevocabile e qualcuno insinua che Dino abbia preso la palla al balzo per sbarazzarsi di un incarico prestigioso ma scomodo. Per lui è di nuovo pronto un ruolo alla Lazio, dove subentra a Eriksson, che ha scelto di fare il c.t. dell’Inghilterra. Il terzo posto finale gli vale la conferma per il 2001/2002, ma tre pareggi filati in campionato e lo scivolone casalingo contro il Nantes in Champions League gli costano l’esonero. il settembre 2001. ”Voglio prendermi una pausa di riflessione e riposarmi senza pensare al futuro” riferisce lui, che nasconde rabbia e delusione tra una partita a tennis e una sfida a biliardo, blindato da un contratto miliardario» (Mario Gherarducci, ”Corriere della Sera” 25/2/2002) • «Un portiere non deve inventare, ma neutralizzare l’inventiva degli attaccanti. [...] Piccolo, mingherlino, mi mettevano in porta la domenica, con il vestito della festa. Tornavo infangato e lacero. Un dramma a casa, a quei tempi non ci si cambiava d’abito tutti i giorni. [...] Lo zimbello del paese. Convinti che non crescessi, mi misuravano sulla staccionata di una falegnameria. A Udine mi chiamarono Suf, da noi è una minestra povera di latte e farina di polenta. [...] Il mio esordio in serie A? 5 gol a Firenze. La settimana seguente andai al cinema, i film allora erano preceduti dalla settimana Incom che in chiusura dava lo sport e le mie 5 papere. Sprofondai sulla poltrona, non riuscii proprio a godermi il film [...] Zamora disse: Cristo è a mani aperte per parare i peccati del mondo. [...] Allora c’erano prospettive diverse, si vedeva il calcio da lontano, c’era gavetta, essere un portiere di serie C era un traguardo. Oggi è più facile arrivare in alto, difficile però è rimanere» (Tiziana Bottazzo, ”La Gazzetta dello Sport” 16/9/2003).