Varie, 7 marzo 2002
ZOLA
ZOLA Gianfranco Oliena (Nuoro) 5 luglio 1966. Ex calciatore. Dal 2008/2009 allenatore del West Ham. Con il Napoli vinse lo scudetto 1989/90, con il Parma la coppa Uefa 1994/95, con il Chelsea la coppa delle coppe 1997/98. Con la nazionale ottenne il secondo posto ai mondiali del 1994. Nel 2003/2004 tornò in Italia conquistando subito la promozione in A col Cagliari. Vanta 35 presenze e 8 gol in nazionale. Sesto nella classifica del Pallone d’Oro 1995, 15° nel 1997, nomination anche nel 1999 • «[...] Per i supporter londinesi è una leggenda [...] è arrivato al Chelsea nel novembre 1996, da Parma. Tre stagioni in Emilia, dopo i quattro di Napoli. Nel Napoli di Maradona [...] che lo chiamava ”Zolin”. Dopo alcune stagioni tra i dilettanti (prima Nuorese poi Torres), l’esordio tra i professionisti è stato con il botto: il secondo scudetto partenopeo, al quale contribuisce sostituendo proprio l’argentino quando fa le bizze. Le stazioni della carriera di Zola ricordano una sorta di viaggio di formazione, una faticosa scalata, una meritata conquista. Un Gran Tour dai campetti brulli e gibbosi delle categorie inferiori agli stadi della Premiership, eleganti come salotti. Oliena, il paese dove è nato, è immerso nella Barbagia nuorese ai piedi del Monte Corrasi, ”il più bello che Dio abbia mai creato”, parola di Salvatore Satta. [...] Il calcio come passione, non come professione, almeno fino a quando Luciano Moggi non lo ha chiamato a Napoli. [...]» (Lorenzo Amuso, ”Capital” giugno 2003). «[...] Io sono rimasto il ragazzino di Oliena, quello a cui la maglia arrivava sulle ginocchia [...] Tamburino sardo non m’è mai piaciuto. Sardo va bene, tamburino no. Sono già piccolo di mio, i diminutivi non li digerisco. Sa quale fu la prima frase di Maradona, quando arrivai al Napoli? Finalmente ce n’è uno più basso di me [...] Cerco di far vedere un calcio di fantasia, di tecnica, non credo che la gente vada allo stadio e paghi il biglietto per esaltarsi davanti a un passaggio di cinque metri. Piuttosto, per un lancio di trenta, per una doppia finta con dribbling. Se io penso ai miei idoli, Maradona, Platini, Zico, Bruno Conti, sono tutti giocatori che facevano cantare il pallone. Uno di un altro ruolo che m’è sempre piaciuto è Leo Junior [...] Lo stress è più di quelli che cercano un lavoro e non lo trovano, o lo trovano e sono sfruttati per poche lire. [...] Però lo stress esiste anche per noi, io l´ho provato e credo mi abbia condizionato, soprattutto in nazionale. Poi sono riuscito a vincerlo con lo yoga, le tecniche di respirazione [...] Gullit mi aveva messo a centrocampo, dicendomi che i difensori inglesi uno col mio fisico se lo mangiavano a colazione. Il centrocampo inglese è un´idea vaga, spesso è scavalcata dai lanci lunghi dei difensori. La prima volta che Gullit mi ha messo di punta ho fatto due gol e punta sono rimasto [...] a Stamford Bridge ognuno arrivava con la sua macchina, prima della partita. Come alla Nuorese, la mia era una Renault 9 bianca. Dalla serie C in su, in Italia allo stadio si arriva tutti insieme, sul pullman. Ridevo perché mi sembrava di aver fatto tanta strada per ritrovarmi al punto di partenza. Oppure, ridevo perché in Inghilterra ho scoperto che i ritiri non servono a niente, quando un giocatore sa gestirsi. Le cose sono chiarissime, nel rispetto dei ruoli. I tifosi non aggrediscono i giocatori contestandogli la discoteca o il pub, non è compito loro. Per quello c’è l´allenatore. Ai tifosi basta che si dia tutto sul campo. Se si perde, battono ugualmente le mani [...] Da noi la domenica sera in tivù non si vede il calcio ma l´autopsia del calcio. Attenzione, non voglio fare l’anglofilo a tutti i costi, anzi dico che il calcio italiano è superiore a quello inglese, ma la cultura calcistica no, ma la vivibilità degli stadi no. Si è sempre giocato per vincere, anche da bambini, ma oggi in Italia sono tutti incazzati tranne Cafu. vero che si viaggia su ritmi più elevati, può essere che la vittoria non abbia componenti solo sportive, ma vogliamo parlare del rigore tattico che ha fatto passare in secondo piano le doti individuali? Prendiamo due squadre che applicano un perfetto 4-4-2. lo stallo, è la noia, è il calcio in gabbia. Io sono con quelli che escono dalla gabbia. Io devo esserti superiore nel gioco, non impedirti di giocare, non aspettare il tuo scivolone con una condotta utilitaristica e sorniona. In questo senso la Nuorese si è saldata al Chelsea [...] Da bambino sentivo dire che i gatti hanno sette vite. Con gli amici ne ho buttati un po’ giù dal tetto [...] Non studiavo volentieri, avevo in testa solo il pallone. Comunque se sono fatto così è perché così mi ha voluto mio padre. Gli piaceva il calcio, non era giocatore. Rispettare le regole, rispettare gli avversari, quante volte me l’ha detto. [...] se c’è una cosa di cui mi sento parzialmente vittima è la scarsa attenzione del calcio italiano verso la Sardegna. Ho fatto una gavetta lunghissima, sono arrivato in A che avevo quasi 24 anni. C’era stata un’offerta del Torino quando ne avevo 13, troppo giovane per muovermi da casa, poi Giovanni Maria Mele detto Zomeddu, il mio primo maestro di calcio, ha provato a segnalarmi all’Atalanta, alla Lazio, alla Sampdoria, al Cagliari, ricevendo sempre la stessa risposta: è troppo piccolo, è troppo gracile, non ci interessa” [...] Che tipo era Zomeddu? ”Insegnava matematica e fisica, tipo sergente di ferro. Mi ha fatto piangere un sacco di volte, ma sempre a fin di bene. Voleva che crescessi internamente. Se non sai affrontare situazioni così, meglio che torni a vendere gazzose con tuo padre. Così mi diceva. Però mi diceva anche che le mie finte di corpo gli ricordavano quelle di Boskov” [...] amarezze? ”Sono legate alla nazionale. Nel ”94 speravo di giocare prima, stavo bene, con la Nigeria appena entro l’arbitro mi butta fuori senza che avessi fatto fallo. Tre turni di squalifica. E l’arbitro radiato pochi mesi dopo perché si vendeva le partite. Comincio a sperare negli Europei del ”96, ma sbaglio il rigore con la Germania, mi assumo tutta la responsabilità dell’eliminazione, che forse non era tutta mia. Giorni nerissimi. I sogni, o si realizzano o si spezzano. E vivere coi loro cocci è difficile. C’è una curiosità, sia a Boston sia a Manchester avevo la maglia numero 21. Quando arrivo al Chelsea, trovo l’armadietto numero 21 e dentro un paio di scarpe della mia misura con scritto 21 sotto la suola. L’armadietto non l’ho mai usato e le scarpe le ho bruciate [...]» (Gianni Mura, ”la Repubblica” 11/2/2005). «A Napoli ho trascorso quattro anni straordinari. Provenivo dalla serie C e approdavo in quella che allora era la più forte squadra italiana. Non ci fossero state le esigenze di bilancio a suggerire nel 1993 la mia cessione, ci sarei rimasto volentieri, anche perché non sono il tipo che ama cambiare spesso aria. Sono stato altrettanto fortunato ad arrivare a Parma nel momento in cui la squadra era vincente, unico rimpianto uno scudetto soltanto intravisto […] Non rimpiangerò mai lo spazio che Maradona mi ha sottratto nelle prime due stagioni a Napoli, gli sarò invece eternamente riconoscente per tutto quello che mi ha insegnato. Sono stati il suo esempio, i suoi consigli e i miei sforzi per imitarlo a consentirmi di migliorare come calciatore […] Devo molto a tre allenatori: Mele, che guidava la nuorese. stato il mio primo mister e mi ha insegnato le cose giuste. Un altro è Scala, che a Parma comprese per primo che dovevo cambiare ruolo e mi aiutò a farlo. Il terzo è Ranieri, che quand’era al Napoli si oppose all’acquisto di un attaccante con le mie caratteristiche e mi affidò la maglia che era stata di Maradona» (Mario Gherarducci, ”Corriere della Sera” 6/5/2001).