nn, 8 marzo 2002
Tags : Anno 1901. Raggruppati per paesi. Svezia
ARROW Kenneth. Nato a New York (Stati Uniti) il 23 agosto 1921. Economista. «Nel suo testamento del 1901 Alfred Nobel si limitò a istituire il suo famoso premio per la letteratura, la fisica, la chimica, la medicina e la pace
ARROW Kenneth. Nato a New York (Stati Uniti) il 23 agosto 1921. Economista. «Nel suo testamento del 1901 Alfred Nobel si limitò a istituire il suo famoso premio per la letteratura, la fisica, la chimica, la medicina e la pace. Fu la Banca Centrale di Svezia ad allargare il premio all’economia nel 1968, per festeggiare il suo terzo centenario. Kenneth Arrow, uno dei maggiori economisti del mondo, fu uno dei primissimi vincitori del premio, nel 1972. Lo meritò soprattutto grazie a due risultati epocali, che provocarono veri e propri terremoti intellettuali. Il primo, negativo, dimostra che ”la democrazia non esiste”, nel senso che una piccola serie di condizioni apparentemente irrinunciabili per la democrazia risultano essere incompatibili fra loro. Il secondo risultato, positivo, dimostra invece che ”la mano invisibile del mercato esiste”, nel senso che sotto certe condizioni naturali la domanda e l’offerta del mercato raggiungono un equilibrio.[...] ”Ho studiato analisi superiore e le equazioni differenziali, che in seguito ho usato parecchio. Ma mi eccitò particolarmente un corso di probabilità e statistica: benché piuttosto brutto, mi insegnò che si potevano fare affermazioni precise e utili su un mondo incerto. Per conto mio studiai anche la logica matematica, che mi diede un’emozionante prospettiva sulla vera natura del ragionamento”.Dai suoi lavori sulla scelta sociale, è chiaro che aveva anche interessi filosofici. ”Stranamente, non ho fatto studi regolari di filosofia. Lessi un bel po’ di Bertrand Russell. E, in seguito, dei filosofi più influenti nell’economia: Jeremy Bentham e Henry Sidgwick. Le idee di Kant le ho imparate di seconda mano, benché in molti rispetti le consideri le più eccitanti. Molto dopo i miei studi sulla scelta sociale ho letto la Teoria della giustizia di Rawls£.E’ passato dalla matematica all’economia ”Il cammino è stato casuale, come si addice a chi si interessi di probabilità. Capii che ciò a cui ero veramente interessato era la statistica, con qualche preferenza per i fondamenti. Di posti dove studiare statistica ce n’erano pochi, e nessuno aveva un dottorato. Quindi mi iscrissi a matematica alla Columbia University, ma capii presto che i matematici non consideravano la statistica una cosa seria. Il mio professore, Harold Hotelling, insegnava anche economia matematica, e mi convinse a passare al dottorato in economia. I suoi corsi di statistica erano meravigliosi, e io incominciai a percepire che c’erano un sacco di problemi in economia per i quali la matematica e la statistica sarebbero state utili”.E’ anche stato allievo del grande logico polacco Alfred Tarski. ”Tarski era venuto a New York per qualche convegno nell’agosto 1939, e fu sorpreso dallo scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Il Dipartimento di Filosofia aveva un posto libero, e colse l’occasione per offrirglielo. Lui, però, non conosceva l’inglese, e non poté iniziare a insegnare che nel febbraio 1940. Agli inizi nessuno di noi riusciva a capirlo: parlava più o meno correttamente, ma con accenti completamente sbagliati. Poi ci abituammo alla sua dizione”. I suoi studi di logica, e in particolare di teoria delle relazioni, l’hanno aiutato a trovare e provare il suo famoso teorema di impossibilità della democrazia, del 1951? ”Le formule logiche, e in particolare l’uso di concetti della teoria delle relazioni quali transitività e completezza, fornirono il linguaggio essenziale. Appena incominciai a studiare economia capii, grazie all’insistenza di Hotelling, che la teoria economica del consumatore si poteva enunciare nei termini di una relazione d’ordine. Ancora oggi non vedo come si possa discutere delle scelte, sociali o individuali, senza usare i concetti della teoria delle relazioni. Il significato profondo del mio teorema è che non possiamo escludere la possibilità di conflitti irresolubili. Anche se questa è solo una possibilità, rimane comunque una profonda verità sul mondo sociale. In poche parole, la democrazia non sempre funziona. Potrei aggiungere che la definizione di democrazia nella teoria delle scelte sociali è così debole, che il teorema si applica a qualunque sistema per conciliare preferenze individuali. Comprese le dittature, perché anch’esse ammettono una pluralità di centri di potere [...] Per cariche isolate, quali la Presidenza degli Stati Uniti, io preferisco il sistema preferenziale a turno unico. In altre parole, ogni votante classifica i candidati, e il candidato che ha la maggioranza assoluta di prime scelte vince. Se nessuno ha la maggioranza, il candidato con il numero minore di prime scelte viene eliminato e le liste di preferenza vengono aggiornate. Si continua, poi, fino a che qualche candidato ottiene la maggioranza. Per cariche multiple, quali le legislature, preferisco una quota proporzionale (individuale, non partitica) e una uninominale (eletta con il procedimento precedente). Se però ci sono minoranze significative e identificate, come nel caso di molti paesi africani con diverse etnie tribali, bisogna modificare il sistema per proteggerle”. Sul sistema elettorale statunitense, che permette a un candidato di vincere anche senza la maggioranza dei voti popolari: ”Lo scopo originale era di proteggere gli stati piccoli, ma oggi essi non rappresentano più nessun interesse riconoscibile. Io preferirei abolire i collegi elettorali e avere un sistema preferenziale del tipo che ho descritto [...] Quando io ero studente nessuno aveva realizzato quanto le istituzioni economiche esistenti potessero essere spiegate in termini di mancanza di informazione. E non c’erano gli strumenti tecnici per lo studio delle dinamiche economiche, che abbiamo dovuto sviluppare. La mia illusione maggiore è stata pensare che, una volta determinate le condizioni di ottimalità, si sarebbe potuto effettuare una programmazione razionale. Ora ho capito che la mancanza di adeguata informazione al centro, unita al comportamento opportunistico della burocrazia, impediscono una pianificazione efficace anche in presenza della decentralizzazione, soprattutto a lungo termine. E la cosa vale non soltanto per lo stato, ma anche per le imprese”» (Piergiorgio Odifreddi, ”la Repubblica” 14/6/2001).