Stefano Sieni su Il Giorno del 05/03/02 a pagina 39., 5 marzo 2002
Ricostruita in un laboratorio americano la battaglia del Little Big Horn, sfida tra gli americani e i pellerossa (dai Sioux ai Cheyenne), che si concluse in un massacro, nel tardo pomeriggio del 25 giugno 1876
Ricostruita in un laboratorio americano la battaglia del Little Big Horn, sfida tra gli americani e i pellerossa (dai Sioux ai Cheyenne), che si concluse in un massacro, nel tardo pomeriggio del 25 giugno 1876. Sul campo, in cui morirono il tenete colonello George Armstrong Custer («Avanti ragazzi, ci sono indiani per tutti», le sue ultime parole), gli uomini del Settimo Cavalleria e numerosi pellerossa, molti oggetti e resti umani: dopo accurate analisi, gli studiosi hanno ricostruito il combattimento fin nei minimi particolari. E’ certo che tra le file di bianchi combattessero molti indiani rinnegati o di tribù nemiche dei Sioux e dei Cheyenne (ad esempio gli scout di Custer, comandati dal mezzosangue siuox Mitch Bouyer, erano del popolo dei Corvi), e da alcuni test sulle ossa si può pensare che gli «invincibili veterani» fossero in realtà molto malridotti, con denti a pezzi e gravi problemi alla spina dorsale. Esami balistici dimostrano, inoltre, che non pochi soldatii, da entrambe le parti, morirono per mano dei propri alleati o colpiti alle spalle nel tentativo di fuggire, mentre molti si uccisero per non cadere prigionieri. La stessa sorte si pensava fosse toccata a Custer. Toro Bianco, nipote di Toro Seduto, era solito raccontare di aver ucciso Custer in un feroce corpo a corpo; fatto sta che, quando il 27 giugno 1876 un gruppo di militari e scout indiani comandati dal tenente Bradley giunse sul luogo del massacro, tra corpi mutilati sparsi dovunque, trovò anche quello di Custer: di schiena, completamente nudo, appoggiato su una collinetta sopra altri due cadaveri, un foro di proiettile al cuore e uno alla tempia sinistra. Vicino a lui i corpi dei fratelli Tom e Boston, del nipote Autie Reed e del giornalista Mark Kellogg. Si pensò subito al suicidio, ma oggi si può escludere questa possibilità per la mancanza, all’epoca, di bruciature attorno alla ferita e per il fatto che non risulta che il "generale" (questo il suo grado durante la guerra di secessione) fosse mancino.