Varie, 11 marzo 2002
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Brighi Matteo
• Rimini 14 febbraio 1981. Calciatore. Dal 2007/2008 alla Roma. Cresciuto nel Rimini, ha giocato in serie A anche con Juventus, Bologna, Parma, Brescia, Chievo. 4 presenze in nazionale • «Madama se l’è accaparrato grazie a Luciano Moggi che non frequenta solo lo stanzino dell’arbitro (battuta: a Roma non c’era) ma anche i campi di calcio, secondari se occorre. Così è diventato Moggi, prima di tutto il resto e delle leggende. Dunque il presidente del Rimini, nella stagione 1998-99, è Vincenzo Bellavista. Chi? ”Un amico mio” racconta Lucianone. Ah. ”Mi ha chiamato dicendo che c’era in squadra ”sto fenomeno. L’ho mandato a vedere e poi sono andato io, personalmente. Bravissimo. Detto fatto, l’abbiamo preso. In gamba, vero? nostro e ha solo vent’anni”. [...] Brighi non è un romagnolo da stereotipo. Magari è estroverso, ma con chi pare a lui, non con tutti, non superficialmente. Certamente è di poche parole, sempre con chi non rientra tra i suoi amici. Definizione di amici: quelli con cui va a mangiare una pizza quando torna a casa, quelli che ”mi salutano come facevano prima, quando non giocavo in serie A e io mi comporto allo stesso con loro”. Che Matteo non si comporti diversamente dai tempi in cui era un ragazzo lo si comprende da questa dichiarazione standard. [...] Da ragazzino tifava Milan, ma teneva in camera il poster di Roberto Mancini. Il suo idolo, però, partì per Bologna molto giovane, lui è rimasto nella sua famiglia fino a 18 anni e forse, il fatto di non dover abbandonare la casa dove è nato a 12, 13 anni, lo ha reso più consapevole. ”Sono andato via al momento giusto, ho potuto ponderare la mia scelta. Sono contento di essere rimasto fino alla maturità con i miei e sono felice di poter tornare tutti i lunedì”. Là, tra i cancelli e i vasi di fiori di via della Martora a Rimini sud, ha imparato a giocare a pallone, là, nell’oratorio di don Elio alla parrocchia di Grotta Rossa, ha imparato i valori che possono guidare l’esistenza di un uomo, perché il pallone non la faccia deragliare. Fa beneficenza, ha frequentato, con un prete della sua parrocchia, don Oreste, comunità di recupero per tossicodipendenti. Ma non solo. Fa anche piccole cose più semplici, ma che descrivono il suo carattere: ricordando che da bambino i più grandi lo prendevano con loro a giocare al mare, adesso quando torna fa lo stesso con i ”nuovi” bambini di don Elio. Nonnismo in senso buono. in missione per conto di Moggi, ma sono state la Fede della famiglia e l’Educazione (che ne deriva, con la ”e maiuscola) a renderlo così: maturo, serio, cortese, senza invasioni nella corsia della presunzione e della vita spericolata. Vive da solo, si fa la spesa (’cucino primi piatti di sopravvivenza”), sostiene che suo fratello Marco, che ha preso il suo posto nel Rimini, è forse più bravo di lui, ma che il migliore di tutti è il piccolo Andrea. Anche gli altri fratelli vanno dietro al football, quando non fanno del bene in parrocchia. Famiglia cattolica, quella dei signori Fiorella e Sergio Brighi, rispettivamente casalinga e garagista-meccanico. Famiglia di saldi principi e con una passione comune trasmessa per cromosomi materni, a differenza di quello che accade normalmente. Mamma Fiorella non aveva una squadra femminile in cui dar consistenza alla sua passione, così si è dovuta accontentare di partecipare alle sfide tra maschi sui campetti di periferia. ”Ci avrei fatto un pensiero a una carriera da calciatrice” racconta ora di quella sua infatuazione che non ha avuto uno sbocco ”istituzionale”. Ha messo al mondo quattro figli centrocampisti, magari con diversità evidenti nella collocazione, ma con una caratteristica comune: riflessivi, modesti, lavoratori. Adesso il piccolo Andrea ha ”tradito”, spostandosi all’attacco dove si muovono idoli tutti nuovi, Vieri e Ronaldo. Brighi si considera vicino (tatticamente e tecnicamente) ad Albertini, ma c’è ancora un dibattito in corso, tra gli allenatori, sulla sua collocazione migliore. Conte disse: ”Mi rivedo in lui”» (Roberto Perrone, ”Corriere della Sera” 12/2/2002).