Varie, 11 marzo 2002
Tags : Rory Byrne
Byrne Rory
• Pretoria (Sudafrica) 10 gennaio 1944. Laureato in chimica industriale alla Withwatersrand University di Johannesburg, è stato, dal 1965 al 1968, capo chimico alla Kolchem, una compagnia di manifatture plastiche. È il progettista più vincente della F.1: ha conquistato 14 Mondiali (7 piloti e 7 costruttori) tra Benetton e Ferrari. Al Cavallino lavora dal 1997. Grande appassionato di aeromodelli, ha conquistato tre titoli iridati. Esperto sub, prima della chiamata di Maranello stava per aprire una scuola in Thailandia. «[...] il mago sudafricano dell’aerodinamica di Maranello. Circola già la storia della sua vita. Aerodinamici si diventa, lui da giovane era perito chimico ma aveva l’hobby degli aeromodelli. Ed era talmente bravo in fatto di aerodinamica che un suo aeroplanino non vinse una gara semplicemente perché sparì durante il volo. Lo ritrovarono anni dopo a 25 chilometri di distanza. Roba da vincere un titolo mondiale. Uno così, che ha fatto Ferrari esaltanti [...]» (Carlo Marincovich, “la Repubblica” 22/8/2005). «Dall’inferno al paradiso. Quella di Rory Byrne [...] è una storia che parte molto da lontano. Da un signore che si chiamava Ted Toleman, magnate dei trasporti, il quale si mise in testa di arrivare in Formula 1. Ci riuscì, lanciò piloti validissimi come Johnny Cecotto ed il grande Ayrton Senna. Poi, all’inizio del 1983, si trovò con le macchine che non potevano più correre perché nessuno voleva fornirgli le gomme. Momenti bui, di depressione. Fu Luciano Benetton a toglierlo dall’imbarazzo e dalle difficoltà economiche, acquistando il team per rilanciarlo con il proprio marchio. Da allora Rory Byrne non si è più fermato. Ed ha potuto dar sfogo a tutta la sua genialità, diventando il progettista più vincente dell’era moderna delle corse: con le macchine che portano la sua firma, Michael Schumacher ha conquistato due titoli iridati con la marca di Treviso e cinque con quella di Maranello. Senza contare i mondiali costruttori, che sono addirittura sette. [...]» (“La Gazzetta dello Sport” 28/11/2004).