Varie, 11 marzo 2002
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Close Chuck
• Monroe (Stati Uniti) 5 luglio 1940 • «Il più grande ritrattista dell’era informatica ha un volto sereno, pieno come un’oliva, porta occhiali a stanghetta leggerissimi dietro i quali lampeggiano spesso sguardi di ironia, ha modi gentili che stabiliscono subito un’atmosfera di convivialità. [...] E’ uno degli artisti più originali, importanti e celebrati degli ultimi trent’anni, gratificato nel 1998 con un’imponente mostra al Museum of Modern Art di New York che ha fatto epoca. Fiumi di parole sono stati spesi per analizzare le sue tecniche incisorie che gettano un ponte tra pittura e fotografia (litografia e acquatinta, serigrafia e mezzatinta, e altre ancora). E commozione ha suscitato la malattia che, nel 1988, lo ha costretto sulla sedia a rotelle ma non ne ha vinto la creatività né la ferrea volontà, facendogli inventare uno strumento-sostegno per tenere ancora in mano il pennello legandolo all’avambraccio. E’ difficile descrivere i ritratti di Close. Bisogna vederli (per crederci). Sembrano foto ma, osservati da vicino, appaiono per quello che veramente sono. Mosaici composti da infinite minuscole tessere dipinte con maniacale precisione dopo aver scattato tante foto dello stesso soggetto, aver scomposto ogni immagine sulla tela per mezzo di reticoli e averle ingrandite per intervenire successivamente con esattezza chirurgica. Una griglia stretta, quasi invisibile, per ritratti in bianco e nero prima della malattia. E più larga, dopo l’88, multicolore, simile a una rete digitale. Quanto basta per elettrizzare i critici di tutto il mondo o turbarne il sonno. [...] ”Prima della fine degli anni 60 facevo pittura astratta ma sentivo il bisogno di cambiare. E’ stata la fotografia a portarmi sulla strada del cambiamento. Partendo dalla foto, ho capito che davanti a me si aprivano tante vie. E più mi muovevo in questa direzione sperimentale più restavo sorpreso dalle novità che si presentavano all’orizzonte. Per fortuna, continuo a sorprendermi anche oggi [...] Amo le persone. Mi interessano di più degli alberi o delle rocce o di mille altri soggetti che sarebbe possibile ritrarre e fotografare. I volti degli altri fanno parte delle nostre vite. Se sfogliamo un album di foto, ritroviamo i nostri amori, i familiari, gli amici, la nostra umanità condivisa. Io tengo alla gente più di qualunque altra cosa [...] Sono molto affezionato a me stesso, è vero. Ma quando ritraggo Chuck Close lo faccio con singolare distacco. Lo tengo a distanza come un qualunque altro soggetto. Lui non è diverso dagli altri. Cerco di analizzarmi, di buttare un occhio su me stesso senza compiacimenti. persino senza pietà. Non credo che questo sia narcisismo...[...] Sono stato un bohémien, poi un beatnick, poi un hippy, e adesso un tranquillo vecchietto... Però, se pensiamo che gli hippies sfidavano le cose comunemente accettate e l’establishment, mi va benissimo essere considerato un hippy anche adesso!”» (Massimo Forti, ”Il Messaggero” 21/2/2002).