11 marzo 2002
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Coste Georges
• . Nato a Perpignan (Francia) il 7 dicembre 1943. Ex giocatore di rugby, è stato mediano di mischia nel Perpignan, prima di dover abbandonare la carriera agonistica per un grave infortunio al ginocchio. Direttore tecnico della nazionale italiana dal 31 agosto 1993 al 3 luglio 1999. Il suo curriculum in Italia: 45 incontri, 19 vittorie, 1 pareggio, 25 sconfitte. Con lui l’Italia ha sconfitto per la prima volta nella storia l’Irlanda (a Dublino e Treviso), la Francia (a Grenoble) e la Scozia. Ha sfiorato il clamoroso successo contro i campioni del mondo d’Australia (23-20 a Brisbane), l’Inghilterra (22-15 ad Huddersfield) e a più riprese con il Galles, guadagnandosi il diritto di giocare con continuità contro le migliori squadre del mondo. Nel 1998 ha condotto l’Italia ad essere ammessa al Torneo delle Cinque Nazioni, diventato Sei Nazioni nel 2000. «Oggi è tornato a casa, lavora per il Ministero dello sport francese ad un programma di selezione di giovani talenti. Ma non ha dimenticato l’Italia, anche se l’Italia sembra averlo dimenticato in fretta. Emotivo, passionale, sanguigno, il suo miglior pregio è oggi come allora il suo peggior difetto: la sincerità. Non vuole parlare dell’attuale situazione del rugby italiano, non vuole lasciarsi travolgere dalla malinconia: ”Non si vive di passato, è il presente che ci costringe a trovare soluzioni per andare avanti - sussurra al telefono -. Sono tre anni che sono andato via, dal punto di vista sportivo è una vita. Certo, guardo con interesse alle vicende dell’Italia, devo tutto alla sua Federazione, ai suoi giocatori, al suo ambiente. E dico che una cosa non è cambiata: c’è sempre chi sfrutta al volo la mentalità italiana, nessuno si vuole assumere le proprie responsabilità, va individuato un colpevole, gli errori li fanno gli altri [...] Posso solo dare un giudizio dal punto di vista tecnico. Ero a Parigi, ho visto un approccio con il gioco completamente diverso da quello che avevamo noi, mi sembra che oggi si miri più a distruggere che a creare. Un atteggiamento preoccupante, noi abbiamo sempre pensato che fosse stato meglio prendere 50 punti ed essere rispettosi del gioco. Oggi l’Italia non rispetta il rugby, magari incassa di meno, ma questo all’estero non piace. Il nostro successo fu figlio di coincidenze eccezionali: una generazione di giocatori che aveva fame di vittorie, gente che si sentiva frustrata dal non aver mai ottenuto nulla di importante. Quella gente capì che l’Italia per raggiungere i risultati doveva lavorare il doppio in qualità ed intensità, solo così avrebbe potuto guadagnarsi il rispetto di chi nel torneo c’era da oltre un secolo. Oggi mi sembra che quella spinta non ci sia più, tutti pensano ad altro, ai contratti, alle poltrone. E si accontentano delle posizioni acquisite. La forbice con il rugby degli altri si è di nuovo ampliata. La qualità c’è ancora, forse è addirittura migliorata. Ed allora l’unica via per metterla a frutto è quella di tornare a lavorare”» (Valerio Vecchiarelli, ”Corriere della Sera” 1/3/2002).