11 marzo 2002
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Eberharter Stefan
• . Nato a Stumm (Austria) il 24 marzo 1969. Sciatore. Appena ventiduenne, «illuminò» il Mondiale ’91 di Saalbach con il titolo della combinata e del SuperG. Nella metà degli anni ’90 vari infortuni lo tolsero di scena. Costretto a ripartire dalla Coppa Europa, alla fine del decennio tornò competitivo. Ma con un fisico irrobustito, che ha dato adito a sospetti. Nel 2002 ha vinto la coppa assoluta, quella di discesa e quella di SuperG. Nel suo palmarès anche un oro in gigante alle Olimpiadi del 2002, due argenti (1998 e 2002) e un bronzo (2002) ai Giochi. «Il suo esordio in coppa del Mondo risale al 1989, quando era esploso da poco il talento di Alberto Tomba. Ha vissuto ogni possibile esperienza. Nel 1991 ha trionfato a sorpresa ai Mondiali di Saalbach in superG e combinata, ma la sua gioia è stata breve. Nell’anno successivo infatti ha vissuto un inverno mediocre: ”Era tutta colpa di materiali non più adeguati - ricorda - così sono finito indietro nelle classifiche. Non sono stati i festeggiamenti a rovinarmi, come qualcuno aveva insinuato”. Nel 1993 si è gravemente strappato i legamenti del ginocchio sinistro e ha perso dieci mesi. La ripresa è stata una sorta di calvario perché, appena riusciva a ritrovare una forma decente, ha dovuto farsi operare di menisco: è successo tre volte. ”La mia fiducia era quasi evaporata. Non riuscivo più a credere in me stesso. Soffrivo in silenzio, ma alla fine mi dicevo: non posso arrendermi, perché il talento che ho dimostrato non è svanito. Così ho scacciato l’idea di andare a lavorare come perito commerciale”. I tecnici, in quel delicato periodo, certo non lo aiutarono, perché gli dissero di riprovare la discesa, ma lo spedirono in coppa Europa con la promessa che, se si fosse mosso bene, lo avrebbero richiamato. Ma poi si rimangiarono la parola. Toni Geiger, allenatore influente, non lo voleva nel gruppo e l’aveva tagliato senza complimenti. Stephan, scottato nell’orgoglio, rispose a quella sfida allenandosi come un matto: ”Così nel 1997 ho infilato tre vittorie di fila in gigante in coppa Europa e Toni Geiger è stato costretto a richiamarmi. Ricordo il suo imbarazzo quando ci siamo ritrovati, non sapeva dove guardare. Poi abbiamo ritrovato l’armonia”. Stephan dice che non ci sono mai stati segreti particolari nel suo allenamento: ”Non ho mai avuto un allenatore personale, come capita ad altri campioni. Ho sempre vissuto nel gruppo. Dopo tanti anni di fatica conoscevo bene il mio corpo e le sue reazioni. Così sono rinato”. Nel 1998, quando è rientrato nel grande giro, ha avuto la sfortuna di imbattersi in quella furia scatenata che risponde al nome di Hermann Maier ed è finito alle sue spalle ai Giochi di Nagano in superG. Herminator gli ha sbarrato tutti gli sbocchi verso la gloria e lo ha relegato nel ruolo di eterno secondo. Ha dovuto ingoiare parecchi bocconi amari, non è mai riuscito a stabilire un rapporto di amicizia con il collega. Nel dicembre del 2000 ha infilato la prima vittoria in discesa a Lake Louise in Canada. Poi, quando Maier è finito in ospedale, la sua vita è cambiata ed è diventato il leader indiscusso dello sci alpino. Ha vinto due coppe del Mondo. Ha rimesso al collo l’oro del superG ai Mondiali di St. Moritz nel 2001 e poi, all’Olimpiade di Salt Lake City, ha centrato un terno: bronzo nella discesa, argento nel superG e oro nel gigante. Il ritorno di Maier [...] gli ha fatto ombra e lo ha un poco infastidito, forse anche per questo ha deciso di chiudere, con all’attivo 29 vittorie in Coppa: 18 discese, 6 superG e 5 giganti» (Gianni Merlo, ”La Gazzetta dello Sport” 18/9/2004). «A 22 anni, aveva già alle spalle un grande futuro: due ori mondiali a Saalbach, nel 1991, in superG e nella combinata, davanti al nostro Ghedina. Due titoli così cesellano una carriera. Lui, invece, sparì subito dopo. Certo, fu sfortunato: infortuni, e forse l’invidia dei compagni. In discesa i nemici peggiori degli austriaci sono gli austriaci. O forse, rimase umiliato dai sospetti, i soliti sospetti che avvelenano il mondo dello sport: d’altra parte, in quegli anni l’Austria proprio felix non era. Le beccava da Tomba negli slalom, dai norvegesi in classifica. Restava la discesa, regina dello sci alpino, sorta di trincea d’onore. Quelle muscolature così gonfie, quello sprigionare forza e potenze inusuali, erano davvero frutto di Madre Natura? Un mistero, la sua lunga crisi. Soffriva più nella testa che nelle gambe. Il peggio fu quando irruppe sulla scena Herminator Maier. Quello pigliava tutto, e di più. Agli altri, briciole. Talvolta scherno. Tra i due non correva buon sangue. Gestacci anche in pubblico, come ai mondiali di St.Anton: rivalità feroce. Poi Maier si elimina da solo. E lui ritrova freudianamente la scia del podio [...] ”Io sono un tipo semplice. Amo la natura, non i palcoscenici. I miei hanno una pensione a Stumm, a un’ora da Innsbruck, nella valle dello Ziller, la stessa di Uli Spiess e Leonhard Stock che furono grandi discesisti. Suono, dicono bene, la fisarmonica con gli amici alla stube. Non inseguo i contratti degli sponsor, non sono avido: mi basta una stretta di mano. Sciare bene, è la mia passione: dovevo capire cosa mi impediva di farlo come quando avevo 22 anni”. Cosa? ”Non ero un uomo tranquillo, come lo sono oggi. So cosa vuol dire toccare il fondo e risalire a galla”. Cercasi un John Ford della neve, per raccontarlo meglio» (Leonardo Cohen, ”la Repubblica” 15/12/2002). «Gongolando in segreto della disgrazia che ha tolto dalla tv, dalle pupille degli sponsor e dei fan il superman dello sci, è uscito dal grigio e dalla penombra, ha iniziato a vincere tutto [...] Una fame arretrata, cresciuta dentro quando Maier divorava il circo bianco, gli soffiava gli sci migliori, lo sbeffeggiava applaudendolo ironicamente se - per una volta - riusciva a stargli davanti in SuperG (come a St.Anton). Uno come Maier è ingombrante anche quando va a fare la spesa, figuriamoci se gioca nel tuo cortile e ha il tuo stesso passaporto. Eppure Eberharter non era un mister nessuno, anzi era entrato nello sci come proiettile, con il rumore che fa, a pronunciarlo, il nome della città dove è nato nel 1969: Stumm. Due ori ai Mondiali di Saalbach, SuperG e Combinata, quando correva l’anno 1991: ”Ma ero troppo giovane per vincere due ori mondiali in Austria, dove lo sci è tutto”. Una religione, come il calcio da noi, il rugby in Nuova Zelanda, come il baseball nel Bronx. Un talento già allora universale, completo - anche se la discesa non sembrava allora la sua carta più forte - stropicciato presto dagli infortuni. Aveva dovuto aspettare il ’97 per riemergere, poi il ’98 con l’argento nel Gigante di Nagano, quando restò fuori dal wunderteam austriaco di discesa libera. Anti-personaggio, non esattamente simpatico, espansivo come un cubo di ghiaccio (’Non sono come Ghedina, che scherza prima di correre, io ho bisogno di concentrarmi”), ha poi vissuto stagioni di buoni piazzamenti, che avrebbero decorato molte carriere ma che a lui bruciavano in testa e nello stomaco. Anche perché il rivale, la bestia da trionfi, in fondo gli assomigliava molto: stesso fisico poderoso, stessa sciata aggressiva, stessi sospetti sull’uso di integratori molto, molto energetici. Solo che Maier vinceva, lui soffriva. Siete rivali? chiedevano i giornalisti, ma no, rispondeva lui. Siete amici? ”Diciamo compagni di squadra”, puntualizzava. E giù allenamenti sempre più laceranti, fachireschi: anche cinquemila chilometri in sella alla bicicletta in estate, e poi spinning, per rinforzare le gambe, migliorare la tenuta: ”Perché anche se una discesa libera dura un minuto e mezzo, due minuti, la resistenza è altrettanto importante che l’esplosività”. E golf, molto golf, il suo hobby preferito, per rilassarsi. Il destino gli ha dato una mano, lo ha tolto dal ruolo di soccombente, in una traiettoria che forse sarebbe piaciuta ad un sezionatore di nevrosi austriache come Thomas Bernhard» (’La Stampa” 7/2/2002).