Varie, 12 marzo 2002
FERRONI
FERRONI Giulio Roma 14 agosto 1943. Critico letterario. Allievo di Walter Binni, in un primo tempo si è dedicato allo studio del teatro del Rinascimento e del Settecento, per poi estendere la sua ricerca alla produzione letteraria contemporanea. Critico, saggista e collaboratore di diverse testate, dal 1982 insegna Letteratura italiana all’Università di Roma La Sapienza. Tra le sue opere, la Storia della letteratura italiana in 4 volumi, Dopo la fine e La scuola sospesa editi da Einaudi; La scena intellettuale. Tipi italiani (Rizzoli); Passioni del Novecento e Machiavelli, o dell’incertezza pubblicati da Donzelli. Con lo pseudonimo di Gianmatteo del Brica, ispirato a Machiavelli, ha pubblicato le Lettere a Belfagor (Donzelli). «Lo dico subito: sono un critico che, di solito, gli autori di bestseller non li ama e verso i quali non coltiva nessun’indulgenza [...]» (Mirella Serri, ”L’Espresso” 18/1/2001). «Come critico, Giulio Ferroni sta dalla parte degli ”eclettici diffidenti”; come intellettuale che guarda alla politica sta dalla parte dei diffidenti tout court . [...] ”[...] Il sapere e l’apprendimento comportano sforzo, passione, pazienza. Tutta roba che il pedagogismo imposto sempre più nella scuola tende a ridurre, proponendo metodi più allettanti. Già Adorno, parlando dei tabù dell’insegnamento, diceva che l’importante non è persuadere”. Ferroni premette che la critica letteraria è necessariamente un lavoro solitario, ma non nega di aver sentito una esigenza di militanza nella fase successiva a Mani pulite, quando ”sembrava che stesse crollando il vecchio sistema culturale”. Ne nacquero le Lettere a Belfagor pubblicate nel ’94 con lo pseudonimo di Gianmatteo del Brica, dove si polemizzava con i modelli della cultura italiana, a cominciare da quelli di sinistra: ”Ho partecipato alla fondazione di ’Reset’ pensando che fosse un modo per intervenire criticamente, ma non sono mai stato un militante interno [...] Lo sfacelo fisico e materiale del globo è legato a una logica economica che concepisce se stessa come modello infinito di sviluppo: una sinistra davvero moderna, non romantica né anarchico rivoluzionaria, dovrebbe farsi sentire su questi temi, invece è trascinata come tutti dalle esigenze del presente e manca di coraggio. In Italia, ma non solo in Italia, non vedo un pensiero filosofico politico, si fanno solo conflitti tra neoconservatori che sono in difesa distruttiva del modello occidentale e una risposta no global deformata in senso anarchicheggiante [...] Se si passa ai critici italiani, Ferroni vede due schieramenti, non propriamente politici, ma metaforicamente animali: gli elefanti e le farfalle. Quelli che si chiudono nel tecnicismo esasperato e nelle minuzie filologiche senza vedere altro. Quelli che svolazzano nell’indeterminatezza, ’indulgono all’estetismo di superficie, labile e sfarfalleggiante, appunto’. Siamo lontani dai tempi della critica politica. Per esempio, dalle polemiche agguerrite dei Quaderni piacentini : ”Non potrebbero più esistere cose del genere, allora la polemica culturale aveva un rilievo sociale che oggi non ha. Quegli stessi intellettuali oggi farebbero un flop, perché non c’è più una coincidenza tra progetto politico e progetto culturale: la politica può trovare una coincidenza solo con la tv, la pubblicità, lo sport”. Siamo anche lontani dalla critica semiotica ai mass media: ”Quel tipo di semiotica ha ridotto a schemi la decodifica dei meccanismi della comunicazione: mi pare che la tentazione classificatoria sia andata a danno delle intenzioni critiche di partenza, fino a delineare una sorta di complicità. La famosa fenomenologia di Mike Buongiorno, scritta da Umberto Eco, finiva per sottoscrivere una moda, un rilievo sociale. Lo stesso è accaduto in Francia con Barthes, il quale non a caso a un certo punto ha superato la semiotica dei miti d’oggi”. Dunque gli intellettuali di una volta oggi resterebbero a casa in pantofole? ”Farebbero quel che fanno gli attuali, che guardano tutto dalla propria solitudine. Certo, non è detto che sia male: Gadda non era certo uno scrittore impegnato ma era molto sensibile al presente, parlando dell’ossessione degli oggetti che ci invadono; lo stesso Zanzotto da Pieve di Soligo continua a interrogare il modificarsi catastrofico dei del clima”. Ei critici? ”I maestri della critica una volta almeno tenevano alto il livello della coscienza: Fortini, Sciascia... Pasolini vedeva il mondo con acume, anche se forse oggi non regge molto, però era capace di guardare in alto, affrontava le grandi questioni e sapeva farle ricadere sul pubblico. Oggi conta l’etichetta di schieramento e il rilievo mediatico. Vasco Rossi è diventato un maestro celebrato in università. Sono sorpreso che gli intellettuali lo apprezzino come un modello da proporre ai giovani. Ma l’università tratta gli studenti come clienti e qualunque modo di farsi pubblicità è buono. Poi succede che la laurea ad honorem venga rifiutata a un cantante ben più degno, come Battiato, per il voto contrario di uno studente. Deformazioni della democrazia assembleare...”. Al militante che non è mai stato interno, non resta che guardare indietro? ”C’è stato qualche personaggio politico, magari di idee diverse dalle mie, che è stato per me un esempio di rigore. Io forse ho ancora una forte nostalgia resistenziale, ma penso a gente come Umberto Terracini e Riccardo Lombardi, persone capaci di un grande impegno tra razionalità e rigore etico. E poi un azionista come Ferruccio Parri. Berlinguer l’ho sempre molto apprezzato anche senza condividerne in pieno le posizioni; perfino La Malfa, il padre naturalmente, con le sue asprezze... [...] Veltroni non è una mosca bianca, come tanti altri sente l’esigenza di rispondere alle esigenze mediatiche [...] Negli anni 50, credo come riflesso della Resistenza, molti scrittori e critici sono stati anche militanti, poi con il ’56 staccarsi dal Pci è stata un’operazione politica forte e sofferta. L’aspetto curioso è che non sempre il valore delle loro opere letterarie coincideva con la capacità di visione critica sul presente. Leggere oggi il Montale della Bufera per capire quel tempo è molto più utile che leggere, che so, Vittorini, il quale fu un grande animatore e organizzatore di cultura, ma i suoi risultati letterari ormai appaiono evanescenti”. Dunque, Montale. E poi? ”Basta pensare alla forza di Fenoglio, che pure era uno scrittore del tutto appartato rispetto a Vittorini e che ancora oggi stenta a entrare nelle letture dei nostri connazionali”. Se è vero che la letteratura italiana del dopoguerra si connota come letteratura di sinistra, finisce che l’attenzione sul presente viene fuori meglio da scrittori considerati conservatori o residui del passato? ”Beh, a volte succede, penso ancora a Gadda, ma anche a un poeta che veniva considerato un democristiano come Luzi e che ha molto lavorato nel cogliere le trasformazioni del mondo”. Un’eccezione forse potrebbe essere Bilenchi: ”Bilenchi si è accostato molto presto alla politica, ha fatto una militanza continua ma senza essere subalterno come scrittore: la sua attività letteraria non coincide con la militanza politica nel Pci. come se in lui ci fosse una doppia personalità”. Altro caso curioso è quello di Fortini: ”Secondo me, il migliore è quello degli ultimi anni, con la raccolta poetica Composita solvantur, dove viene mostrata la parte in ombra del suo voler sempre sviscerare il moralismo e la politicità. Non rinunciò mai, in definitiva, al suo leninismo ossessivo, pur criticamente, finché negli ultimi anni, quando finisce per negare la sua stessa politicità, emergono le cose migliori. I saggi degli anni 60, tipo Verifica dei poteri, rivelano parametri, elementi di fede e prospettive politico escatologiche inquietanti. Fortini faceva esplodere dall’interno le proprie contraddizioni al di là delle sue stesse intenzioni. Era davvero un ospite ingrato [...] Secondo me, Fortini non è riuscito a intuire la deriva di tante illusioni del ’900 [...] Verga è uno di quegli scrittori che pur partendo da posizioni molto conservatrici sono riusciti a cogliere le contraddizioni del proprio tempo e il mondo nuovo attraverso la scrittura. Invece spesso è stato liquidato come passatista. C’è una forza conoscitiva interna alla scrittura che spesso va al di là del pensiero politico degli scrittori: ho citato Gadda e Verga, ma la stessa cosa si potrebbe dire per Dante. Come si fa a parlare di un Dante reazionario, se nelle sue opere riesce a dare un’immagine critica sconvolgente della sua contemporaneità?”» (Paolo Di Stefano, ”Corriere della Sera” 23/6/2005).