Nicola Fano, "Le maschere italiane", Il Mulino 2001, 12 marzo 2002
Totò. Nel 1921, Gustavo De Marco, tra gli attori più in voga in Italia, chiese una paga altissima a Don Peppino Jovinelli, proprietario del famoso teatro romano, impresario "più scaltro di quanto lui fosse vanitoso"
Totò. Nel 1921, Gustavo De Marco, tra gli attori più in voga in Italia, chiese una paga altissima a Don Peppino Jovinelli, proprietario del famoso teatro romano, impresario "più scaltro di quanto lui fosse vanitoso". Don Peppino negò l’aumento e lo licenziò. Giorni dopo si presentò da lui un "ragazzotto napoletano che bazzicava i teatri di Varietà a Napoli e Roma". Numero migliore: l’imitazione di Gustavo De Marco. Nome dell’attore: Antonio De Curtis, in arte Totò. Soddisfatto del provino, Jovinelli appese fuori del teatro la locandina "Questa sera: Totò nel repertorio di Gustavo De Marco" (le parole ”Totò nel repertorio di” scritte in caratteri minuscoli, ”Gustavo De Marco” in caratteri enormi). Poi disse al nuovo attore: "Lavorerai gratis una settimana. Se alla fine il pubblico non ti avrà cacciato, avrai una paga". All’ottavo giorno Totò ebbe il suo stipendio, mentre Gustavo De Marco comprò un negozietto di tabacchi alla Marina di Napoli e si diede al commercio.