Fulco Pratesi, ìStoria della natura in Italiaî, Editori Riuniti, 2001, 12 marzo 2002
Rinascimento. Con il perfezionamento delle tecniche di lavorazione dei campi, e l’aumento della popolazione (8 milioni di abitanti nel Quattrocento e 10 nel Cinquecento), la copertura boschiva nel XVI secolo si riduce al 50 per cento del territorio italiano (90 per cento in epoca preistorica)
Rinascimento. Con il perfezionamento delle tecniche di lavorazione dei campi, e l’aumento della popolazione (8 milioni di abitanti nel Quattrocento e 10 nel Cinquecento), la copertura boschiva nel XVI secolo si riduce al 50 per cento del territorio italiano (90 per cento in epoca preistorica). L’eliminazione delle selve (spesso con l’aiuto del fuoco), oltre che dall’esigenza di reperire terreni coltivabili (l’irrigidimento del clima, tra l’altro spinse più a valle colture che con l’Optimum Climatico medievale si erano estesi a luoghi elevati), è accelerato dalla cessazione di alcune usanze, come la caccia grossa, per il declino del feudalesimo, e il pascolo brado dei suini. L’introduzione dal Nuovo Mondo nel XVI e XVII secolo del mais, che garantisce una produzione facilmente immagazzinabile, e il rifiorire dell’olivicoltura, che rende meno insostituibile il grasso suino, fanno sì che l’importanza dei querceti d’alto fusto diminuisca: un ettaro poteva sostenere un solo maiale, mentre la stessa superficie, coltivata, produceva di più, oltretutto in derrate facilmente conservabili. Altro grave fattore di riduzione delle compagini forestali l’aumento della pastorizia per la produzione di lana, merce molto ricercata, soprattutto dopo che il re di Napoli Alfonso d’Aragona (1396-1450), introdusse nel regno le pecore merinos spagnole. Il grande incremento del bestiame transumante provocò l’eliminazione di buona parte dei primitivi querceti e faggeti montani per far luogo ai pascoli delle pecore.