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 2002  marzo 14 Giovedì calendario

LOMU Jonah Auckland (Nuova Zelanda) 12 maggio 1975. Giocatore di rugby. Tra i più grandi di tutti i tempi

LOMU Jonah Auckland (Nuova Zelanda) 12 maggio 1975. Giocatore di rugby. Tra i più grandi di tutti i tempi. Ala degli All Blacks e dei Wellington Hurricanes. A 19 anni e 45 giorni è stato il più giovane giocatore della storia a esordire con gli All Blacks: il 26 giugno 1994 contro la Francia. In Coppa del Mondo (1995 e 1999) ha segnato 15 mete, record assoluto. Come record sono le 9 mete messe a segno in una singola edizione (1999). «La favola del rugbista più famoso di sempre inizia sulla spiaggia di Ha’apai, isole Tonga, Pacifico del Sud. Papà Semisi ha passato la sua infanzia a tirar su reti gonfie di pesce, ha giocato a rugby, pilone nella nazionale di Tonga, ma nel 1969 pensa sia arrivato il momento di cambiare rotta. Prende mamma Hepi e si imbarca, destinazione Mangere, un sobborgo triste e violento a sud di Auckland, Nuova Zelanda. Là c’è lavoro, ci sono le scuole inglesi, c’è la possibilità di garantire un futuro ai suoi figli. E nella piccola casa di legno di Mangere il 12 maggio 1975 nasce Siona. Vita difficile, periferia difficile, infanzia difficile. Le bande di giovani maori depredate delle proprie origini vivono di violenza, il piccolo Lomu ha sette anni quando davanti ai suoi occhi un machete taglia la testa dello zio e sfigura per sempre il cugino. No, così non si può crescere e papà Semisi decide di iscriverlo a una scuola conservatrice per allontanarlo dalle cattive amicizie. Sul registro di classe Siona diventa Jonah. Come la balena. Segno del destino. Il ragazzo studia e cresce, lo iscrivono al Wisley College, scuola metodista intrisa di tradizione e rigore. Lo sport là è materia di insegnamento, a Jonah riesce tutto naturale, lo selezionano per la squadra di atletica legge ra. Arriva il giorno dei campionati nazionali studenteschi: vince i 100 metri in 10’’96, i 110 ostacoli, il lungo, il triplo e il lancio del giavellotto. Per uno così, nel Paese in cui Santa Claus sotto l’albero ai bambini fa trovare un pallone ovale, il futuro è segnato. Il rugby. Passa per tutte le nazionali giovanili, lo fanno giocare in tutti i ruoli, lo sgridano perché non si applica, non impara a passare bene la palla, non placca secondo i canoni del gioco. Ma lui segna da terza linea, segna da estremo, segna all’ala. Intanto il ragazzo è cresciuto, pesa 118 kg, calza il 48 di piede e quando gli devono cucire addosso la divisa della nazionale juniores scoprono che ha un collo di 53 centimetri e un torace di 128 . Nel 1995 c’è la Coppa del Mondo in Sudafrica, all’ultimo minuto lo inseriscono in squadra e a 19 anni diventa il più giovane All Blacks di sempre. solo il primo record di una lista infinita. Il 17 giugno 1995 diventa Lomu per sempre. Città del Capo, i mattoni rossi dello stadio di Newlands, Inghilterra contro Nuova Zelanda, semifinale che deve scegliere chi andrà a contendere il titolo ai padroni di casa. Passano 85 secondi e le regole del rugby, quelle che vogliono il collettivo prima di tutto, sono stravolte. I sudditi di sua maestà la Regina vengono calpestati, non c’è modo di fermarlo, quattro mete personali umiliano l’Inghilterra. Quel giorno i baronetti Underwood e Carling smettono di giocare. Si sprecano i soprannomi, i giornali coniano nuovi verbi: ”English were been Johned”, gli inglesi sono stati Johnati. Traduzione impossibile: tritati, distrutti, ridicolizzati, sottomessi. In Sudafrica impazza la Lomumania, oramai la Coppa del Mondo è lui. La Shell mette in palio 5.000 rand (2,5 milioni di lire) per ogni volta che in finale gli Springboks riusciranno a metterlo giù, mentre i Dallas Cowboys gli propongono un contratto da 4 milioni di dollari per portarlo per sempre negli Usa a giocare al football americano. Lomu resiste al canto delle sirene, anche perché il rugby sta per vivere la svolta del professionismo e la prima mossa della sua federazione è quella di metterlo sotto contratto fino al 2000 per un milione di dollari a stagione. A soldi si aggiungono soldi, l’Adidas per farlo diventare suo testimonial gli offre 10 miliardi di lire, la Sony lo ricopre d’oro per avere la possibilità di intitolargli un gioco della PlayStation. Il 24 gennaio 1997 un’edizione straordinaria del telegiornale neozelandese dà la drammatica notizia: Jonah Lomu è malato, da 18 mesi ha una seria patologia ai reni, nel suo sangue sono sparite le proteine, il colesterolo è alle stelle. Ha bisogno di un ciclo di chemioterapia, sei mesi di tratt amento con corticosteroidi, la malattia può essere tenuta a bada, ma non sconfitta. La sua carriera è al capolinea. Dieci mesi più tardi Lomu torna in campo in Irlanda, ma non è più lui, è ingrassato, è lento, ha la testa da un’altra parte, complice il divorzio da Tanja Rutter, la ragazza sudafricana che aveva conosciuto durante la Coppa del Mondo. Tre anni di alti e bassi, i reni che riprendono a lavorare decentemente, gli sponsor che tornano a farsi vivi, il nuovo amore con Teina Stace, la ragazza più invidiata della Nuova Zelanda. Ed una nuova vita, con Dio a guidare ogni suo passo e a dargli la fede che diventa più forte della malattia» (Valerio Vecchiarelli, ”Corriere della Sera” 2/7/2001). Nell’aprile 2003 nuovi problemi di salute: «Il gigante vacilla sotto i colpi della sfortuna, il subdolo male è tornato a farsi vivo colorando di nero il suo futuro [...] La notizia l’ha data lui stesso attraverso il proprio sito Internet (www.jonahlomu.com) e subito la Nuova Zelanda si è trovata a convivere con un’altra grande delusione: dopo aver visto volare tra le Alpi svizzere la Coppa America, adesso deve fare l’abitudine al pensiero che il suo eroe non sarà più l’arma letale che ha scardinato le antiche consuetudini del rugby, quelle secondo cui al centro di tutto c’è la squadra e un uomo da solo non farà mai la storia. Lui l’ha fatta. [...] Soffre di una rara sindrome cronica che ne sta azzerando l’efficienza renale: la conseguenza è una massiccia perdita di proteine del sangue attraverso le urine, con comparsa di lacerazioni dei tessuti e di edemi su tutto il corpo. [...] Il dottor John Mayhew, capo medico della New Zealand Rugby Football Union, non lascia spazio alla fantasia: ”La sua è una malattia che va e viene e non sappiamo quale possa essere l’esito finale: potrebbe finire in dialisi o avere bisogno di un trapianto del rene. Quando? Può succedere in una settimana, in un mese o mai”. La scienza prende il posto dei sogni: ”In questi anni ha fatto cose incredibili, chiunque di noi non avrebbe avuto la forza di fare il giro del condominio, lui ha giocato e bene in uno sport massacrante come il rugby”» (Valerio Vecchiarelli, ”Corriere della Sera” 9/4/2003).