varie, 14 marzo 2002
MASTELLONI
MASTELLONI Leopoldo Napoli 12 luglio 1945. Attore. «Marchese di Capogrossi e Duca di Castelvetere, Leopoldo è un uomo ”bianco e nero senza cromatismi intermedi” studia alle scuole statali e si diploma all’Istituto d’arte. Artista completo ”arso dal fuoco dell’Arte” gloria e fama le ha pagate a caro prezzo. Pigro, ”che cosa è lo sport?”, poco incline ai compromessi detesta la malafede ed i ”napoletani che fanno i napoletani”. Pur di famiglia agiata, il bisogno di autonomia lo porta prestissimo alla ricerca dell’indipendenza economica, si offre come garzone o cameriere ai negozianti del suo quartiere all’insaputa del papà e della famiglia. Mantiene rapporti di profonda amicizia con personaggi, qualcuno ora scomparso, del mondo della cultura e dello spettacolo ”se non vedo le persone da anni e sono vive, vuol dire che non sono amici” anche nei momenti meno brillanti della sua carriera. Il vero esordio è ne la Fiera delle vanità dove, pur facendo la comparsa, viene notato da Antonello Falqui che diventa il suo pigmalione. Da quel momento la sua popolarità cresce enormemente: è discusso, amato, detestato, scatena polemiche in ogni sua manifestazione. Escluso dalla ribalta televisiva, prosegue con successo l’attività teatrale con una compagnia propria. Esperienza artistica esaltante, ma economicamente fallimentare tanto che dolorosamente deve scioglierla. [...]» (mediaset.it). «Vengo da una mitica scuola di ricerca, il Teatro Esse di Napoli, il mio primo maestro, profondo conoscitore della parola e della scrittura, fu Gennaro Vitiello che mi affidò il personaggio della Regina dei bianchi ne I negri di Genet e m’insegnò che una cassetta per la frutta può diventare un trono se l’attore sa comunicare al pubblico la sua certezza d’invenzione. Oggi nelle Accademie insegnano professori stanchi del mestiere e senza più entusiasmo, per i giovani l´unico insegnamento è in palcoscenico. Il mio teatro nasce dalla conoscenza della libertà dell’invenzione di Dario Fo e del suo strepitoso lavoro con lo spettatore, da attrici come Pupella Maggio e Franca Valeri, dal canto di Milly che non posso dimenticare. Una conoscenza, la mia, che ha sempre rifiutato le scorie televisive, le star senza anima, senza gambe, senza braccia, che ci propone il piccolo schermo [...] Il teatro mi ha sempre riempito la vita, ventiquattr’ore su ventiquattro. E voglio continuare a vivere questa vita esclusivamente teatrale; non ho una famiglia che mi aspetta, devo dare conto soltanto al pubblico. La mia non è una costrizione, ma una scelta imperiosa, e sorrido se penso che quando morirò ci sarà una gran folla ma la notizia non sarà certo all´altezza di Vincenzo Mollica» (Giulio Baffi, ”la Repubblica” 4/3/2002).