Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2002  marzo 14 Giovedì calendario

Mezlekia Nega

• . Nato in Etiopia nel 1958. «Socialismo ”scientifico” e pantaloni a zampa d’elefante, pettinature afro alla moda americana e testi marxisti spediti gratis da Mosca e dalla Cina, nomadi scalzi che combattono ”a calci nel culo”, soldati armati di fucili M-1, ragazze che si prostituiscono per un paio di Levi’s, studenti crivellati di colpi nella piazza del mercato, streghe, esorcisti, qualche albero d’acacia e molte scimmie e leoni: ecco l’Etiopia degli anni ’60 e ’70, dove al calar delle tenebre le iene prendono possesso delle città di provincia ululando in branco e dove l’imperatore di un popolo strangolato dalla fame muore ricchissimo soffocato da un cuscino. In un posto del genere, scrive un raro talento letterario scampato a quell’incubo, Nega Mezlekia. L’autore di uno dei più notevoli libri di memorie di questi anni, Dal ventre della iena , aveva sedici anni quando Hailè Selassié fu assassinato dalla giunta militare e poco di più quando gli ammazzarono il padre, governatore di un villaggio di provincia. E’ nato infatti nel 1958 in una cittadina del Corno d’Africa chiamata Giggiga, dove di giorno i bambini di notte rabbrividivano nel letto ascoltando gli ululati delle iene. Intanto, per capriccio di un esorcista di corte, messaggeri reali pattugliavano la città alla ricerca di bambini da sacrificare, per salvare col loro sangue la regina agonizzante Menen. Lui se la cavò: oggi fa l’ingegnere a Toronto, ha vinto con questo libro il massimo premio letterario canadese, è stato al centro di un grande caso letterario negli Stati Uniti lo scorso anno e ha mosso qualcuno a paragonare il suo mondo letterario con quello di Cent’anni di solitudine di Márquez. Sarà anche un’esagerazione, ma una cosa è certa: che è nell’Africa di Mezlekia e delle Cronache africane di Moses Isegawa che oggi si raccoglie la sfida a misurarsi con i Rushdie e i Márquez. Mezlekia racconta cosa significhi crescere in una cittadina al confine caldo con la Somalia, proprio quando il feudalesimo del vecchio ordinamento cede il posto all’ancor più crudele regime marxista, mentre a casa le mamme li educavano con le favole e i rimedi degli stregoni. Favole da fare invidia a Esopo: che non saranno dimenticate nemmeno di fronte alla brutalità della guerra, da quei ragazzi come Mezlekia che prima sfilano protestando contro le ingiustizie della monarchia e poi si arruolano con i ribelli contro la giunta socialista, per assistere con occhi sgomenti allo spettacolo degli strateghi della Guerra Fredda che ora appoggiano il Negus, ora i somali di Siad Barre, ora la giunta militare di Addis Abeba, passando cinicamente da una fazione all’altra con tale dispendio di armamenti da trasformare in breve l’Etiopia in un campo di morte organizzato. Solo nel 1977, saranno centomila i morti del Terrore Rosso scatenato dalla giunta decisa ad annientare l’opposizione clandestina degli studenti, i cui corpi fucilati vengono consegnati alle famiglie in cambio di 25 birr per le spese del proiettile. E intanto le iene e gli avvoltoi festeggiano alla periferia di Addis Abeba. ”La morte in se stessa non è repellente - scrive Mezlekia, che ogni mattina per andare all’università percorre quattro chilometri a piedi contando i giovani crivellati di colpi sulla strada - lo è solo quando non è giustificabile”. Lui ha sacrificato alla rivoluzione prima suo padre, poi sua madre, uccisa in una rappresaglia di somali, poi l’amico del cuore Wondwossen, caduto in combattimento. Ha sperimentato la prigione, l’esodo con 20 mila profughi dalla città di Giggiga e la fame nella fame (’quel breve istante di fame divorante che sopraggiungeva dopo che il tuo stomaco ti aveva dato l’illusione di poter tirare avanti senza cibo”). E le sole giustificazioni che trova per tutto questo sono il malgoverno e l’arroganza totalitaria inflitti a un popolo che venerava il suo imperatore, al punto di immolare in silenzio 200 mila anime a una carestia prodotta da una politica ambientale suicida, per non metterlo in imbarazzo con le loro grida di fronte all’Occidente. Era il 1972 e solo un anno e mezzo dopo, quando il giornalista inglese Jonathan Dimbley aveva ormai scoperto e denunciato al mondo la tragedia, Hailè Selassié andò in visita nei territori stremati del Wollo. Sfilò commosso tra i moribondi che si erano pettinati per riceverlo e spiegò che simili catastrofi capitano e non si può far nulla, se non chiedere assistenza al Regno dei Cieli» (’Corriere della Sera”, 3/3/2002).