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 2002  marzo 14 Giovedì calendario

OliveiraBarroso Luis

• Sao Luis (Brasile) 24 marzo 1969. Ex calciatore. Giocò in A con Cagliari, Fiorentina e Bologna. Nazionale belga • «Per uno che è nato in una regione del Brasile dove la temperatura non scende mai sotto i 25 gradi, la Siberia sta anche al Suditalia. Figurarsi quindi in Belgio. Ma è ormai lontano il ricordo di quella gelida giornata novembrina. Lulù aveva 15 anni e lasciava sua casa per la prima volta. Per tentare la fortuna dietro ad un pallone. Lo aveva pescato per caso un procuratore argentino che in realtà era andato a vedere un altro giocatore e s’innamorò di Oliveira. Era stata dura convincere mamma Regina che di calcio non voleva neanche sentir parlare. Lei che aveva dovuto sopportare un marito calciatore eternamente squattrinato e avrebbe preferito per il figlio un futuro da professionista, magari dietro una scrivania, con la camicia bianca e la cravatta. Ma era stato proprio papà Ze Zico a convincere la moglie e a preparare una valigia carica di speranza per il figlio Lulù: “Pensavo che avrei trovato caldo anche in Belgio, ed ero partito con una maglietta e un paio di calzoncini. All’aeroporto di Rio ilmio procuratore aveva acquistato per me un paio di jeans. All’aeroporto di Parigi mi prese anche un giubbotto. Sul treno che ci portava a Bruxelles, affacciandomi dal finestrino per la prima volta in vita mia vidi la neve, non sapevo nemmeno cosa fosse. Mettevo la mano fuori per tentare di raccoglierla e con stupore vedevo che quei grossi fiocchi si trasformavano in acqua. Il mio primo allenamento con la nuova squadra durò meno di un quarto d’ora: scappai subito nello spogliatoio con i piedi congelati. La prima settimana passò in lacrime. Ma ho stretto i denti e diventai un calciatore dell’Anderlecht. Inizialmente giocavo nelle giovanili e lavoravo come aiuto magazziniere, perché di studiare non ne volevo sapere. Quando tornai a casa portai il mio primo stipendio: seimila dollari. Andammo in banca con i miei genitori per cambiare i dollari in cruzero e ricordo che ci diedero una valigetta piena zeppa di banconote. Non posso dimenticare l’espressione di mia madre e la felicità di mio padre che le diceva “Hai visto che avevo ragione, Lulù calciatore vero”. Ma là è diventato anche uomo, ha trovato moglie, la prima, che gli ha dato due figli, Michael e Sara. La sua famiglia, quella che lo ha accompagnato nell’altro viaggio importante della sua vita, dal Belgio all’Italia: “Per me Italia significava Inter, Milan, Juventus. Ero contento quando il mio procuratore mi disse che mi volevano in serie A. E un giorno mi disse: ‘andiamo a Cagliari’. ‘E dov’è?’ risposi, io che non sapevo nemmeno dove fosse la Sardegna. Poi ho scoperto che c’erano il mare, il sole, il calore della gente. Un po’ come in Brasile”. E a Cagliari scoprirono un nuovo talento brasiliano. “Il primo allenatore fu Mazzone, chi pensa che sia un burbero sbaglia, è una persona disponibile. Mi ha insegnato parecchie cose. Dopo arrivò Giorgi e con lui volammo fino ai quarti di finale di CoppaUefa. Poi ci fu Tabarez, forse il migliore allenatore che ho conosciuto, peccato che andò a bruciarsi al Milan. Andò male invece con Trapattoni: a Cagliari c’erano gli autobus di città tappezzati con il suo faccione sorridente; diceva di portarci in Europa e stava per precipitarci in serie B; tornò Giorgi appena in tempo per salvarci. [...] Ranieri, anche con lui ho avuto un bel rapporto. Quell’anno mi sposai con Annalisa che avevo conosciuto a Cagliari dopo che mi ero separato dalla prima moglie. Dopo Ranieri arrivò Malesani, un altro che mi ha dato tanto. [...] Trapattoni mi faceva giocare terzino destro e infatti in quel campionato segnai appena 2 reti. L’anno dopo tornai a Cagliari e quello fu un grosso errore, non bisognerebbe mai accettare di andare di nuovo in una squadra dove si è lasciato un bel ricordo: un disastro per me. Così come a Bologna, la stagione seguente. Dicevano che ero finito, non mi voleva più nessuno e per la prima volta dovetti andare in B. A Como qualche compagno pensava che avessi accettato solo per soldi. Quei 23 gol e il titolo di capocannoniere furono la mia grande rivalsa» (Francesco Caruso, “La Gazzetta dello Sport” 29/10/2003). «A Como ho ritrovato fiducia grazie all’allenatore e ai compagni di squadra. Negli ultimi anni non facevo più davvero l’attaccante, ma mi sfiancavo avanti e indietro: così, quando arrivavo in zona gol, non ero più lucido». Dal 2002 a Catania, ha fama di simulatore da quando si tuffò contro la Fiorentina (campionato ‘95-’96): «Mi hanno massacrato sui giornali dopo quel rigore fischiato al Cagliari. Vincevamo -0 e mancavano pochi minuti. Ci fu un lancio lungo e cercai di raggiungere il pallone. Vidi Toldo che usciva a valanga e mi buttai a terra per evitare l’impatto. L’arbitro Pairetto era distante e fischiò un rigore inesistente. E da quel giorno sono diventato un ‘cascatore’ di professione... [...] Non lo feci apposta. Volevo solo evitare di prendere un calcio in testa. [...] Bisognerebbe essere lucidi, ma a pochi minuti dal novantesimo, dopo avere accumulato adrenalina e tensione, a un calcio di rigore non ci rinunci. Mi spiace soltanto che quella storia l’ho pagata a caro prezzo. [...] Ormai per tutti ero diventato ‘Lulù il simulatore’. Passi per i fischi e gli insulti in tutti gli stadi, ma la reazione degli arbitri è stata feroce. Non mi hanno fischiato un rigore a favore per anni. E i difensori ne hanno approfittato per maltrattarmi, tanto sapevano che a Oliveira si poteva fare di tutto, nessuno li avrebbe puniti. Nemmeno se mi avessero sparato, mi avrebbero concesso un penalty...”» (Lucio Luca, “la Repubblica” 7/10/2003).