Varie, 15 marzo 2002
PITTIS
PITTIS Riccardo Milano 18 dicembre 1968. Ex giocatore di basket. Dal 2010 team manager della nazionale • «[...] In Nazionale, aveva debuttato con lo storico argento ai Mondiali Juniores di Bormio e non ha mai messo al collo la medaglia che vale di più: argento agli Europei romani 1991, quelli dell’ultima Jugoslavia unita, come sei anni più tardi a Barcellona alle spalle di quella tutta serba di Djordjevic & Danilovic. [...] A 33 anni suonati, l’ex Acciughino della Grande Milano diventato il capitano coraggioso della Benetton Treviso ha collezionato 118 presenze e 1017 punti in Nazionale. [...] Aveva cominciato a palleggiare sulle orme del fratello. Alto, magro, timido, istintivo. Ma sul parquet allenava un talento di cui Dan Peterson aveva comunque bisogno nell’Olimpia dei grandi campioni. La leva cestistica del `68 aveva regalato questa sorta di acciuga con mani da playmaker e grinta da pivot. Un posto in panchina, lontano dalla sedia dei cambi e vicino allo ”stopper tattico” Vittorio Gallinari, Pittis se l’era guadagnato sudando in palestra per rubare il mestiere a D’Antoni, Meneghin, McAdoo, Premier. Losanna, aprile 1987: nel gelido stadio del ghiaccio la Tracer contende al Maccabi Tel Aviv quella che ancora si chiama Coppa dei Campioni, vent’anni dopo la storica vittoria del mitico Simmenthal. Nel primo tempo, il coach americano non esita a gettare nella mischia Pittis. Minuti cruciali, anche se non decisivi come nel finale in volata, ed il giovanissimo numero 7 si guadagna due tiri liberi. Muiono sul ferro, uno dopo l’altro, forse a causa dell’emozione. Ma nello spogliatoio che festeggia Acciughino non è più solo la mascotte: fa parte della Grande Olimpia. Lo confermerà nella gara-tre della finale scudetto, al Palatrussardi, contro la Caserta degli scugnizzi Gentile & Esposito. La Tracer è 2-0 nella serie, eppure scivola fino a meno 19 nella partita che vale un altro tricolore. Dan Peterson ha bisogno di dare una scossa al quintetto improvvisamente supponente e svogliato. Si mette nelle mani di Pittis, che non lo tradisce: calamita palloni in difesa e li trasforma in canestri pesanti. E’ l’inizio della rimonta che si concluderà con un nuovo trionfo, questa volta firmato dall’erede di D’Antoni. Mike e Riccardo saranno ancora insieme a Milano. Il primo come allenatore debuttante, l’altro con il ruolo di ”coach sul parquet”. La Philips si fa soffiare, a Bologna, la Coppa Italia dalla Glaxo Verona e lo scudetto, al Forum di Assago, dalla Caserta dei miracoli che Boscia Tanjevic ha lasciato in eredità a Franco Marcelletti. Eppure la coppia D’Antoni-Pittis si cementa fino a diventare l’asse portante del basket di Marca. Si ritrovano ancora insieme a Treviso, che ha già saputo trasformare il verde Benetton nel triscolore grazie alle magie di Del Negro e Kukoc. Una nuova sfida, perchè al signor Gilberto non basta collezionare la Coppa Italia e riaffacciarsi in Europa dopo aver perso la finalissima con il Limoges. E arriva puntuale la replica scudetto con un basket innovativo elaborato a tavolino da D’Antoni (dalla difesa eagle alla velocità d’attacco) ma interpretato al meglio da capitan Pittis. E’ lui a mettere il sigillo tricolore, respingendo l’assalto della Fortitudo di Myers, con il canestro della vittoria dedicato alla madre che ha appena perso. Pittis è, infatti, ancora uno dei rari campioni capaci di esserlo anche oltre lo sport. Ironman della serie A si piega facilmente ad un’umanità originale quanto vera fino in fondo. Grande amico di Davide Ancilotto, Pittis non manca mai alle iniziative dedicate alla sua memoria. Con identico spirito si era prestato a movimentare i video di Jovanotti nei playground milanesi. All’epoca viveva a Brera, girava con il cane e intorno all’area ambientalista. Ora che nella verde Treviso ha messo radici e aperto un ristorante confessa di aver smesso di andare a votare. Ma è stato lui a zittire i cori razzisti dei tifosi Benetton all’indirizzo di Conrad McRae. E non esita a trasformare la bandana (che regge i capelli ormai ingrigiti) in uno spot a favore delle campagne umanitarie e di civiltà. Pittis è stato fra i primi sostenitori di Emergency e non si è tirato indietro di fronte al razzismo di una parte della curva del Treviso Calcio. Assolutamente geloso della sua tormentosa e vulcanicamente repentina vita privata, Pittis non si è mai sottratto al divertimento pubblico frequentando locali spesso in compagnia dell’argentino Marcelo Nicola. A Treviso si sente ormai a casa: partecipa sempre alla sfilata lungo le anse del Sile delle imbarcazioni più stravaganti; si è guadagnato la stima (non solo sportiva) della famiglia Benetton; forse, addirittura immagina di imitare D’Antoni con un futuro in panchina dopo aver eloquentemente ”spalleggiato” Piero Bucchi. Il basket rimane sempre l’orizzonte della vita di Pittis. Non sa farne a meno. Nemmeno quando la mano destra lancia segnali terribili. Il fastidio diventa dolore: i tendini dell’anulare, d’improvviso, divorziano dalla palla a spicchi. La mano non risponde più. Sembra volersi rattrappire. La diagnosi è spietata: nemmeno un intervento chirurgico potrebbe risolvere la situazione. Pittis replica con il cuore. Impara a giocare di nuovo, da mancino. E chiude la stagione 2001 con 11,1 punti di media a partita e 18,5 di valutazione. Le statistiche migliori dell’ultimo lustro da campione. Ha resistito così fino all’incontro fortuito con un fisioterapista capace di smentire il verdetto dei medici. Pittis ha ripreso a giocare (anche in Nazionale) quasi come prima» (Ernesto Milanesi, ”il manifesto” 7/2/2002).