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 2002  marzo 15 Venerdì calendario

SELMOSSON Arne Sil (Svezia) 29 marzo del 1931, febbraio 2002 • «Amava il silenzio e la solitudine, il sorriso era dolce e forzato

SELMOSSON Arne Sil (Svezia) 29 marzo del 1931, febbraio 2002 • «Amava il silenzio e la solitudine, il sorriso era dolce e forzato. Lo chiamavano ”Raggio di luna” per via dei capelli biondi: in quegli anni, anni cinquanta, non eravamo poi così abituati agli stranieri. Aveva segnato trentatré gol già in Svezia, prima di arrivare a Udine, dove lo pagarono un’enormità: centocinquanta milioni, un record. Era un’ala, ma di quelle di una volta, ossia una seconda o una prima punta. Come Pascutti, Riva, Barison. Rispetto a loro, che sarebbero arrivati dopo, aveva lo slalom e il dribbling. Ondeggiando, partiva da una posizione defilata, vedeva la porta e la trovava. Aveva corsa, forza fisica, eleganza, precisione nel tiro e colpo di testa. Un fuoriclasse, insomma, come tanti altri svedesi nella stessa epoca: Liedholm, Nordhal, Lindskog, Hamrin, Skoglund... Una nazionale fortissima, seconda solo al Brasile dal quale, infatti, venne sconfitta nella finale del 1958. Con lui l’Udinese trovò il secondo posto. Lo acquistò la Lazio, che non seppe resistere alla tentazione, nonostante l’enormità della cifra richiesta per il suo ingaggio. Di Arne si innamorarono i tifosi laziali e i romani in genere, perché uno come lui stava sopra le parti, sapeva farsi voler bene. Fece clamore il suo passaggio alla Roma, sottoscritto in un ristorante di via Borgognona. I dirigenti laziali si chiusero in casa e aspettarono che passasse la tempesta. Anni prima era finito dalla Lazio alla Roma Fulvio Bernardini, ma era passato attraverso l’Inter e poi erano tempi diversi. A Roma non si parlò d’altro e due miti della rivista musicale come Garinei e Giovannini dedicarono al rapimento La padrona di Raggio di luna ed era un privilegio per pochi e per pochi avvenimenti, ma quello valeva la pena. Selmosson, che nella Lazio aveva fatto bene, ma non così bene come si poteva pensare, aprì magnificamente la sua stagione giallorossa, come se gli anni in biancazzurro li avesse utilizzati per inserirsi a Roma. Giocò il primo derby da romanista il 30 novembre del 1958, vinse la Roma e Selmossson fece il gol del vantaggio. A testa bassa rientrò a centrocampo, senza esultare. Un atteggiamento adesso spesso ostentato. Ma allora fece effetto. Lo applaudirono romanisti e laziali. La sua timidezza si rivelava soprattutto fuori casa, quando al primo calcio si metteva da una parte e raramente poi esplodeva quell’estro che lo illuminava all’Olimpico. Nella Roma venne allenato da Nordhal, Sarosi e poi da Foni. Giocò accanto a Da Costa e Manfredini. Perse il posto per Menichelli e ritornò a Udine, da dove era partito e dove si sentiva a suo agio con gente che, in fin dei conti, gli somigliava. Nella Roma segnò trentadue volte e appena un gol nell’ultima stagione, quella dell’addio. Vinse la Coppa delle Fiere del 1961, sei presenze e una rete. Di lui ci restano immagini in bianco e nero, una commedia musicale, un vino di Liedholm (Raggio di luna), titoli di giornali e quel sorriso, che ora ci sembra triste" (Roberto Renga, ”Il Messaggero” 24/2/2002). "Era un’ala, forse una mezz´ala: a Udine giocava con il numero 10, a Roma con l’11. Così lo ricorda Liedholm: ”Amava partire da lontano per raggiungere, palla al piede, una progressione spesso travolgente. Le sue volate sulla fascia non erano finalizzate tanto al cross, quanto a quella conversione al centro che si completava con il tiro a rete. Un ruolo del quale le tattiche del calcio moderno hanno decretato da tempo l’estinzione”. [...] Terzo figlio del proprietario di una segheria. A 15 anni era centravanti con i due fratelli nella squadra del paese, a 19 passava allo Jonkoeping, ma per vivere faceva l’idraulico: il calcio svedese proibiva il professionismo. Esordì a 20 anni in nazionale A con una vittoria contro la Finlandia, nel frattempo era diventato pompiere. Professione che in Svezia è fucina di campioni: pompieri erano anche Gren e Nordahl. Il suo ingaggio fu laborioso: quando Giuseppe Bigogno si presentò a casa sua ricevette un rifiuto; al secondo tentativo alzò la posta e Selmosson firmò. Bigogno si rifece abbondantemente la stagione seguente quando cedette lui e Bettini alla Lazio per 150 milioni. Nella Roma giocava con Ghiggia, Schiaffino, Manfredini, Lojacono: un cocktail sudamericano con il quale vinse la Coppa delle Fiere nel ’61. L´Udinese porterà il lutto al braccio nella giornata del 3 marzo» (Corrado Sannucci, ”la Repubblica” 24/2/2002).