Varie, 15 marzo 2002
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Skrmeta Antonio
• Antofagasta (Cile) 7 novembre 1940. Scrittore. Regista. Famiglia di origini dalmate. Nel 1968 diventa professore di letteratura ispano-americana all’Università del Cile, paese che lascia nel 1973 dopo il colpo di Stato di Pinochet. La Germania diventa la sua nuova patria. Nel 1975, a Berlino, ottiene l’insegnamento di sceneggiatura all’Accademia tedesca di cinema e televisione. Torna in Cile nel 1989, nello stesso anno in Italia viene pubblicato Il postino di Neruda, romanzo che lo rende famoso. Nel 1994 esce Il postino, film ispirato al romanzo: lo dirige Michael Radford e lo interpreta Massimo Troisi (che ne trarrà una nomination all’Oscar postuma). Nel 2000 è stato nominato ambasciatore cileno in Germania: «So che non avrei potuto essere scrittore senza essere stato bambino, ma mi chiedo se avrei potuto essere lo scrittore che sono senza essere stato il bambino che fui […] Tutti i dopopranzo mia nonna attaccava l’orecchio sinistro all’altoparlante di una radio Philco e divorava con rapimento le parole del melodramma a puntate che la stazione paesana trasmetteva, mentre le sue dita diligenti tessevano scialli e sciarpe per un inverno che non arrivava mai, nella calda e desertica Antofagasta. La nonna gioiva e pativa delle peripezie degli eroi e dei villani, che si concludevano puntualmente in un clima tale da mettere una sete angociosa della puntata seguente. Purtroppo però la rete elettrica di quell’arida provincia era precaria e certi pomeriggi non c’era corrente, non c’era melodramma e non c’era insulto che mia nonna non pronunciasse, in lingua dalmata o in spagnolo, contro la radio. ”Che cosa starà succedendo?”, mormorava guardando di tanto in tanto verso l’occhio verde del ricevitore, con la speranza che la luce si accendesse. ”Magari – congetturavo io – il giovane che ama la bella e cieca Susanna inizierà a studiare medicina e le farà con successo un’operazione che le restituirà la vista!”. ”Ma quanto duran gli studi di medicina?”. ”Sette anni, nonna”. ” troppo: la commedia finirà prima”. Allora dovevo escogitare delle alternative. La cieca per qualche ragione aveva finto di non vedere, faceva un viaggio a Lourdes e la Vergine le faceva un miracolo o il tenero innamorato veniva sedotto dalla sorella […] A furia di riempire le interruzioni di energia elettrica, mi abituai ad usare l’immaginazione con disciplina settimanale finché un sabato, quando c’era la luce in tutta la casa, nell’intero quartiere e in tutte le lampadine della città, la nonna spense la radio e mi disse: ”Racconta tu”. Considero quel momento come l’inizio esatto della mia carriera di scrittore professionista» (’Corriere della Sera”, 8/9/2001) • «So bene che non sono un filmmaker. [...] Quando scrivo un romanzo mi sento completamente libero, e posso lavorare con i miei materiali molto liberamente. Posso creare immagini sciolte, posso lasciare che accadano cose senza senso apparente. come andare per mare senza sapere dove andrai. Un´esperienza bellissima di libertà. Quando scrivo una sceneggiatura ho invece la sensazione che ogni movimento deve essere giustificato, che devo sapere dove vado con il prossimo snodo della storia. E ogni volta ho in mente la tensione verso la fine. Il problema della risoluzione è sempre presente fin dalla prima riga. Il film è un genere drammatico e devi giocare secondo le regole. [...] Ho molto amato l´adattamento che Bob Fosse ha fatto di Good bye Berlin di Christopher Isherwood, trasformandolo in Cabaret: il mood del tempo era ricreato in modo così originale, che il film era allo stesso tempo completamente diverso e totalmente fedele. [...] La recherche rivisitata da Ruiz funziona molto bene perché Ruiz ha una vera affinità con il libro e un gusto da contemporaneo per la società del ciclo proustiano. Con un trucco, però: non ha provato a fare un film su una società, ma scelto di sviluppare un personaggio e la qualità poetica della narrazione di Proust. Se devi fartela con un autore estremo, con una storia che ha troppi contenuti, il modo migliore è ridurla, organizzare l´azione attorno a un personaggio, concentrarla attorno a una serie di osservazioni, con dei tocchi di intensità: non cercare di riprodurre l´intero sistema di uno scrittore. In questo senso García Márquez è stato molto intelligente a non cedere mai i diritti di Cent´anni di solitudine. In un romanzo in cui tutto funziona come un orologio è rischiosissimo smontare questa unità, affidarsi a dei personaggi che il cinema rischia di normalizzare. Ed è molto rischioso portare sullo schermo questo tipo di storie anche perché le rattrappisci, mentre ci vorrebbe un tempo infinito. C´è riuscito benissimo Fassbinder con Berlin Alexanderplatz. Ma ci vuole Fassbinder per rompere lo schema cinematografico del tempo» (Irene Bignardi, ”la Repubblica” 30/10/2003).