Livia Manera, "Corriere della Sera", 14/3/2002 pagina 39., 14 marzo 2002
Secondo Jan Tadeusz Gross, professore di Storia alla New York University, i carnefici dei 1600 ebrei polacchi uccisi il 10 luglio del ’41 nel villaggio di Jedwabne non furono uomini della Gestapo ma i loro compaesani
Secondo Jan Tadeusz Gross, professore di Storia alla New York University, i carnefici dei 1600 ebrei polacchi uccisi il 10 luglio del ’41 nel villaggio di Jedwabne non furono uomini della Gestapo ma i loro compaesani. Gross ha ricostruito gli eventi basandosi sulla testimonianza di un sopravvissuto, ritrovata in un archivio di Varsavia. Quel giorno, la metà non ebrea del villaggio s’armò di forconi, coltelli e asce. Prima ordinarono a settanta giovani di fare a pezzi e trasportare al cimitero il monumento a Lenin che si trovava sulla piazza, quindi li uccisero e li gettarono nella fossa insieme alla statua. Poi andarono casa per casa prendendo a sassate ogni ebreo che incontravano. Alcune madri affogarono i loro bambini per sottrarli ad altra fine, poi s’uccisero nello stesso modo. Qualcuno fu costretto a danzare e fare esercizi ginnici completamente nudo. Un gruppo di uomini giocò a pallone con la testa mozzata di una ragazza. Infine, nel pomeriggio, tutti gli ebrei sopravvissuti furono chiusi in un fienile e arsi vivi, mentre una banda musicale suonava alcune arie per coprirne le grida.