varie, 28 marzo 2002
CIAPPINA Ugo
CIAPPINA Ugo Milano 9 giugno 1928. Ladro • «Un pezzo di storia vivente della criminalità meneghina. Pioniere del “metodo scientifico” applicato al furto con scasso, guru della lancia termica e specialista di caveaux, noto negli ambienti della mala come “quello che ci prova sempre” è una delle sette “tute blu” che nella mattinata di giovedì 27 febbraio 1958 partecipò a uno dei colpi più spettacolari e ingegnosi ideati dalla criminalità organizzata del Dopoguerra. Ugo, che già all’epoca studiava rapine ritenute impossibili, si ispirò al film La signora omicidi. Perfezionista fino all’esasperazione, preparò il piano dopo essersi procurato una copia di quella sceneggiatura. Alle 9.25, sigaretta all’angolo della bocca, attese al volante di una “Giulietta” parcheggiata in via Osoppo l’arrivo di un furgone blindato della Popolare di Milano. A quel punto fece segno ai complici, tutti in divisa blu da operai, di speronare con un furgoncino rubato il camion con i soldi. L’azione durò pochi secondi. L’autista-guardia giurata fu tramortito con una martellata in testa. Dopodiché i banditi, tra i quali Eros Castiglioni e Enrico Cesaroni, altri personaggi di spessore della vecchia malavita, fuggirono con 114 milioni di lire (di allora) in contanti e 400 milioni in titoli. Tanti quattrini fecero perdere la testa a Ugo e soci i quali si diedero alle spese folli, frequentando night e donnine allegre. Trascorso un mese la polizia li arrestò. Durante il processo di primo grado l’avvocato penalista Armando Radice raccontò la storia del suo assistito. “Era - disse il legale - un bravo ragazzo; fece per anni il chierichetto, serviva messa, salvava i gattini e i canarini, era pietosissimo. Nel culmine della guerra, a 15 anni, preferì all’ozio della città la guerra partigiana, combatté ed ebbe encomi. Quando tornò a casa non trovò una famiglia, ma ebbe invece la sfortuna di imbattersi in un bieco mestatore, un armeno indegno, che lo trasformò in uno strumento da rapina. Per convincerlo a fare gli assalti gli citarono l’esempio di Stalin. Non era delitto, gli fu detto, se il reato pur grave che fosse era animato da una “causa politica”. Intanto, a San Vittore, teneva impegnati non poco i secondini. Per mesi rifiutò acqua e cibo. Respinse anche i pacchi dei parenti affermando che contenevano generi avvelenati. Lo dovettero nutrire con una sonda. Ci fu più di una perizia psichiatrica che confermò che il suo era soltanto un atteggiamento simulatorio. Venne condannato a 17 anni, pena poi ridotta a 14 anni. Uscito di galera, dove nel frattempo si era diplomato geometra “quello che ci prova sempre” fu sorpreso nel 1973 dalla polizia su un’auto carica di armi. Nel 1981 la Squadra mobile di Cosenza arrestò cinque persone, una delle quali era Ciappina, mentre compivano una ricognizione nell’agenzia centrale della Banca Nazionale del Lavoro. Nient’altro che uno studio preventivo dei luoghi, dedussero gli inquirenti, per poi tornare di notte con la lancia termica e tentare l’assalto alla cassaforte. Ugo era già stanco e ammalato: artrite, gastroduodenite, insufficienza coronarica, asma bronchiale. A chi lo aveva incontrato anni fa al Palazzo di Giustizia dopo nuovi guai con la legge aveva assicurato: “D’ora in poi, lo prometto, starò pulito”. Non è stato di parola. A 74 anni non ha saputo uscire di scena. Per resistere sul palcoscenico, lui il regista delle “tute blu” di via Osoppo, s’era adattato a compagnie di basso rango, con azioni di piccolo cabotaggio. Credendo di essere un personaggio entrato nel mito, aveva scritto una biografia. Anche lui, come tanti altri personaggi vagamente romantici di una malavita ormai lontana nel tempo, non ha mai sparato un colpo di pistola» (Paolo Chiarelli, “Corriere della Sera” 18/3/2002).