Varie, 28 marzo 2002
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Delillo Don
• New York (Stati Uniti) 20 novembre 1936. Scrittore. Laureato alla Fordham University, ha esordito nel 1971 con il romanzo Americana. Vive lontano dalla mondanità della società letteraria ma pubblica sulle più importanti riviste americane, dal ”New Yorker” all’’Harper’s”.Lavora molto per il teatro. Considerato il maestro della narrativa postmoderna americana; i suoi romanzi sono un ritratto della società americana attrvaerso i suoi miti. Altre opere: Great Jones Street (1974), I nomi (1982), Rumore bianco (1986), Libra (1988), Giocatori (1993), Mao II (1991), Cane che corre (1991) (’liberal” 24/6/1999). «Ha vinto i massimi premi letterari, dal prestigioso Pen/Faulkner al National Book Award ed è stato definito dai critici ”il maestro post-moderno dell’umorismo nero” e ”lo scrittore americano più significativo e importante di quest’ultimo scorcio di secolo, insieme a Thomas Pynchon, Philip Roth e Norman Mailer”. uno scrittore che detesta i riflettori (le sue interviste sono rarissime) e i fotografi e difende con gelosia quasi maniacale la propria vita privata di cui non si sa quasi nulla. Tranne che è nato nel Bronx il 20 novembre del ”36 da una famiglia di emigranti abruzzesi molto cattolica, ha frequentato un’università gesuita e dal ”75 è sposato con Barbara Bennett, ex dirigente di banca. Ma la sua leggendaria timidezza (’tipica dei montanari”, teorizza lui) contrasta con la portata della sua opera: una dozzina di voluminosi romanzi - tra cui Nomi, Rumore Bianco, Libra, Underworld e Americana» (Alessandra Farkas, ”Corriere della Sera” 13/5/2002). «Non è un recluso assoluto come Thomas Pynchon o come Salinger - ma non è poi tanto lontano dall’esserlo. Ha scelto, in un certo senso, la via dell’invisibilità relativa. Poca biografia, poche fotografie, interviste concesse con prudenza e scarso entusiasmo. Preferisce che a parlare di lui siano i suoi libri e pochi dati ”ufficiali” […] Padre e madre originari della provincia di Campobasso, è cresciuto nel Bronx, vicino a Arthur Avenue, detestando la scuola che considerava una perdita di tempo e una gran noia e adorando ”ogni forma di baseball immaginabile”, giocando a basket e a calcio, se necessario con una palla fatta di carta di giornale. Che il territorio dei suoi giochi, come per tanti italo-americani, è stata la strada. Che non si sente legato in maniera particolare alle sue origini italiane. Che si è laureato in Scienze della Comunicazione. Che per qualche tempo ha fatto un lavoro che non amava, il copywriter pubblicitario. E che si è ”imbarcato nella mia vita, nella mia vera vita”, scrivendo il primo dei suoi dodici romanzi, Americana, a ventinove anni (’allora a New York si poteva vivere con poco, io non avevo famiglia, e sono campato per tre anni con i miei risparmi”, raccontava per spiegare l’inizio della sua storia letteraria). […] Ha una faccia pallida, seria, intenta, sottile, un po’ spettrale. sempre intenso (almeno durante le interviste), come se ci fosse poco tempo. universalmente considerato come uno dei grandi scrittori contemporanei. Tanto che Thomas Pynchon, il recluso, il sofisticato Pynchon, lo definisce ”la voce più eloquente della letteratura americana”.[…] Vuole che al posto suo parlino i suoi libri. […] che dalla critica sono stati prontamente rubricati sotto la voce ”postmoderni” […] Sono grandi libri, i suoi, per dimensioni, ambizioni, stile, risultati. Lontanissimo dal cosiddetto minimalismo, generoso e abbondante, è uno scrittore alla ricerca del Grande Romanzo Americano – l’araba fenice inseguita da ogni scrittore Usa che si rispetti, il romanzo che dirà tutto dell’America, la rappresenterà, parlerà con la sua voce» (Irene Bignardi, ”la Repubblica” 4/3/2003). «Si ostina ancora a scolpire i suoi romanzi con la macchina da scrivere: ”La sensazione fisica di battere sui tasti e vedere i martelletti colpire il foglio è una parte così integrale del modo in cui penso, e persino del modo in cui vedo le parole sulla carta, che sarei reclutante ad abbandonarla. Secondo me c’è una qualità scultorea nella lettera dopo la lettera, la parola dopo la parola, il progresso lineare attraverso il pezzo di carta mentre batto a macchina. davvero sensuale”» (Paolo Mastrolilli, ”La Stampa” 16/4/2003).