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 2002  marzo 28 Giovedì calendario

BARCEL Miquel Felantix (Spagna) 8 gennaio 1957. Pittore. «Da Parigi e Barcellona a Segou (Mali). dal 1988 che si divide, appunto, fra Europa e Africa occidentale

BARCEL Miquel Felantix (Spagna) 8 gennaio 1957. Pittore. «Da Parigi e Barcellona a Segou (Mali). dal 1988 che si divide, appunto, fra Europa e Africa occidentale. Già dagli anni Ottanta, il suo linguaggio assomma tradizione iberica ed etnografia maiorchina, primitivismo africano e studio della grande arte europea. Nell’inverno del ”99, mentre lavora all’aperto, viene investito da una tempesta di sabbia. La quale, naturalmente, si deposita anche sui suoi quadri, creando una patina. Da qui, l’idea di fare ad hoc alcune opere in cui la sabbia (o la polvere) diventasse parte integrante del dipinto e contribuisse a renderlo suggestivo. Nascono, così, feticci, ossa, porcospini, antenati, statuette. Quasi ovunque, sullo sfondo, crani e bucrani. E, al mercato di Sangha, venditrici di pomodori, papaia e polpa di mango. un artista che ama raccontare. E la sua bravura sta non tanto nel descrivere, quanto nel suggerire scene e situazioni, e lasciarle nell’ambiguità. Storia e cronaca, antico e moderno. Come molti pittori della sua generazione, è stato una spugna. Ma come gli artisti di talento ha saputo scremare e dare la propria impronta. Tintoretto e Velázquez, Goya e, sul versante moderno, Tápies. Ma non sono i soli. uno che, a Barcellona, ha fatto l’accademia di Belle arti; a Madrid, ha trascorso ore e ore davanti ai capolavori del Prado; a Parigi, dinanzi a quelli del Louvre. Alla fine, però, ha trovato un proprio linguaggio. Visionario e fantastico. Esoterico e magico. Simbolico e magnetico. Come le leggende del Mali, dove egli cerca di diventare una sorta di nuovo stregone dell’arte» (Sebastiano Grasso, ”Corriere della Sera” 18/3/2002). «’Mi piace quand’è ancora liquida sulla tela, un lago di materia vischiosa, come la lava: in quel momento è una zuppa, che si può girare con movimenti lenti”: così parla della sua passione febbrile per la pittura uno dei maggiori protagonisti del panorama dell’arte contemporanea internazionale. L’artista, nato a Felantix (Maiorca) nel 1957, si impone all’attenzione della critica nel 1982 a Kassel, dove i più importanti galleristi del momento, Leo Castelli di New York, Bruno Bischofberger di Zurigo, Yvon Lambert di Parigi e Lucio Amelio di Napoli, se lo contendono. Protagonista del cosiddetto ritorno alla pittura e vicino alle correnti dominanti degli anni Ottanta - il Neoespressionismo tedesco e la Transavanguardia italiana - traccia un percorso individuale, radicato nella tradizione spagnola e mediterranea, sempre attento alla ricerca materica. Nomade nell’animo, viaggia in tutto il mondo, e ora divide il suo tempo tra Parigi, Maiorca e il Mali, che sente molto vicino alla sua arte. […] All’inizio degli anni Novanta, in Mali, durante uno dei miei lunghi soggiorni. Sperimentavo con il mio amico scultore Amahigueré Dolo, ma non andava tanto bene, ci si rompeva tutto, così mi sono rivolto a un’anziana donna ceramista di Bananì, un piccolo paese Dogon (i Dogon sono un’etnia che vive in Mali, sulle falesie di Bandiagarà, n.d.r.). Ho poi continuato a Maiorca […] Attraverso la ceramica, ho trovato nuove soluzioni per la pittura e viceversa. Con la ceramica mi piace trovare forme semplici, forme che già esistono, per poi deformarle, fare dei buchi. Cerco l’imprevisto per poi partire. La ceramica è perfetta per gli imprevisti, perché si segna e si buca facilmente […] Per me le ceramiche e le tele sono la stessa cosa. La ceramica è più vicina alla carta per la rapidità del lavoro, il risultato però è più vicino alla pittura per la complessità materica. Quello che mi piace dell’argilla è la semplicità, l’essenzialità e il fatto che la superficie conserva memoria di una carezza lieve, quasi nulla, fino ad un impatto violento […] Negli anni Ottanta ero arrabbiato perché mi chiamavano ”l’espressionista selvaggio’, mentre il mio lavoro era molto più strutturato di questa definizione. Studiavo la storia dell’arte, soprattutto barocca, e per i critici ero diventato ”l’espressionista intuitivo’, così ho iniziato una serie di dipinti sulle biblioteche, le gallerie del Louvre e sull’artista nell’atelier […] Alla fine degli anni Ottanta, prima di andare in Africa, ho eliminato tutto questo perché ero saturo di citazioni e avevo bisogno di azzerare questi riferimenti […] Non volendo più utilizzare riferimenti culturali ho scelto il bianco, anche per fare una ricerca sulla luce. Erano gli inizi dell’arte postmoderna, neo-concettuale, neo-geo, e si stava mettendo di nuovo in dubbio la pittura. Ho avuto un momento di crisi, ma è stato molto positivo perché dopo di allora il mio lavoro ha subito una metamorfosi […] Credo di aver fatto un salto in avanti - e ho sedimentato alcuni elementi centrali della mia ricerca, come ad esempio l’attenzione per i buchi e le spaccature. stata un’esperienza importante anche per le mostre che ho visto, i musei che ho visitato e gli artisti che incontravo in quel periodo, che poi erano quelli che mi interessavano di più in quel momento, come Warhol, Basquiat, Schnabel e Clemente […] Quando ho cominciato a realizzare i primi dipinti era anche per capire come sarebbero venute le mie sculture in pittura: fare un quadro che rappresenta le ceramiche e dipingere è come fare ceramica usando i buchi, così la ceramica diventa il tema della pittura e viceversa […] Negli anni Ottanta al centro dell’atelier c’era sempre l’artista come sola rappresentazione possibile e, a volte, c’era anche il cane o il gatto dell’artista. I suoi gesti venivano raffigurati in modo violento, barocco, come in una battaglia di Giulio Romano”» (Valentina Bruschi, ”il Messaggero” 9/9/2002).