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 2002  marzo 28 Giovedì calendario

PETACCHI

PETACCHI Alessandro La Spezia 3 gennaio 1974. Ciclista. Velocista. Vincitore della Milano-Sanremo 2005. Oltre a decine di tappe tra Giro, Tour e Vuelta • «[…] Era il 2 giugno 2002. Alessandro non era né Principe né Principino, ma solo uno dei cortigiani di Re Leone Cipollini. Faceva caldo: a Piazza del Cannone, a Milano, tifosi e suivers giravano in maglietta e pantaloni corti. Alcuni all’ombra dei platani di Parco Sempione, altri già a prendere posto sul rettilineo finale. Ultima tappa del Giro d’Italia di Paolo Savoldelli, il bergamasco dalle gote rosse che in discesa planava meglio di un falco. Petacchi? Chi lo conosceva. Ah sì, quello che ha fatto secondo dietro a Cipollini l’altro ieri. La gente lo ricordava a malapena: alto, grosso, un bel sorriso, quegli occhi timidi. Ma nulla più. La gente tifava Re Leone, il resto era soltanto il gruppo. Un fastidioso intralcio alle volate del campione toscano dalla parlatina facile e dai capelli al vento. Petacchi lo sapeva. E ne soffriva. Ne soffrì soprattutto quel giorno. Lui ci credeva. Mise la squadra in testa, proprio come alla Sanremo, si fece preparare la volata. Arrivò ai 200 metri e partì […]. Ma Cipollini, con l’autorità del sovrano, gli passò affianco e lo superò negli ultimi metri. Sembrava, Petacchi, dopo il traguardo, il classico perdente. Testa bassa, gocciolante di sudore, Alessandro sbatteva le mani sul manubrio, ansimava per lo sforzo profuso e smoccolava. Da solo. Perché la gente non lo guardava. Si affrettavano già verso il podio: spinte, gomitate, tutti a correre per farsi spruzzare dallo champagne di Supermario. E lui, Petacchi, il velocista sconosciuto, si prendeva due pacche sulle spalle dai pochi che erano rimasti. Il boato, il trionfo se lo sentiva nelle orecchie. Ma non nelle gambe e nella testa. Quella gli diceva un’altra cosa: ancora secondo, sempre secondo, cambierà prima o poi? cambiata, il tempo ha cancellato quelle sconfitte. Pochi, quell’afosa domenica di giugno, avrebbero scommesso che tre anni dopo l’inarrivabile Cipollini avrebbe reso le armi al carneade Petacchi. E nel giorno più bello per lo spezzino avrebbe annunciato il ritiro. Tre anni sono pochi, ma anche tanti. Nel mezzo Alessandro ci ha messo decine di vittorie: dimostrazioni di potenza, braccia levate al cielo, urla di battaglia. Già nel 2003 stampò Cipollini sul traguardo di Messina, prima tappa del Giro d’Italia. E poi continuò nella sua marcia inarrestabile verso la celebrità. E verso quel boato, finalmente tutto per lui. A Sanremo Petacchi ha finalmente avuto ciò che ancora gli doveva il destino. […]» (Cheo Condina, ”il manifesto” 22/3/2005) • «[…] Gaudilla (’Mio padre mi ha visto pacioccona, e avrà pensato, o forse si sarà detto: ”Ma guarda com’è gaia e tranquilla’. Gaia e tranquilla? Gaudilla!”) e Lucio si sono sposati a un’età che, oggi, il minimo è esplodere in un: ma siete stati pazzi. Ma allora no: quella pazzia si chiamava amore. Lei 18 anni, lui 23. Alessandro è nato che lei ne aveva 20, lui 25. Mamma Gaudilla: ”Si capiva subito: era nato per fare sport”. Dovunque lo mettessero, Alessandro brillava: in piscina, a nuotare, in pista, a correre. Si racconta di quella volta in cui Alessandro disputò una gara di corsa a piedi, sprint, velocità, in palestra: pronti via, una freccia, talmente freccia che non riuscì a frenare abbastanza, o forse la pista finiva troppo presto, quasi contro una parete, contro un muro. Mani davanti, per ripararsi: e frattura dei polsi. Tutti e due. Alessandro brillava un po’ meno a scuola. Ma si capisce, non si può mica essere fenomeni dovunque. […] La Betlemme di Alessandro Petacchi è l’ospedale di La Spezia. Babbo Lucio voleva chiamarlo Alessandro, Mamma Gaudilla avrebbe preferito Emanuele. Si sa già chi, dei due, ha vinto. Mamma Gaudilla non ha rimpianti, anzi: ”A pensarci adesso, ma come potevo pensare di battezzarlo Emanuele? Non ne ha neanche la faccia”. Aveva, invece, proprio la faccia di un Alessandro. Era l’una del pomeriggio, di un martedì, che a voler essere pignoli, è giorno di corsa per i ciclisti dilettanti. Ma a quel tempo, in casa Petacchi nessuno pensava al ciclismo, né per diletto né per professionismo. In casa Petacchi no, ma in casa Petacco sì. Bisogna sapere che su quelle strade della Lunigiana, al confine fra Liguria e Toscana, fra mare e monti, fra ulivi e viti, e a pochi metri da Gaudilla e Lucio, c’era un Petacco a infiammare il cuore degli sportivi. Anteo Petacco. Che prima pedalava per diletto, da dilettante, e poi per professione, da professionista. […] Dev’essere una questione di geni di questa zona: gente che va veloce, che ha fretta, che ha poco tempo, un briciolo meno degli altri. Petacchi è cresciuto cominciava a corteggiare la bici. Siccome il babbo Lucio non gliela comprava (’Volevo che la desiderasse tanto, il più possibile”) , corteggiava quelle degli altri. Le prime gare, due o tre concorrenti con una sola bici, erano a cronometro. Il giorno in cui gli fu finalmente regalata un’Atala rossa, modello sport, che non era da corsa, ma con il manubrio da corsa immediatamente sostituito a quello da turismo grazie all’’intervento di babbo Lucio, cominciò una nuova vita. A pedali. La prima sfida fu con due fratelli vicini di casa, già categoria esordienti, e bici da corsa vere, autentiche, fino in fondo. In programma il giro dell’isolato. Primo giro: tutti e tre insieme. Secondo giro: tutti e tre insieme. Terzo giro: un bambino solo al comando, la sua maglia chi se la ricorda più, il suo nome è Alessandro. Ma non era Fausto Coppi il suo eroe, come poteva esserlo, Coppi è come Garibaldi, Coppi e Bartali sono come Romolo e Remo. Storia, o leggenda. Il suo eroe era Beppe Saronni, altra eredità del babbo Lucio. ”Campionato del mondo professionisti su strada, 1982, Goodwood. Io e Alessandro, sul divano di pelle, quasi nuovo, davanti alla tv. Saronni schizza, esplode, vince. Io e Alessandro saltiamo in aria, decolliamo, e atterriamo, sul divano”. Risultato: ”Divano sfondato”. Babbo Lucio ammette: ”Strano ma vero, e giuro, non vorrei fare la figura del padre che se ne frega. Ma le emozioni che mi regalava Saronni quando vinceva, Alessandro non è mai riuscito a darmele”. Neanche al Giro? ”Neanche al Giro”. Neanche al Tour? ”Se è per questo, lui stesso al Tour mi confidava: " Babbo, non ci crederai, ma non sento niente’”. Neanche alla Sanremo? « Quasi mi vergogno. Neanche alla Sanremo”. […]» (Marco Pastonesi, ”La Gazzetta dello Sport” 21/3/2005) • «Sono un passista veloce. La mia caratteristica principale è quella di essere veloce in arrivi che si concludono in leggera ascesa. Sono gli arrivi che prediligo, ma ho vinto tappe anche dall’altimetria più dolce. […] A mio padre piaceva molto il ciclismo e io volevo cominciare a correre da subito. Papà mi ha consigliato di aspettare. Lui era tifoso di Saronni e, di conseguenza, lo sono diventato anch’io. Conoscerlo poi è stata una grossa felicità […] Ferretti mi dice spesso che io somiglio a Dino Zandegù, ma non l’ho mai visto correre» (Raffaele Sala, ”Corriere della Sera” 12/3/2002) • «’Alessandro è uno dei migliori corridori che ho avuto – esordisce Ferretti – .Tra i doveri del mio lavoro c’è anche quello di parlare coni corridori, per conoscerli. La lunga frequentazione con Petacchi mi ha indotto ad approfondirne lo studio: ero invogliato a conoscerlo, perché mi interessava. Così sono venuto a sapere cosa gli sarebbe piaciuto fare se non avesse corso. ”Peta” avrebbe amato studiare, sognava l’università, la facoltà di veterinaria, ama molto gli animali. E mentre me lo diceva, si interrogava anche sul suo futuro: avrò fatto bene, diceva, a scegliere questo mestiere? Ecco, Petacchi è uno che si interroga: troppo pochi lo fanno. […] Reverberi […] ci riporta al Petacchi ragazzo, che alla metà degli Anni Novanta si affacciava alla grande ribalta del professionismo. ”Me lo avevano consigliato Podenzana e Lerici, il suo direttore sportivo da dilettante. Già quando era junior parlavano bene di questo ragazzo, così nel ”96 lo presi nel mio gruppo. Allora tirava le volate a Guidi e a Conte, però lasciava intuire qualità notevoli. Doveva affinare il carattere, naturalmente: ad esempio, soffriva a stare lontano da casa e dopo un paio di giorni d’assenza rimaneva attaccato al telefono delle ore. Mi ci è voluta un po’ di pazienza nei primi due anni per fargli capire come funzionavano le cose nel ciclismo. Ricordo quando lo portai per la prima volta a vedere il percorso della Roubaix: Bruno, mi disse, qui abbiamo sbagliato strada, non è possibile che si pedali su queste pietre. Gli risposi che sì, si poteva... Poi è maturato e ora sta raccogliendo i frutti delle sue doti. Quando Ferretti mi chiamò per dirmi che era interessato a lui, gli dissi che poteva prenderlo senza problemi e che non lo avrebbe fatto tribolare essendo corretto come pochi”. A proposito della correttezza di Petacchi, già ribattezzato il velocista gentiluomo, Ferretti svela questo episodio. ”Mi telefonò la sera prima del Mondiale di Zolder. Erano le dieci. Nei giorni precedenti gli avevo detto di domandare se c’erano opportunità anche per lui, pur nel rispetto dei ruoli. Mi disse ”Ferro, non ce ne sono: non le ho chieste. Mi hanno dato un ruolo e io devo fare il mio dovere perché sono una persona onesta. Ne ero certo, gli risposi. Comportati bene”. Si è comportato benissimo» (Nino Minoliti, ”La Gazzetta dello Sport” 15/5/2003).