Varie, 29 marzo 2002
Tags : Boutros Boutros-Ghali
BoutrosGhali Boutros
• Cairo (Egitto) 14 novembre 1922. Politico. Studi alla Sorbona di Parigi e alla Columbia University di New York. Ministro e vice primo ministro del suo Paese, ha svolto un importante ruolo di mediazione nell’accordo di pace tra arabi e israeliani del 1979. Dal 1992 al 1996 è stato segretario generale delle Nazioni Unite, primo arabo e primo africano a ricoprire tale carica (’liberal” 23/9/1999) • «Proviene da una ricca famiglia egiziana: alta borghesia copta, cioè cristiana, con enormi proprietà terriere, cultura internazionale, amicizie a Corte. Il nonno Boutros-Ghali, pascià è per vent’anni ministro degli Esteri, quindi della giustizia, poi premier. Il giovane Boutros, che in arabo sta per ”Pietro”, si laurea al Cairo e si specializza a Parigi. Poi svetta come giurista. Sono gli anni 50-60 di Nasser, difficili per i Boutros-Ghali: la riforma agrarua nazionalizza gran parte dei loro latifondi, la politica panaraba non favorisce certo i copti. La svolta per Boutros arriva con Sadat, che gli affida la politica estera egiziana. E nel 1977 fa di lui l’uomo chiave nei negoziati con Israele che porteranno agli accordi di Camp David. Arabo, cristiano e sposato a un’ebrea; sensibile ai problemi del Terzo Mondo, ma di cultura europea; anticomunista e amico di Israele: sembra il candidato ideale al posto di segretario generale dell’Onu. Che occupa dal 1992 al 1996» (’Il Venerdì” 10/8/2001). «Dopo Camp David fui tentato di lasciare la ribalta, ma prima chiesi ad alcuni amici quanto fosse difficile una scelta del genere. Ne parlai con Bob Strauss, che aveva condotto le campagne elettorali di Jimmy Carter e aveva perso il ruolo di primo piano con la mancata rielezione del 1980. Mi disse che si era adattato alla nuova realtà in pochi giorni. Poi incontrai la moglie, a cui riferii la risposta di Bob. ”Che bugiardo!” sbottò lei. ”Passa le giornate disperato accanto al telefono che non squilla più”. [...] Tra i miei eroi d’infanzia c’era il nonno, premier egiziano assassinato dal pugnale di un integralista islamico. Mi identificavo in lui come negli eroi della letteratura: in Michele Strogoff di Jules Verne, che affrontava mille pericoli per portare un messaggio. E quando mi chiedevano cosa volessi fare da grande, rispondevo sempre ”il politico”, senza sapere bene cosa volesse dire. Ero anche affascinato dallo zio Wasif, più volte ministro degli Esteri, autore di saggi in francese sulla civiltà araba. Per sedurlo, quando ci veniva a trovare, fingevo sempre di leggere un libro. [...] Nell’Egitto di allora si respirava un’aria cosmopolita, particolarmente intensa durante la seconda guerra mondiale, quando lì si rifugiarono i sovrani d’Italia, Albania, Bulgaria e si accamparono vari eserciti stranieri. La borghesia egiziana parlava francese e faceva studiare i figli a Parigi: anch’io mi specializzai alla Sorbona. La cultura francese significava resistenza agli inglesi, che dopo l’indipendenza avevano mantenuto il controllo del Paese. Di fatto crescevamo parlando arabo, francese e di malavoglia inglese, usati in contesti diversi. Anche essere copto, appartenere a una minoranza cristiana in un Paese islamico, non creava grandi problemi negli anni 30-40. La mamma e la nonna erano molto religiose: ogni domenica andavamo a messa nella chiesa di famiglia, la Boutrossaya, dove è sepolto il nonno assassinato ed è affrescato il ritratto di mia nonna che offre l’edificio a San Paolo [...]» (Antonella Barina, ”Il Venerdì” 10/8/2001).