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 2002  aprile 04 Giovedì calendario

P300, ovvero menzogna. Tutto è cominciato all’inizio degli anni ’90, quando la CIA ha assegnato un piccolo finanziamento a Emanuel Donchin, uno psicologo dell’Università dell’Illinois a Urbana-Champaign, e al suo studente Lawrence Farwell, perché scoprissero che cosa si poteva ottenere con un test EEG

P300, ovvero menzogna. Tutto è cominciato all’inizio degli anni ’90, quando la CIA ha assegnato un piccolo finanziamento a Emanuel Donchin, uno psicologo dell’Università dell’Illinois a Urbana-Champaign, e al suo studente Lawrence Farwell, perché scoprissero che cosa si poteva ottenere con un test EEG. L’EEG, o elettroencefalografo, impiega elettrodi ultrasensibili per misurare le fluttuazioni del potenziale elettrico determinate dall’attività della corteccia cerebrale. Donchin era un esperto di un particolare e caratteristico picco del tracciato dell’EEG, denominato P300, che compare circa un terzo di secondo dopo che si è osservato qualcosa di significativo. una specie di clic mentale di riconoscimento. Quel che più conta è automatico e del tutto prevedibile. Come era possibile che un P300 smascherasse una bugia? Ci sono due modi per usare un poligrafo. La procedura standard consiste nel porre anzitutto una domanda lievemente imbarazzante ma generica, come: «Ha mai guidato dopo aver bevuto un bicchiere di troppo?». Questo stabilisce un valore base per la lettura del tracciato, prima di saltare a domande più serie come: «Ha mai avuto contatti professionali non autorizzati con persone di nazionalità estera?». Il principio che sta alla base di questo sistema è che solo i soggetti colpevoli reagiranno vigorosamente ad accuse vere e proprie. Tuttavia uno dei motivi che hanno screditato la validità del poligrafo è appunto la facilità con cui una persona esperta può esagerare le proprie reazioni alle domande base, falsando così l’entità delle menzogne successive. Tuttavia esiste anche una forma di test alternativa, nota come il ”test della competenza del colpevole”. I soggetti sono messi alla prova con immagini o espressioni che possono risultare significative solo per loro. Un agente sospetto del KGB avrebbe così potuto essere sottoposto a test su reazioni emotive, come un balzo al cuore oppure una respirazione affrettata, che potevano essere suscitate in lui da parole in codice del KGB. Un interrogato di cui si sospettava il coinvolgimento in un crimine sarebbe stato sottoposto a un test sulla conoscenza di quel crimine. Donchin e Farwell si erano resi conto che il test della competenza del colpevole si integrava bene con l’esame dei tracciati P300. Le persone che fossero a conoscenza di segreti avrebbero dovuto evidenziare un P300 in presenza di immagini o espressioni che altrimenti sarebbero potute sembrare del tutto innocue. I ricercatori allestirono perciò un test di laboratorio in cui i soggetti dovevano recitare una parte, effettuando finte missioni spionistiche che consistevano nel consegnare il ”messaggio del gufo” a un contatto in soprabito blu, in una certa strada. Poi registrarono le reazioni cerebrali a un elenco di parole che comprendeva alternative innocenti, come ”il messaggio del topo” e un contatto con uno scialle rosso. L’analisi delle reazioni che presentavano un P300 consentì di riconoscere quasi il 90 per cento delle ”spie”. Ma l’aspetto più importante fu che non vennero riscontrati falsi positivi, cioè soggetti innocenti che fossero stati erroneamente accusati da onde ”di colpevolezza”.