Varie, 14 aprile 2002
BIAGI
BIAGI Marco Bologna 24 novembre 1950, Bologna 19 marzo 2002 (assassinato dalle Brigate Rosse). Economista • «La borsa da professore, la bicicletta, il suo spirito bonario e abitudinario. C’era tutta la sua vita, il suo carattere nell’ultimo momento della vita di Marco Biagi, assassinato mentre tornava a casa, dalla moglie Marina Orlandi e dai figli in via Valdonica, nel suo ghetto ebraico, a due passi da piazza Maggiore che voleva far rivivere perché ”sporco e senza controllo”. La borsa del giurista, l’esperto di diritto del lavoro della grande scuola bolognese di Federico Mancini che lo aveva portato a lavorare con Bassolino e Treu, prima, e ora con Maroni. La bicicletta dell’instancabile pedalatore sui colli bolognesi con l’amico Romano Prodi, o verso il mare dove andava con la due ruote da corsa a trovare gli amici socialisti. I movimenti regolari del professore che arriva a casa quasi sempre alla stessa ora, dalla moglie Marina Orlandi e dai due figli, di ritorno dall’università di Modena, dove insegnava. Chi ha sparato lo immaginava un falco, un nemico da distruggere nel cuore di un conflitto sociale che spacca in due l’Italia perché collaborava con Maroni. Ma Biagi era tutto meno che un falco. ”Basta trovare una via di mezzo - diceva nella sua ultima intervista televisiva - una strada diversa da quella del governo, che anche la Cgil potrebbe accogliere. Magari escogitare una sospensione per i neo assunti al sud”. Poi lo spazio per le mediazioni si è chiuso. E Biagi ha aderito all’appello in favore delle correzioni all’articolo 18 di Renato Brunetta, l’economista di Forza Italia, mentre molti dei suoi amici bolognesi si schieravano dall’altra parte, con il sindacato. Ne aveva discusso appassionatamente e animatamente la settimana scorsa con i colleghi Giorgo Ghezzi, Luigi Mariucci, Franco Carinci e con l’ex sindaco Walter Vitali, in uno dei tanti viaggi da pendolare tra Roma e una Bologna dove tutti si conoscono. […] Insegnava alla facoltà di Economia di Modena, ma era l’ultimo rampollo di una grande scuola di giuristi del lavoro. ”Era la mascotte del gruppo” ricorda il professor Umberto Romagnoli, scosso dalla notizia. Era ancora studente quando il suo maestro, Federico Mancini con l’agguerrita e nutrita pattuglia dei suoi allievi Romagnoli, Ghezzi, Pedrazzoli e Montuschi scriveva lo statuto dei lavoratori. Lavoravano gomito a gomito con Gino Giugni, socialista come Mancini. E come Biagi. Era rimasto socialista anche negli anni della caduta di Craxi. Grande amico di Enrico Boselli, lo aveva seguito anche quando dirsi socialisti era un’onta. Negli anni novanta nel mondo laico-socialista ogni volta che si parlava di un rimpasto di giunta o di un assessorato, saltava fuori il suo nome. Era un professore, infatti, e un professore stimato. Alla fine il sindaco Ds Walter Vitali lo scelse per il consiglio di amministrazione dell’azienda trasporti. La lasciò nel ”99 quando Giorgio Guazzaloca espugnò la roccaforte rossa. Quell’anno Biagi si era candidato nella lista dello Sdi che stava dalla parte sbagliata. Ma la politica veniva dopo. Al primo posto c’era l’attività di studioso del mondo del lavoro. Collaborava con il Comune di Milano e con l’Unione Europea. Con i sindacati e con la Confindustria. Consulente degli ultimi governi del centrosinistra, da Bassolino a Treu all’amico bolognese Angelo Piazza, aveva scritto un libro sulle politiche del lavoro con Tiziano Treu. Faceva parte del Cnel, il consiglio nazionale dell’economia e lavoro, e dell’Arel l’istituto di ricerche economiche di Nino Andreatta. La svolta, che lo porterà ad essere indicato come uno degli ispiratori della riforma dell’articolo 18, arriva nell’autunno. Da consulente del ministro Roberto Maroni partecipa alla elaborazione del Libro bianco sul mercato del lavoro, un testo che secondo il professore bolognese ”può davvero costituire un punto di svolta per il diritto del lavoro prossimo venturo”. Una svolta liberale. E da quel momento Biagi segue passo passo l’inasprirsi dello scontro. Sul Sole 24 racconta la cronaca di uno scontro sociale che, nonostante i tentativi di mediazione, si inasprisce. E che qualcuno, colpendo lui, vuole rendere esplosivo» (Luciano Nigro e Carlo Gullotta, ”la Repubblica” 20/3/2002).