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 2002  aprile 14 Domenica calendario

Bly Robert

• . Nato a Madison (Stati Uniti) il 23 dicembre 1926. Scrittore. «Il primo segnale fu nel ’74, quando davanti a 45 persone in un campeggio nei boschi del Colorado raccontò e discusse una favola celtica che riguardava l’archetipo della Grande Madre. Dieci anni dopo cominciarono i seminari esclusivamente maschili. Bly, che fino allora era un poeta apprezzato e noto soprattutto per essere un leader della protesta contro la guerra in Vietnam, imboccò la strada che doveva portarlo a diventare il punto di riferimento dei movimenti basati sulla necessità da parte dei maschi di riflettere su se stessi, sulla loro natura, sul loro ”genere”, che a poco a poco dilagarono in America e nel mondo. A distanza di tanti anni, e dopo migliaia di seminari, l’anziano scrittore si guarda alle spalle con divertita soddisfazione. La sua avventura tra versi e saghe mitiche ha inciso profondamente, in parallelo con la grande ondata femminista. Com’è incominciata? ”La nostra generazione tornò dalla seconda guerra mondiale con un debito verso i morti. Quelli che erano caduti ci dicevano: non sprecate la vostra vita, fate qualcosa di significativo”. Per lui - e per altri del gruppo che si ritrovò a Harvard nel ’48 - questo significò innanzi tutto poesia. Ma, come il tempo si è incaricato di dimostrare, la poesia implicava anche altro. [...] A 76 anni è uno dei grandi vecchi della letteratura americana, ma proprio come negli anni Sessanta non si è ancora stancato di girare il paese, partendo dalla sua isolata fattoria del Minnesota, a leggere versi e - come spiega - a ”raccontare storie”. Soprattutto una: quella di un ragazzo che diventa adulto. L’enorme fortuna dei ”men’s movements” comincia di lì. ”Dato che non si vive facendo il poeta, mi ritrovai a organizzare seminari basati sulle favole - ricorda -. All’inizio il pubblico era misto, e mi accorsi che le donne (due terzi dei partecipanti) parlavano molto, partecipavano intensamente, mentre gli uomini stavano zitti. Decisi allora di dividere i gruppi: per esempio donne al sabato, maschi alla domenica. E di trovare le fiabe adatte, per esempio quelle dei fratelli Grimm”. Era il 1985, Bly mise a fuoco la storia che sarebbe diventata l’architrave di tutto il suo lavoro: la favola di Iron John, l’uomo d’acciaio. Niente a che vedere con Stalin: Iron John è tutto coperto di peli rossi, pare d’acciaio sì, ma incandescente (in italiano il titolo è Il rugginoso). E’ una sorta di mostro che viene scoperto dai cacciatori in fondo a uno stagno, condotto alla corte del re e liberato dal principino la cui palla era finita nella sua gabbia. L’uomo d’acciaio e il fanciullo vanno insieme nella foresta, dove attraverso varie prove iniziatiche il ragazzo diventa uomo e il ”mostro” torna quel che era prima che un incantesimo lo trasformasse. Bly ne dà una lettura archetipica, in senso junghiano, e la usa come testo di riferimento per permettere ai maschi dei suoi seminari di guardare nel profondo di se stessi. ”Il primo giorno i più anziani cominciavano a capire d’aver sprecato la propria vita e piangevano. Il secondo giorno toccava a quelli di mezza età, il terzo ai più giovani, che si commuovevano all’idea di quel che sarebbe potuto capitar loro”, ridacchia Bly con quella sua aria molto complice e cameratesca, ma si capisce che sta facendo il duro per non commuoversi anche lui. Iron John divenne un libro nel ’90, ed ebbe un successo enorme: quattrocentomila copie subito, 27 settimane nelle classifiche del New York Times (nel ’92 fu tradotto in Italia da Mondadori, col titolo Per diventare uomini: come un bambino spaventato si può trasformare in un uomo completo e maturo). Battezzò un’era. L’America, scrive Bly, aveva visto il maschio degli anni cinquanta chiuso nella sua fortezza, quello degli anni sessanta sensibile e femminilizzato, ma entrambi infelici, in una civiltà ormai senza padri. Ci voleva una sintesi. Il ragionamento era semplice: la società industriale ha allontanato i padri dai figli; i figli non vedono più il padre lavorare, stanno con lui solo quando rincasa; ricevono il suo ”temperamento” ma non più il suo ”insegnamento”. Dato che tornare indietro non si può, bisogna guardare avanti, recuperare autorità, rispetto di sé, indipendenza e ”wilderness”, il selvatico che è in noi: ma servendosi della tradizione, dell’antico, dei grandi miti e, perché no, della poesia. ”Immagina cento uomini in un bosco, moltissimi dei quali non hanno mai letto un verso in vita loro. Io comincio con Neruda, Yeats, Leopardi, Baudelaire, Ungaretti. E quella stessa gente che non avrebbe mai capito una parola se li avesse letti da sola, ad ascoltarli recitati li comprende benissimo”. Bly, che ha una moglie analista junghiana, lavora con James Hillman e Michela Meade, anche se non si considera un analista a sua volta. Solo uno ”story teller”, un raccontatore. Dal Messico a Seattle al suo Minnesota, in tanti anni ha incontrato decine di migliaia di maschi. Per ognuno di loro un solo seminario, massimo una settimana. ”Molti vorrebbero tornare, ma noi li rispediamo a casa. Io non faccio psicoterapia”. Quando uscì Iron John oltre al successo vennero anche le critiche. ”Molti, senza aver letto il libro, mi accusarono di maschilismo e fascismo. Poi si resero conto che non era così”. Ora i movimenti maschili sono moltissimi e coinvolgono centinaia di migliaia di persone, dall’American Father Coalition a un misterioso Australian Male’s party, dalla bostoniana Coalition for Preservation of Fatherhood agli Harvard Anti-sexist Men; anche in Italia c’è il gruppo dei ”maschi selvatici” che fa capo allo psicanalista Claudio Risé. I siti Internet ad essi dedicati ne catalogano centinaia, c’è una sessantina di riviste (la più importante è ”Wingspan”, e c’è davvero un po’ di tutto, dai padri separati ai ”warriors”, che hanno un’idea autoritaria del loro ruolo, anche se usano l’assai democratico Iron John come riferimento. ”Io non posso farci niente”, taglia corto Bly. ”Il mio materiale è a disposizione di tutti”. Però è soddisfatto. E’ partito dalla poesia, quando da giovane scrittore rifiutò i ”padri” come Auden e Lowell per mettere insieme Walt Whitman, il grande bardo della democrazia americana, con Pablo Neruda, Rilke o Montale; ha scoperto che ”lavorando con la mitologia e le favole apriamo noi stessi a un grande dominio del passato, e questo ci dà energia”; ha detto no alla cultura delle droghe del suo amico Allen Ginsberg (’la nostra forza veniva dallo studio, non dalle sostanze o dalla vita disordinata”) ed è riuscito a sperimentare tutto questo sulle realtà della vita quotidiana. ”Poesia è essere pazzi due volte. E’ l’unica via di sopravvivere”. Nel formicolio dei ”men’s movements”, caotici e contraddittori, guarda indietro ma anche nei grandi boschi e nei parchi della sua America: ”Vedo sempre più padri giocare con i loro figli. Questo trent´anni fa non succedeva”» (Mario Baudino, ”La Stampa” 4/4/2002).