Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2002  aprile 14 Domenica calendario

GANDINI Fabrizio. Nato a Sozzago (Novara) nel 1970. «Gip di Aosta che ha fatto involontariamente irruzione sulla scena delle celebrità per una vicenda che di fatuo e di edonistico non ha nulla, da qualche settimana riceve e-mail, lettere, telefonate di ammiratrici da ogni dove

GANDINI Fabrizio. Nato a Sozzago (Novara) nel 1970. «Gip di Aosta che ha fatto involontariamente irruzione sulla scena delle celebrità per una vicenda che di fatuo e di edonistico non ha nulla, da qualche settimana riceve e-mail, lettere, telefonate di ammiratrici da ogni dove. Si parla del suo sigaro sempre acceso e dei suoi basettoni sale e pepe, della sua somiglianza con qualche divo americano e di quell’aria un po’ svagata. Piacciono quell’aria da ragazzo malinconico che ne ha viste molte nella vita, quel suo ciuffetto ingrigito, quella sua timida cortesia. La sua biografia, però, dice molto altro e molto di più. E non solo quella professionale. Intanto, a differenza di chi va cercando mondanità, ha scelto di vivere in una casetta di montagna a mille metri, dove quando nevica si ha la sensazione di stare fra i lupi e dove l’unico svago è un bar -’il fiolet”- i cui avventori hanno un’età media intorno ai 60 anni. Non ha telefono in casa, nè televisione, ma una paccata di libri. Gialli, trattati di psicologia e di teologia. L’hanno ripreso in mille modi, questa settimana. L’hanno assediato, gli hanno posto domande bizzarre, chiesto pareri e previsioni. Lui ha estratto dal cilindro una delle cose che sa far meglio: confondere le acque. Gli chiedevano, per esempio, se già stesse studiando il fascicolo del ”giallo di Cogne”. E lui - che già aveva quelle carte da tre giorni e le stava vivisezionando - rispondeva di non saperne niente, poi si faceva vedere in giro per Aosta e dintorni come un perditempo che non ha nulla da fare. Sette giorni è rimasto a lavorare su quel fascicolo prima di prendere una decisione. Dicono di lui che sia roso dai dubbi. E lui ribatte che, per un magistrato, quella non è un’accusa, ma un complimento: ” necessario cambiare idea, a patto che quando si è raggiunta una convinzione si sia completamente onesti e laici nel verificarla con i dati di fatto. Disposti, quindi, a cambiare idea un’altra volta”. Anche per questo l’ordinanza che ha scritto per mandare in carcere la mamma di Samuele è un voluminoso incartamento di ottantatrè pagine. Ha smesso con le burle e i depistaggi solo quando Annamaria Lorenzi è stata arrestata su ordine suo. E allora è venuto fuori il magistrato garantista e prudente, uno di quelli all’antica che considerano la forma sostanza, e che si pongono innanzitutto il problema di rispettare le regole, anche quando le regole sono timbri da mettere su un foglio o noiose procedure burocratiche. ”Non ho scritto una sentenza, ma un’ordinanza. Ho dovuto valutare solo le conclusioni di una parte, l’accusa. Per arrivare alla verità c’è bisogno che anche la difesa mostri le sue carte. banale dire che tutti sono innocenti fino a prova definitiva, ma purtroppo sovente si fa scempio anche delle cose acquisite”. Ha chiesto fino allo sfinimento di non essere considerato un inquisitore e quando si è azzardato a parlare della donna che ha mandato in carcere, ha detto così: ”L’unica cosa che posso e voglio fare, è ascoltarla”» (R. Pez., ”Il Messaggero” 17/3/2002).