Martino Sacchi - Macchina del Tempo Anno 3 n.5 Maggio 2002, 20 aprile 2002
L’astronomia ellenistica. L’astronomia ellenistica (323-146 a.C.) compì notevoli progressi perché sfruttò lo sviluppo della geometria, in particolare la sua sistemazione a opera di Euclide
L’astronomia ellenistica. L’astronomia ellenistica (323-146 a.C.) compì notevoli progressi perché sfruttò lo sviluppo della geometria, in particolare la sua sistemazione a opera di Euclide. Ciò permise agli scienziati greci di ottenere alcuni dei loro risultati più notevoli. Aristarco, vissuto nel II sec. a.C., riuscì a calcolare la distanza tra la Luna e la Terra: secondo i suoi calcoli era pari a 40 diametri terrestri (il valore corretto è circa 30,5). Esaminando poi le osservazioni condotte durante le eclissi, calcolò anche la distanza tra la Terra e il Sole, stimandola in 760 diametri terrestri (qui Aristarco fu tradito dai suoi strumenti di osservazione: il valore corretto è circa 20 volte maggiore). L’astronomo che sfruttò al meglio le possibilità offerte dallo strumento matematico, introducendo per la prima volta l’uso delle funzioni trigonometriche e usando il calcolo per prevedere la posizione dei pianeti, fu Ipparco di Nicea (150 a.C. circa). Usando abilmente alcune osservazioni effettuate durante le eclissi di Sole e di Luna, migliorò notevolmente la stima della distanza Terra-Luna (che stabilì in 29,5-33,6 diametri terrestri circa, vicina a quella reale). Compilò anche uno dei primi cataloghi di stelle al mondo, e si accorse che le stelle modificano lentamente la loro posizione rispetto agli equinozi (ossia i punti sulla volta celeste in cui l’equatore celeste e l’eclittica si intersecano): è il fenomeno oggi noto come ”precessione degli equinozi”, una delle scoperte più importanti di tutta l’astronomia antica. Per dare un’idea dell’accuratezza delle osservazioni di Ipparco basti dire che questo lentissimo movimento è inferiore a 1 grado ogni cento anni. Tutte le conoscenze e i risultati dell’astronomia ellenistica confluirono nell’opera del più grande astronomo dell’antichità, Claudio Tolomeo, vissuto ad Alessandria d’Egitto tra il 130 e il 175 d.C. La sua opera più famosa, universalmente nota col nome arabo di Almagesto, rimase il punto di riferimento in campo astronomico fino al XVII secolo. Tolomeo scelse di combinare insieme sia il modello a epicicli sia quello a eccentrici, in modo da usare gli epicicli per rappresentare alcune variazioni di velocità dei pianeti e gli eccentrici per rappresentarne altre. Tuttavia ancora non riusciva a giustificare alcuni risultati delle sue osservazioni. Per riuscirci, Tolomeo fu costretto a formulare un’ulteriore ipotesi: il moto del pianeta è uniforme non rispetto alla Terra, da cui noi lo osserviamo, e neppure rispetto all’eccentrico (che era, ricordiamolo, il centro del cerchio su cui si muoveva il centro dell’epiciclo), ma rispetto a un terzo punto, detto ”equante”, simmetrico alla Terra rispetto all’eccentrico. I dati calcolati accettando questo postulato concordavano molto bene con quelli ricavati dall’osservazione di quasi tutti i pianeti (meno Marte: sarà proprio studiando la sua orbita che Keplero formulò, all’inizio del Seicento, le sue leggi sul moto dei pianeti). Di fatto il moto risultante da questi espedienti, inventati per giustificare specifici risultati delle osservazioni, era molto simile a un’ellisse, che è, come sappiamo oggi, l’orbita vera. Tolomeo, però, continuò a sentirsi obbligato a usare solo moti circolari uniformi per descrivere le traiettorie dei pianeti. Nessuno scienziato dell’antichità o del medioevo riuscì a superare i risultati di Tolomeo: la bontà del suo sistema è testimoniata dal fatto che ancora nel XVII secolo il padre gesuita Matteo Ricci, missionario in Cina, otteneva, usando il sistema tolemaico, previsioni astronomiche migliori di quelle degli astronomi cinesi.