Mario Giampaoli - Macchina del tempo anno 3 n.5 maggio 2002, 5 maggio 2002
Ci si gettò dentro a capofitto. Era il 1926, aveva ventiquattro anni e stava rinascendo. Una metamorfosi, come quella delle farfalle: perfino gli altri nomi che portava le erano caduti di dosso come una buccia inutile, come il bozzolo vuoto di una crisalide
Ci si gettò dentro a capofitto. Era il 1926, aveva ventiquattro anni e stava rinascendo. Una metamorfosi, come quella delle farfalle: perfino gli altri nomi che portava le erano caduti di dosso come una buccia inutile, come il bozzolo vuoto di una crisalide. Ora si chiamava Leni Riefenstahl e basta. E non entrava nel cinema per la porta di servizio, ma partiva subito come protagonista nel film La Montagna sacra. Il regista era un giovane geologo, Arnold Fanck, che aveva solo tre anni più di lei e lo stesso entusiasmo. Fecero molti film insieme, e il tema era sempre la montagna, l’avventura, il rischio; le scene più pericolose quelle che Leni preferiva. Per La bella maledetta si schiantò deliberatamente con un aereo contro un iceberg, e poi affrontò valanghe, acque gelide, perfino bestie feroci. Forse lei e Arnold vissero insieme un tempestoso amore, ma intanto Leni gli rubava il mestiere di regista. Con il film La luce azzurra, di cui fu la realizzatrice, la produttrice, l’inteprete, nel 1932 si tuffò nella sua terza vita.