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 2002  aprile 20 Sabato calendario

Il trionfo di Carlo V. Come mai i lanzichenecchi attraversarono l’Italia e vennero a saccheggiare Roma? Ce la caveremo con due parole: in quel momento c’era un imperatore - Carlo V - che voleva conquistare l’Europa

Il trionfo di Carlo V. Come mai i lanzichenecchi attraversarono l’Italia e vennero a saccheggiare Roma? Ce la caveremo con due parole: in quel momento c’era un imperatore - Carlo V - che voleva conquistare l’Europa. Fece la guerra a tutti e dunque anche al papa. Oltre tutto il papa era alleato dei francesi, nemici acerrimi di Carlo V, che aveva sotto di sè la Spagna, gli stati tedeschi e le terre del Nuovo Mondo. Il sacco di Roma, che qui raccontiamo sulla traccia del bel libro di Antonio Di Pierro (Mondadori), durò in realtà nove mesi. I lanzi, giorno dopo giorno, assaltarono i palazzi dei cardinali e dei nobili, pieni di gioielli, di argenteria, di opere d’arte. Chi tentava di resistere veniva spazzato via. La dimora del principe Domenico Massimo, per esempio, fu attaccata, saccheggiata e poi incendiata; le figlie del patrizio romano vennero violentate dai soldati e poi uccise. Invaso e depredato il palazzo del cardinale Giovanni Piccolomini, catturato dai soldati imperiali e trascinato per le strade della Città santa tra insulti e sberleffi. Gli alti prelati (la maggioranza) e quei pochi che s’erano rifugiati presso di loro (qualche centinaio di persone) ebbero salva la vita pagando ingenti taglie. La questione veniva risolta davanti al notaio che certificava le somme da versare per riscattare ogni singolo rifugiato. Il cardinale Andrea Della Valle, per citare un caso, dovette sborsare migliaia di ducati, di cui ventotto per Ludovica Albertoni. E pagare non risolveva neanche la questione: soddistatta una guarnigione, poniamo spagnola, poteva accadere che se ne facesse avanti un’altra e che pretendesse un nuovo versamento. Nessuna casa, nemmeno quella della più umile lavandaia, venne risparmiata. Ovunque vi furono eccidi, stupri, torture per costringere gli ostaggi a dire dove avevano nascosto il danaro (che a volte esisteva solo nella bramosa fantasia degli occupanti). Non vennero risparmiate neanche le chiese o i conventi. Non si contano le monache violentate, i frati trucidati. I lanzi erano in maggioranza tedesca e luterani, dunque pensavano che Roma fosse il vaso di tutti i mali (Lutero: «se c’è un inferno Roma ci sta sopra»). Come mai il resto d’Europa non aiutò Roma? Le due più importanti teste coronate del momento avevano altri crucci. Enrico VIII, re d’Inghilterra, in quei giorni, stava muovendo le sue pedine diplomatiche per ottenere dal pontefice il divorzio dalla prima moglie Caterina: obiettivo, sposare la giovane Anna Bolena e sperare in un figlio maschio. Francesco I, re di Francia, aveva ancora i due figli prigionieri a Madrid, ostaggi dell’imperatore, umiliante prezzo che aveva dovuto pagare per la sua stessa liberazione dopo la cocente sconfitta nella battaglia di Pavia. Quanto alla Lega santa, dopo mille tentennamenti, desistette. Clemente VII, che, quando l’esercito amico era a pochi passi da Roma aveva interrotto il negoziato di pace, dovette poi firmare la resa. Era mercoledì 5 giugno. Il papa si impegnava a pagare quattrocentomila ducati, a consegnare diverse città e a rimanere prigioniero a Castel Sant’Angelo fino a quando non avesse adempiuto a tutte le clausole del trattato. Le sofferenze, per il popolo romano, non erano però terminate. Non essendo riuscito il pontefice a pagare l’ingente somma richiesta, il grosso dell’esercito imperiale – che durante l’estate era uscito da Roma per sfuggire alla peste – tornò il 25 settembre e riprese il saccheggio con più ferocia e più determinazione. Solo dopo la fuga di Clemente da Castel Sant’Angelo, l’8 dicembre successivo, cominciarono a maturare le condizioni di una smobilitazione generale di lanzichenecchi e soci, che infine lasciarono l’Urbe lunedì 17 febbraio 1528. Roma era stremata, la sua popolazione quasi dimezzata (da 55 mila a 33 mila abitanti). Si moriva di fame, c’era la carestia, scoppiò una terribile epidemia di peste. Le fazioni in lotta si combattevano tra loro, le strade erano piene di morti ammazzati. Clemente VII non voleva tornare e si rassegnò solo quando dovette constatare che Carlo V aveva trionfato di tutti i suoi nemici: padrone di mezza Europa e delle terre da poco scoperte nel Nuovo Mondo, in Italia manteneva il possesso del regno di Napoli e del ducato di Milano. Così, il 6 ottobre 1528, sotto un violento temporale, in sella a un cavallo e con una piccola scorta, tornò nella città sua, devastata.