Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2002  aprile 26 Venerdì calendario

Bartelt Gustavo

• . Nato a Buenos Aires (Argentina) il 2 settembre 1974. Calciatore. «Una faccia da fare rabbia ai bellissimi di Hollywood, un’infanzia agiata divisa tra calcio e studio. Poi nel ’98, a 24 anni, un ricco contratto per 5 stagioni come centravanti della Roma. La vita doveva proprio sembrare un sogno all’argentino Gustavo Bartelt. Difficile non invidiare uno così. Eppure, nonostante le premesse, dal suo arrivo in Italia al bel Gustavo non ne è andata dritta una: dalle difficoltà di ambientamento, ai prestiti sfortunati in Inghilterra e Spagna fino allo scandalo passaporti che tra processi e rifiuti di tesseramento lo ha fatto diventare, caso unico al mondo, un giocatore ”inesistente”. Scaricato dalla Roma, dai finti amici e dal procuratore Czysterpiller, si è ritrovato solo in mezzo a un mare di carte e procedure. Dopo un anno di cause, il Collegio arbitrale ha disposto che la società lo reintegri in rosa. Gli occhi grandi e tristi, lui attacca così: ”Ho una storia da non credere, assurda”. Partiamo dall’inizio. ”Giocavo nel Lanus. Un mercoledì mi chiama il mio procuratore e il venerdì ero già a Roma. Tutto di corsa. Non avevo neanche il passaporto argentino”. Figurarsi quello italiano, ottenuto poi dal Consolato, ma di cui giura non essersi occupato. Il presidente Sensi, dopo aver inutilmente corteggiato Trezeguet, sborsò 12 miliardi per affidare a Zeman il giovane sconosciuto con la chioma alla Caniggia. ”L’inizio è stato complicato: di colpo un’altra vita, lingua, abitudini. Non sapevo nulla del calcio italiano e non avevo nessuno vicino a consigliarmi”. Risultato: 12 presenze e zero gol, un solo momento di gloria contro la Fiorentina quando la Roma in 9 contro 10, nei minuti di recupero, passò da 0-1 a 2-1 grazie a due suoi assist. Via Zeman ecco Capello: 6 mesi di panchina e tribuna prima di andare in prestito a febbraio all’Aston Villa: ”Mi sono infortunato subito, tre mesi senza gloria”. Scalo a Roma e aereo per la Spagna, Rayo Vallecano: ”Non giocavo sempre, ma stavo bene. A Madrid è nata mia figlia, poi è scoppiato lo scandalo passaporti”. Sospeso dalla Federazione spagnola, a marzo 2001 il Rayo lo rispedisce subito alla Roma, che si guarda bene dal reintegrarlo in rosa. A differenza di Recoba e compagnia, il processo a Bartelt viene spostato per un vizio di forma e si arriva all’estate. ”Da solo, senza la possibilità di allenarmi, ero disposto anche a sciogliere il contratto, ma la Roma non ha mai voluto ascoltarmi”. A settembre la sorpresa: si rivolge alla giustizia sportiva per essere reintegrato. Risposta: non si può esaminare il caso perché il giocatore non è tesserato presso la Figc. In base al regolamento Fifa a fine prestito la Roma doveva chiedere il transfer alla Federazione spagnola. Non avendolo fatto, Bartelt è diventato calcisticamente inesistente: non iscritto in nessuna Federazione, di proprietà ma non riconosciuto dalla Roma, impossibilitato ad accordarsi con un altro club. A novembre la Disciplinare lo squalifica per un anno per il caso passaporti, pena ridotta in appello a 4 mesi (fino al 31 marzo 2002). ”L’unica via d’uscita è stata rivolgermi al Tribunale del lavoro, che ha ordinato alla Figc il mio immediato tesseramento. Appena iscritto, mi sono ripresentato davanti alla giustizia sportiva per chiedere il reintegro nella Roma. Ho vinto e ora aspetto un segnale”. E gli arretrati, visto che da febbraio 2001 non ha più ricevuto lo stipendio. ”Questa esperienza mi ha fortificato. Sono cresciuto, ho quella rabbia che prima mi mancava”. Ma perché una squadra oggi dovrebbe puntare su Bartelt? ”Perché è un fenomeno...”. E, finalmente, scoppia a ridere» (Andrea Di Caro, ”Corriere della Sera” 11/4/2002).