Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2002  aprile 26 Venerdì calendario

BIANCHI

BIANCHI Enzo Castel Boglione (Asti) 3 marzo 1943. Priore della comunità monastica ecumenica di Bose, che ha fondato nel 1966 presso Magnano (Vercelli). Ha pubblicato numerosi libri, tradotti in più lingue, nei quali esprime una spiritualità che si rifà alle fonti bibliche e alla grande tradizione ecclesiale, ma attenta anche al mondo attuale. Membro della redazione della rivista internazionale Concilium, direttore della rivista biblica Parola, Spirito e Vita. Libri: Vivere la morte; Giorno del signore, giorno dell’uomo (’liberal” 14/5/1998) • «Qui nel 1965 c’erano solo cascine abbandonate e appena due abitanti: un uomo con la sua anziana madre. Una conca tra le colline della Serra di Ivrea, un Piemonte morbido ma anche aspro, luogo remoto e adatto alla contemplazione, a quel tipo di solitudine che non è vuoto ma viaggio. Oggi Bose è una comunità monastica ecumenica formata da casupole color pastello e da settanta religiosi, uomini e donne. L’ha fondata Enzo Bianchi, il priore, un monaco senza saio ma con una lunga barba bianca e due occhi celesti e aguzzi. La sua voce è tra le più ascoltate della spiritualità cristiana, e certamente tra le più severe e nello stesso tempo più aperte. Il suo ultimo libro, Ero straniero e mi avete ospitato (Rizzoli) parla di diversità e accoglienza. E cerca, nell’austerità antica della Bibbia, domande e risposte attualissime. [...] parla con una vocetta che pare quasi una melodia impastata dalle cadenze dialettali piemontesi e si rivolge a tutti, anche a chi non crede. Ma il credente ha forse più strumenti del laico nell’accoglienza dello straniero? ”Direi di no. Ogni uomo è capace di etica, bontà e percorsi di relazione e dialogo con gli altri. Certo, chi segue in maniera autentica il Cristianesimo si trova costretto a meditare sulla qualità dell’altro come fratello. E sul fatto che i beni dovrebbero essere divisi tra tutti gli uomini. Però, diciamo la verità, molti credenti non arrivano a questa riflessione, mentre dei non credenti ci arrivano. Per la forte predominanza della tradizione cattolica, in Italia abbiamo difficoltà a parlare di spiritualità dei laici. Invece in Francia La spiritualità degli atei è diventato il titolo di un ottimo libro del filosofo André Comte-Sponville. La vita interiore c’è in ogni uomo. Può essere assolutamente coltivata da tutti, credenti e non credenti”. Il monastero di Bose è avvolto dal ”grande silenzio”. Che senso ha, nel mondo del grande rumore? E cosa significa, oggi, la scelta monastica? ”Davvero esiste una tale quantità di suoni, frastuoni e messaggi da rendere quasi impossibile il silenzio. Il silenzio ci dà angoscia. Però è il luogo in cui nasce la parola vera, la parola elaborata e pensata, la parola purificata: il silenzio è un linguaggio necessario, la parola senza silenzio diventa rumore. un’esigenza antropologica prima che cristiana, per questo i monaci hanno dodici ore quotidiane di assoluto silenzio. un messaggio: dal silenzio distilliamo l’autenticità delle parole. E poi il silenzio ci porta una grande pace, diminuisce la nostra aggressività e cambia il nostro sguardo sugli altri”. Come riuscirci, se non si vive nella quiete di un monastero? ” una decisione importante. Anche chi ha una vita molto impegnata deve prendere con coraggio del tempo per sé, ad esempio al mattino, quando i rumori della città non sono ancora scatenati. Trovare il tempo per stare soli e pensare: tutto quello che si fa con gli altri, dopo, acquista una diversa qualità e forza. Pascal diceva: il grande dramma degli uomini è non trovare mezz’ora di silenzio al giorno [...] Ho conosciuto grandi persone sfiorate dall’ateismo, non solo dal dubbio su Dio, e le ho conosciute soprattutto nella vita monastica. Può sembrare paradossale: ma proprio perché il monaco cerca nella sua esistenza di semplificare, e dice tanti no, uno dietro l’altro, può avere l’impressione che la ”nientità’ lo invada. La chiamo ”nientità’ per distinguerla dal nichilismo, che è cinico. In quei momenti la fede del monaco è provata, la vita appare senza riuscita, senza frutto. Chi più s’impegna nella ricerca con Dio, deve mettere in conto la grande sfida della ”nientità’. Penso che il monaco possa capire gli atei più di altri, scatta una forma di solidarietà profonda. Perché i non credenti spesso non credono nel Dio narrato dagli uomini religiosi, ma hanno una passione per Dio che a volte i credenti non hanno”. Enzo Bianchi ha scritto che non bisogna chiedere a Dio con la pretesa che ci guarisca dalle malattie, e che la preghiera più che chiedere è ascoltare. Ma allora, il ”chiedete e vi sarà dato”? ”Un vero credente dice innanzitutto ”parla, Signore, che il tuo servo ascolta’, non dice ”ascolta, Signore, che il tuo servo parla’. Il Signore ci parla nelle profondità del nostro essere, e non lo fa in italiano o in ebraico. C’è un punto interiore, quello che la Bibbia chiama simbolicamente cuore, il profondo del nostro profondo, nel quale dobbiamo cogliere la voce di Dio. Allora può iniziare un vero dialogo”. [...] ha scritto che forse è sbagliato tradurre il Credo dicendo ”Dio è onnipotente”: cosa significa? ”Già sant’Agostino scriveva che quando si è tradotto il termine greco con omnipotens, in realtà si sarebbe dovuto dire omnitenens: cioè colui che tiene insieme tutte le cose. Il termine ”onnipotente’ dà l’idea di un padre padrone assoluto e magico: non è questo il nostro Dio. Molti Padri della Chiesa, con ragione, sostengono che si debba parlare di onnipotenza nell’amore, questo sì. Nell’amore e per amore, Dio può tutto. Ma non con quell’onnipotenza da mago che crea lo straordinario, il miracolo, oppure ci toglie dalla nostra condizione umana [...] Il Cristianesimo ha sempre dato molta attenzione alla sua architettura: ma quello che il cristiano deve vivere è l’oggi. Non l’attimo fuggente ma l’oggi, qui e ora. Deve avere memoria del passato senza vivere nel passato, anche se la nostra è la società del futuro anteriore: ”quando avrò fatto questo’, ormai ci si esprime così. Invece, la mia vita si decide adesso. Qualunque frammento del mio tempo è fondamentale per la mia vita, che sta una sola volta nel tempo. E il tempo ha un fine, la morte vinta per sempre dalla vita e dall’amore”. La morte: così rimossa dalla nostra società, così allontanata. Come darle senso, soprattutto se non si crede? ”Anche la pastorale dominante ha dimenticato la morte, questo evento assoluto che sta di fronte a noi. La morte ci sarà, non è un’ipotesi. Agisce in noi ogni giorno, invecchiamo e la sentiamo operare. E la avvertiamo come una terribile ingiustizia. Passare, essere effimeri, accettare che l’amore che portiamo a un’altra persona sia degno di morire: chi ci riuscirebbe? La morte è veramente una grande contraddizione. Ma il cristiano sa che Gesù è risorto in virtù della sua pienezza d’amore. Solo l’amore è degno di combattere la morte, ed è un impegno. E l’amore lo conoscono tutti, credenti e non credenti. Finché viviamo, quello che conta è amare gli altri, accettare di essere amati e rinnovare il nostro amore. Se non ne siamo capaci, veramente la morte può essere la parola definitiva [...] Si potrebbe quasi dire che oggi esiste una mistificazione dell’amore. E tuttavia ho questa fiducia negli uomini e nella loro capacità di discernimento del vero amore, di capire che dall’amore dipende la possibilità di salvare la propria vita. E il perdono è l’amore fino al nemico, fino al persecutore e all’assassino. Per Gesù è una legge, non un’opzione, non una variabile possibile. ”Padre, perdonali’. Tuttavia, credo che il Giudizio universale debba essere preso più sul serio, dai cristiani e da tutti. Io penso che, quel giorno, Dio misericordioso non ci chiederà conto con severità di quello che noi abbiamo potuto mancare verso di lui. Ma di quello che abbiamo mancato verso i fratelli, ci sarà chiesto conto in maniera molto precisa. Il non avere amato, l’avere fatto del male. Guai se noi pensassimo che esiste un abbuono generale, senza che Dio riporti a giustizia ciò che sulla Terra è stato vissuto nell’ingiustizia da tanti milioni e milioni di uomini, i poveri, gli ultimi, gli anonimi che hanno dovuto solo soffrire senza potersi neppure difendere. Il Giorno del giudizio fa parte del credo cristiano - ”Egli verrà a giudicare i vivi e i morti’ - ed è un fondamento di fede. Se non ci fosse un giudizio, allora oserei dire che davvero niente ha senso, che il Cristianesimo è una grande favola e i cristiani sono da compiangere più di tutti gli uomini» (’la Repubblica” 14/1/2007).