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 2002  aprile 26 Venerdì calendario

TENZIN GYATSO

(Lhamo Thondup) Taktser (Cina) 6 luglio 1935. Designato quattordicesimo Dalai Lama nel 1937, è entrato in carica a tutti gli effetti nel 1950. Dal 1959, quando i cinesi occuparono il Tibet, si è rifugiato a Dharamsala, in India, dove ha stabilito la sede del governo tibetano in esilio. Nel 1989 ha ottenuto il premio Nobel per il suo impegno non violento a favore dell’autonomia del suo Paese. Capo supremo dei buddisti, dal 1942 al 1959 sovrano temporale del Tibet (’liberal” 1/10/1998). «Forse perché è il "dissidente" più santo che ci sia, forse perché nella sua persona si compendiano politica attiva e spiritualità, strenua difesa dei diritti umani per la sua gente - ma non soltanto - certo è che il Dalai Lama, Oceano di saggezza, è oggi tanto seguito in Occidente. Chi non si riconosce nella sua fede, si riconosce nella sua battaglia per la sopravvivenza di un popolo che si vorrebbe far scomparire dal Tetto del Mondo, un popolo di montanari, pastori e monaci che, la sera, si riuniscono intorno ai bivacchi e, come raccontava Giuseppe Tucci, il più profondo conoscitore del Tibet, ”discutono di religione”. [...] Con la sua perseveranza, la sua mitezza ferrea, la sua disponibilità ad accettare il dialogo, è riuscito finora a impedire che il Tibet sprofondasse nel dimenticatoio della storia. Se fosse rimasto quieto a Dharamsala, nella città indiana dello Himachal Pradesh, il mondo si sarebbe dimenticato. Ma la ”testa di serpente velenoso”, così lo chiamano in Cina, ha portato il suo messaggio in giro per il mondo intero, un messaggio che è spirituale e senza tempo, parole e massime le sue che confortano chi lo ascolta, una pratica della disciplina della meditazione in cui gli uomini più diversi si impegnano, a New York, a Hollywood, a Parigi, in Italia. Se qualsiasi paragone non fosse un salto di comodo, per illustrare con esempi vicini situazioni diverse e non assimilabili, il Dalai Lama, che i suoi fedeli onorano con il titolo di Sua Santità, potrebbe essere paragonato a Sua Santità Wojtyla che conobbe, anche lui, la persecuzione più feroce» (Renata Pisu, ”la Repubblica” 27/9/2003). « il profeta della non-violenza, ma da piccolo guardava i western di John Wayne. Predica la serena accettazione della morte, ma quando sale su un aereo è terrorizzato e deve chiudere gli occhi durante il decollo. Non sa usare il computer però è capace di riparare un’automobile in panne. [...] Il Dalai Lama è tutto questo: conoscitore dell’anima, studioso di fisica quantistica, maestro dell’arte meditativa, uomo di battute fulminanti e frequenti strappi al cerimoniale. Durante una cena alla Casa Bianca va a salutare i cuochi in cucina: ”C’è un buon odore che arriva da queste parti...”. In visita a Parigi, passeggiando con la ex first lady Danielle Mitterand, si ferma davanti alla statua di Budda: ”Ecco, le presento il mio capo”. Il Dalai Lama è un personaggio eccezionale, fuori dagli schemi, racconta Manuel Bauer, suo fotografo personale. [...] Insieme hanno fatto oltre trenta viaggi, dagli Stati Uniti al Giappone. [...] Bauer è sempre al suo fianco. Anche quando il simbolo dell’armonia e della pace spirituale si arrabbia come qualunque viaggiatore a cui abbiano perso le valigie. [...] ”Mia mamma - ha spiegato il Dalai Lama a Bauer - è stata una donna affettuosa, molto dedita alla famiglia”. Il 6 luglio 1935 aveva già partorito sedici figli. Solo in sette erano sopravvissuti, nel villaggio di Takster, lungo quella che fu la Via della Seta, tra montagne alte seimila metri. ”Del padre invece - aggiunge Bauer - non ama parlare”. Era un temperamento iroso, noto per non pagare le tasse e rubare cavalli ai più poveri. Aveva appena cinque anni quando fu incoronato a Lhasa come la quattordicesima reincarnazione del Dalai Lama. ”Entrai fendendo la folla, i tibetani abbassavano lo sguardo al mio passaggio”, ha raccontato Sua Santità. Un’antica tradizione proibisce di guardare il nuovo dio-sovrano negli occhi. Fu così che il bambino Lhamo Thondup, divenne Tenzyn Gyatso, ”oceano di saggezza”, ovvero il Dalai Lama. ”Sua Santità è cresciuto come tanti altri bambini” prosegue Bauer. Era irrequieto e indisciplinato. Si annoiava molto quando, già a 12 anni, doveva presiedere riunioni di governo e frequentare lezioni di filosofia buddista, logica, cultura tibetana, calligrafia, astrologia, metafisica, retorica. Ogni tanto sgattaiolava e saliva fin sul terrazzo del palazzo reale di Potala. Da lì lanciava grandi bolle di sapone, sputava per vedere a che velocità la saliva cadeva nel cortile. Una volta prese di nascosto la macchina del tredicesimo Dalai Lama: andò a sbattere contro un albero. Guardava Tarzan e i western di John Wayne. Durante uno dei tanti viaggi, il Dalai Lama ha raccontato a Bauer un aneddoto di gioventù che pochi conoscono. ”Ero a Norbulingka, nella mia residenza estiva. Volevo spaventare un falco che minacciava gli uccellini nel mio giardino. Ho preso un fucile per allontanarlo, ma ho sbagliato mira e l’ho ucciso”. Con la stessa naturalezza, la guida spirituale di una religione che risale a 2.500 anni fa, ha confessato di aver sognato donne belle come divinità che si avvicinavano a lui e di aver immaginato di combattere in una guerra. ”Questo dimostra soltanto che sono un uomo normale”, è stato il suo commento.[...] Vivere al ritmo del Dalai Lama significa mettere tutte le mattine la sveglia alle 3.30. ”A quell´ora è pronto per meditare” spiega Bauer che ha scattato delle bellissime sequenze delle espressioni del Dalai Lama assorto in meditazione. Recita soprattutto mantra, ce n’è uno che conosce dall’età di dieci anni. Prega per tutti gli esseri viventi, anche per i fratelli e le sorelle cinesi. Poi si inginocchia e fa una serie di prostrazioni, per circa dieci minuti. Quindi sale sul tapis roulant e continua a meditare. Anche in hotel, durante i suoi viaggi, il tapis roulant è una necessità. Kundun, la ”presenza”, come viene anche chiamato il Dalai Lama, deve tenersi in forma. ”Con una mano tiene il rosario, con l’altra va avanti ad allenarsi per almeno 15 minuti”. Poi, si fa il bagno e consuma il primo pasto della giornata: orzo tostato e porridge. Alle 5.30 ascolta le notizie su Voice of America in tibetano (la radio internazionale in onda lunga) oppure sulla Bbc. ”La sua emittente preferita, la considera l’unica assolutamente imparziale”. L’abbigliamento è sempre lo stesso: la tonaca rossa e gialla. Cambiano le scarpe: se il tempo non gli permette di indossare le ciabattine infradito, indossa le sue vecchie Oxford di pelle. L’orologio al polso non manca mai: ne ha una collezione, tra cui un Rolex dono di Franklin Roosevelt. Non è il lusso ad affascinarlo, ma la meccanica che regola minuti e secondi. ”Se non fossi diventato il Dalai Lama, avrei fatto l’ingegnere”, ha risposto una volta a Bauer: ”Era il mio sogno da ragazzo”. Sua Santità si rilassa riparando macchine fotografiche, proiettori, automobili. anche appassionato di scienza. Partecipa regolarmente a incontri sulla fisica quantistica, ”perché nel mistero delle molecole si nasconde una verità per l´essere umano”. [...] I suoi riti di iniziazione sono spesso accompagnati da ”cerchi luminosi, arcobaleni, tempeste di vento”. Bauer giura che anche lui ha assistito ad alcuni di questi strani fenomeni. Il fotografo ha anche documentato gli incontri del Dalai Lama con gli oracoli e la consultazione di antichi metodi di divinazione. ”Se deve prendere decisioni importanti, il Dalai Lama si affida agli oracoli: secondo lui sono molto affidabili”. Tenzin Gyatso ha spiegato a Bauer che fu proprio un oracolo, la sera del 17 marzo 1959, ad ordinargli di scappare da Lhasa. L’indomani era prevista una cerimonia con le autorità cinesi: ”Sarai rapito” vaticinò. Il Dalai Lama lasciò immediatamente il palazzo di Potala sotto la neve, coperto da un lungo cappotto nero, fucile in spalla, insieme a una ventina di lealisti. ” stato il giorno più brutto della mia vita”. [...] La fuga gli ha aperto le porte del mondo. il più longevo capo politico contemporaneo, anche se il suo governo è in esilio a Dharamsala, nel nord dell’India [...]. Ha frequentato i potenti del mondo [...]. Ha conosciuto tre Papi, i più importanti presidenti americani, da Roosevelt in poi. Dopo l’ultima visita alla Casa Bianca era entusiasta: ”Abbiamo preso un tè con George W. Bush. Gli ho chiesto di indicarmi quali erano i dolcetti migliori. Lui me li ha indicati, e non ha sbagliato!”. Con alcuni capi di Stato ha fraternizzato. Quale uomo politico stima di più? gli ha domandato una volta Bauer. ”Dovessi indicare il più bravo, direi Willy Brandt. Mi colpì il ruolo che svolse durante la guerra fredda, da solo riuscì a costruirsi un buon rapporto con Leonid Breznev. Jimmy Carter è stato un uomo politico affabile, chiaro e pratico. Tony Blair gli assomiglia molto”. Per il suo nemico storico, Mao Zedong, il Gran Timoniere cinese che ha dichiarato guerra al Tibet e lo ha costretto all’esilio, non ha parole di odio. ”Era un uomo forte, molto convinto di sé, emanava energia come un magnete. L’unica volta che l’ho incontrato, a Pechino nel 1953, ero terribilmente in soggezione”. [...] Dietro le quinte, il segretario personale Tenzin Geyche Tethong è onnipresente, organizza l’agenda del Dalai Lama, filtra ogni richiesta, fa da portavoce durante le interviste. ”Nessuno si avvicina a Sua Santità senza il suo consenso”, osserva Bauer che infatti spesso è sottoposto alle sue scelte. L’entourage del Dalai Lama è composto da poche altre persone. C’è il consigliere spirituale, il monaco Tashi, inseparabile maestro di cerimonia durante i viaggi all’estero. Due altri monaci accompagnano Sua Santità nei piccoli gesti quotidiani, dalla vestizione alla preparazione delle pietanze. Il cibo del Dalai Lama viene sempre controllato. Vari tentativi di avvelenamento sarebbero così stati sventati. La sicurezza del Dalai Lama è garantita da due squadre di guardie del corpo, una tibetana, l’altra indiana. ”La nuova sfida per il Dalai Lama sarà affrontare la vecchiaia” prevede Bauer. ”Non mi sembra spaventato. Mi ha detto soltanto che vorrebbe vivere abbastanza per poter tornare a morire nel suo paese”. Gli oracoli tibetani gli danno buone possibilità. Hanno predetto che vivrà fino a 112 anni» (Anais Ginori, ”la Repubblica” 24/4/2005). «Sua Santità, il XIV Dalai Lama, Oceano di Saggezza, vorrebbe essere un tibetano qualunque. Ma non ci riesce, anche se ci prova. Parla liberamente ma la gente lo ascolta con troppa serietà, e così gli passa la voglia di parlare perché ha l’impressione che non capiscano bene le sue parole, e allora si sente ”distanziato”. Perché, lamenta, ”c’è troppo formalismo”. sicuro di essere la reincarnazione del suo predecessore, quasi sicuro. Nel 1989, subito dopo aver ricevuto il Premio Nobel per la Pace, a un giornalista che gli chiedeva se riteneva di essere la vera reincarnazione del XIII Dalai Lama, ha risposto: ”Sembra che quando ero piccolo abbia dimostrato di riconoscere con grande esattezza gli oggetti appartenuti al mio predecessore. Ma vede, a parte ciò, penso che [...] sia riuscito a essere di qualche utilità al mio popolo. Questo è importante! Quindi, anche se non sono la vera reincarnazione, poco importa”. Dice che la reincarnazione è cosa assai misteriosa. A lui è toccata questa, la prossima volta chissà se si reincarnerà, e chissà cosa farà. Perché può darsi che sia l’ultimo dei Dalai Lama, se il popolo tibetano deciderà che, almeno per quanto riguarda il potere temporale, il capo dovrà essere democraticamente eletto. Sul futuro del Tibet nutre grandi speranze, tutte progressiste. Sa benissimo che nel suo paese, quando fu invaso, ovvero ”liberato” dai cinesi nel 1950, c’erano molte ingiustizie e, se ne avesse avuto il tempo, avrebbe fatto del suo meglio per cambiare le cose. Ma il tempo non l’ha avuto, dal 1959 vive in esilio in India, a Dharamsala. Oggi spera che il governo cinese riconosca almeno l’autonomia del suo Tibet. [...] Ride spesso il Dalai Lama, fragorosamente, contagiosamente [...] Anche quando racconta la sua giornata-tipo, il Dalai Lama lo fa con un certo umorismo: sveglia alle quattro, preghiere, meditazione, una tazza di acqua calda, prostrazioni devote per circa un’ora - che, sottolinea, sono un ottimo esercizio fisico, meglio della cyclette - doccia, preghiera, colazione, passeggiata, notiziario della Bbc. Poi studio, disbrigo di pratiche, pranzo, preghiere, meditazione, il tè delle cinque, la televisione se c’è qualche programma interessante, la meditazione, ancora un po’ di studio e preghiera, la cena, a letto alle nove e, subito, un sonno profondo. Certo, ci sono delle varianti: quando viaggia, per esempio. L’aereo è il luogo ideale per la meditazione, a meno che non ci siano turbolenze, perché allora ha paura e basta. In macchina non medita tanto bene, si distrae, forse perché l’automobile lo affascina. il primo oggetto della modernità che lo abbia colpito quando era bambino ma già Dalai Lama (lo divenne a quattro anni) e a Lhasa c’erano soltanto tre automobili: due Austin del 1927 e una Dodge arancione, del 1931, portate fin sul Tetto del Mondo in groppa agli yak. Mai usate, lui moriva dalla voglia di rimetterle in funzione e, alla fine, ci riuscì. Era affascinato dai meccanismi, dagli ingranaggi precisi e razionali che si incastravano gli uni con gli altri, come quelli degli orologi, che apriva e smontava per capire come funzionassero, e poi rimontava. Ma gli orologi digitali, confessa ridendo, non l’hanno mai interessato. Si diverte ma non ha vizi. Detesta soprattutto il fumo. Quando nel 1989 il neopresidente cecoslovacco Havel, reduce dal carcere al quale era stato condannato per le sue idee politiche, lo invitò a Praga e, con un boccale di birra in una mano e una sigaretta nell’altra, gli disse che si sentiva molto simile al Sesto Dalai Lama, noto per le sue passioni mondane, Sua Santità auspicò una seconda rivoluzione in Cecoslovacchia. Quale? Domandò Havel stupito. E il Dalai Lama: Che non si fumi durante i pasti! E immagino che si sia messo a ridere. Come sa ridere soltanto lui, anche quando dice cose serie. Quando perora, per esempio, un Parlamento mondiale delle religioni che, specie in questi giorni di fondamentalismi trionfanti, è un’idea di un candore davvero abbacinante. ”Parlamento”: al Dalai Lama questo termine piace perché, dice,’è intriso del sapore della democrazia”. E poi gli piace il plurale, religioni non religione, perché implica la molteplicità delle fedi, punta a un sincretismo che a ”questa” Sua Santità, non alla nostra nuovissima, sembra l’unico sbocco possibile per gli uomini di buona volontà. Anche il relativismo, lo affascina.
[...] disse: ”Credo che il buddismo abbia qualcosa da insegnare a voi occidentali che di vostra scienza ne avete tanta, tanta da vendere anche a noi. Però voi occidentali siete portati a considerare che sempre un determinato effetto dipenda da una determinata causa, che vi sia una relazione diretta e strettissima. Così semplificate troppo il reale che a noi appare invece frutto di una concatenazione molto più complessa perché le cause sono molteplici e varie, così pure gli effetti. La violenza, per esempio, di quali e quante cause può essere effetto? E, a sua volta, di quali effetti può essere causa? [...] Relativo sì, nel senso che ogni fenomeno è in relazione con mille, centomila altri. Giustificabile anche, ma non significa che quello che si giustifica sia il Giusto. La ruota gira, mi capisce? Non è soltanto una metafora, è la sostanza di quelle che noi chiamiamo apparenze”. [...] se ci fossero libere elezioni in Tibet [...] per chi voterebbe? [...] per gli ecologisti.[...] il suo eden di ragazzo sul Tetto del Mondo: branchi di yak e asini selvatici che pascolavano liberi nelle grandi pianure, di tanto in tanto i branchi scintillanti delle timide gazzelle tibetane, e lui quindicenne che nelle sale buie del Potala, il Palazzo d´inverno di Lhasa, vedeva calare la sera e si struggeva per non potere esser assieme a quei suoi coetanei, mandriani e mandriane che cantavano e ridevano. Forse per questo ride, ride sempre. Per consolarsi e perché ha il senso dell’umorismo, l’unica salvezza, relativisticamente parlando» (Renata Pisu, ”la Repubblica” 24/4/2005). Vedi anche: Massimo Cappon, ”Sette” n. 18/1999.