Varie, 26 aprile 2002
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Hillman James
• Atlantic City (Stati Uniti) 12 aprile 1926. Psicologo. Fondatore della Psicologia degli Archetipi, è uno dei massimi esponenti del pensiero post-junghiano. Dopo gli studi di Filosofia a Parigi e Dublino, si forma come analista junghiano all’Istituto C.G. Jung di Zurigo, del quale diventa direttore. Tornato negli Usa nel 1978, è tra i fondatori del Dallas Institute of Humanities and Culture. Tiene corsi in varie università americane, inglesi, irlandesi e francesi. Per i suoi studi nel campo delle arti ha ottenuto riconoscimenti internazionali (’liberal” 11/6/1998) • «La figura senz’altro più carismatica - anche se molto controversa - dello junghismo contemporaneo [...] a Zurigo, è stato un allievo diretto di Jung, ma - dopo quella che lui stesso ha definito ”una crisi di fede” - è diventato l’inventore di un nuovo pensiero, di una sua disciplina detta ”psicologia archetipica”, ribattezzata frettolosamente e a dispetto del ridicolo ”una terapia con gli dèi”. Oggi non è chiaro se Hillman si possa ancora in qualche modo considerare uno psicoanalista, per quanto eterodosso e da molti anni lontano dalla pratica clinica, o sia piuttosto un raffinatissimo letterato, un intellettuale neoplatonico (amatissimo dagli intellettuali, e dai molti che suppongono di esserlo), un cantore neopagano di cui poco o nulla è rimasto dell’imprinting originario: ”un brillante bricoleur”, per dirla con Augusto Romano. [...] Il punto è che alle ”regole” della clinica psicoanalitica Hillman è estraneo fino all’insofferenza, e non ha alcuna difficoltà a dichiararsi colpevole dell’accusa di essere un traditore. Non è la stanza d’analisi a interessarlo, non sono i piccoli o grandi malesseri di pazienti in cerca d’ascolto a catturarne l’attenzione. Il suo impegno ha dimensioni molto più ampie, più ambiziose: lui si dedica a ”stendere l’anima del mondo sul lettino e a rimanere in ascolto delle sue sofferenze”. questa immagine a catturarlo, o anche, con un’espressione che gli è cara: è questo il suo daimon. [...]» (Luciana Sica, ”la Repubblica” 3/12/2004) • «I suoi titoli sono travolgenti e infatti hanno attirato l’interesse di milioni di lettori nel mondo, quindi anche in Italia. La sua scrittura è fascinosa: sa raccontare storie che sono non solo esempi della sua pratica terapeutica e della sua ricerca empirica o altamente teorica, ma anche ben congegnati racconti all’interno di saggi scientifici. Il suo campo d’intervento è la psicoanalisi junghiana. In cinquant’anni anni di ricerca, pratica e insegnamento, ha letteralmente capovolto la psicoanalisi sia nel metodo sia nella prassi terapeutica. Titoli come Anima, Il codice dell’anima, Le forme del potere, Oltre l’umanesimo, La vana fuga dagli dei, La cucina del signor Freud, per citarne solo alcuni, hanno suscitato passione anche in lettori inesperti di psicoanalisi. [...] La sua riflessione porta a recuperare i miti. E ha curato i pazienti con la reinterpretazione dei miti, collegando il presente alla tradizione mitologica. Non più l’individuo e i suoi problemi, sia pure all’interno di un ”nconscio collettivo” (Jung), ma l’individuo e il mondo, con problemi che sono in primo luogo del mondo e che insistono sull’anima individuale coinvolgendola, ferendola, denigrandola, insomma nevrotizzandola. La singola persona riesce forse ad attutire, se non a eliminare, i suoi problemi personali interessandosi del mondo in cui vive, guardando fuori di sé. L’uomo però non deve subire i problemi del mondo, assumendoli dentro di sé come irreparabili, ma deve partecipare alla loro soluzione aprendosi all’esterno, uscendo da sé, mettendosi in relazione con gli altri. Così facendo, alla fine risolve anche i suoi problemi. Nei suoi libri affronta tutti i temi della cultura moderna: dalla depressione come reazione ai condizionamenti del mondo consumistico contemporaneo, alla necessità della precauzione come forma di autotutela contro le invadenze delle varie forme di potere (politico, economico, psichico); dalla vecchiaia come forma di completezza del carattere della persona, alla mancanza di ideologia nel terrorista, una specie di vendicatore solitario chiuso in se stesso, senza alcuno sbocco nella società, a differenza del rivoluzionario che invece desidera e insegue un cambiamento. Ne Il piacere di pensare (Rizzoli, 2001), intervista curata da Silvia Ronchey, evidenzia ampiamente tali aspetti ”pubblici” del suo metodo analitico. [...] ”La psiche non è nel corpo, dentro la pelle, come ha sempre voluto il pensiero occidentale, in un orientamento soggettivo, personalistico. Il grande cambiamento nella psicologia non è altro che il recupero della tradizione rinascimentale dell’anima mundi. Nel 1980 a Firenze parlai a Palazzo Vecchio del ’ritorno della psiche nel mondo’. Per spiegare che è il nostro corpo a trovarsi dentro l’anima, cioè è la psiche che comprende il corpo. Il rapporto psichico non è solo tra due persone, ma tra le persone e tutte le cose. Se parliamo dell’uomo, non possiamo dimenticarci delle cose in cui si esprime, architettura, traffico, pittura, letteratura, politica, agricoltura, ambiente, eccetera: insomma la psiche nel mondo. Il mondo è clinica. Questo è il cambiamento radicale. Il mio libro Cento anni di psicoterapia e il mondo va sempre peggio spiega questa idea: la psicoanalisi ha lasciato fuori dal rapporto terapeutico il mondo. Ma già Marsilio Ficino aveva detto che il corpo è dentro l’anima”» (’Corriere della Sera”, 31/8/2002).