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 2002  aprile 26 Venerdì calendario

Lotti Giancarlo

• San Casciano in val di Pesa (Firenze) 16 settembre 1940, Milano 30 marzo 2002 (la data di morte di Wikipedia è sbagliata) • «Compagno di merende e di omicidi di Pietro Pacciani e Mario Vanni, è morto per un cancro al fegato di cui nessuno si era accorto. Il 15 marzo era stato colto da malore nel carcere di Monza dove stava scontando la condanna definitiva a 26 anni, dopo essersi pentito ed autoaccusato di almeno uno dei delitti del mostro di Firenze. Ex manovale, sessantadue anni, aveva cominciato a collaborare con gli inquirenti nel febbraio del ’96, a ridosso della sentenza che avrebbe assolto Pacciani in appello. Era “Beta”, uno dei quattro misteriosi testimoni scovati in extremis dagli uomini della squadra mobile di Michele Giuttari, ai quali erano state assegnate, per non “bruciarli”, altrettante lettere dell’alfabeto greco. Disse di aver assistito, nascosto con un amico a ridosso della piazzola degli Scopeti, all’uccisione dei due turisti francesi. Raccontò di come Vanni avesse lacerato la tenda con il coltello. Di come Pacciani avesse sparato al ragazzo che cercava di scappare e di come avesse sentito le grida di Nadine Mauriot mentre i due assassini le si avvicinavano per finirla e mutilarla. Cominciò il suo racconto dalla fine. E andò avanti a ritroso. Raccontò la storia di una combriccola sgangherata di guardoni, più simile ai Musicanti di Brema che ad Hannibal. Manovale disoccupato, viveva da sempre all’ombra dell’anziana madre. Lo chiamavano Katanga, anche se nessuno si ricordava il perché. Taluni sostenevano fosse per le labbra carnose, altri per gli attributi sessuali, ma i più sostenevano fosse per via dell’andatura da gorilla. Ne aveva una sfilza di soprannomi: Rampino, la Donnola, Garibaldi, Titira. E a San Casciano dicevano che tutti fossero approssimativi per difetto. Passò un anno e mezzo, prima che si decidesse a confessare di aver sparato anche lui con la Beretta calibro 22. Sparò ai due ragazzi tedeschi parcheggiati a Giogoli col loro camper. Ma c’era anche la sera che furono ammazzati Giovanni Faggi e Carmela Di Nuccio. E ogni tanto qualcuno raccontava di una 128 rossa vista nei pressi dei luoghi dei delitti. Nessuno ci badava, però. Pacciani aveva una macchina rossa? No. E la testimonianza veniva liquidata come irrilevante. Katanga entrò ufficialmente a far parte della congrega la sera in cui fu uccisa la quinta coppia. Ma fu lui a segnalare a Pacciani e Vanni la Panda con la quale si appartavano Pia Rontini e Claudio Stefanacci. Lui, a raccontare del camper dei tedeschi. E ancora lui, a indicare la tenda dei francesi. “A Pacciani gli piaceva sparare. Vanni mutilava le vittime col coltello. Gli garbava così, a loro. Io no, sono buono. A me mi garbava guardare”. E anche la sera in cui furono uccisi Pia Rontini e Claudio Stefanacci fece da palo. “Guardai soltanto. Pacciani che sparava e Vanni che trascinava fuori dalla Panda quella ragazza che era viva e strillava. Lui aveva lo spolverino celeste per non sporcarsi. La prese a coltellate, poi le tagliò un seno e il resto. Più tardi andammo a seppellire quella roba sotto un palo della luce”. Riempie tonnellate di verbali, l’inarrestabile Katanga e le sue confessioni chiariscono più d’un mistero. La combriccola di mostri. La pistola: “La usava Pacciani”. Lui raccontò come l’avesse avuta e chi gli avesse procurato i proiettili. I feticci: “A Vanni gli garbava di fa’ così. Gli piaceva usa’ i’ coltello. Poi li seppellivamo”. Il primo delitto: “Nel ’68 io non c’ero. Ma conosco tutta la verità”. E la raccontò. Raccontò anche come il il mistero che aleggiava intorno al tesoro di Pacciani, non fosse un mistero per nessuno. Tanto che un testimone raccontò durante il processo a Lotti e Vanni: “Oh, che ’un si sa? Pacciani in galera va co’ finocchi e si fa pagare”. Arossì quel giorno in aula, Katanga. Anche lui, più tardi, raccontò di “quel giorno che Pacciani mi mise a squadra”. “Ero andato da lui come amico...Cominciò a toccare...S’era soli. E in parole povere, fu bell’e fatto”. E fu per paura che Pacciani lo raccontasse in giro, che Lotti si unì ai compagni di merenda e cominciò ad amazzare» (Mariella Regoli, “Il Messaggero” 2/4/2002).